« Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso . Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! » (2Cor 6,2)
Oggi, con il mercoledì delle ceneri, incomincia (per il Rito Romano) il tempo di Quaresima. Quaresima viene forse da “quadragesima die”: il quarantesimo giorno prima di Pasqua. Il primo giorno designa tutto il periodo. Designa dunque un periodo liturgico di quaranta giorni. Quaranta giorni prima dell’evento centrale: la Pasqua (il mistero della morte e della resurrezione del Signore). Il numero quaranta è un numero misterioso: tutti i numeri lo sono, in quanto esiste una ricca simbologia del numero. Questo numero però riveste nella Bibbia un ruolo del tutto particolare. Lo ritroviamo per la prima volta in occasione del Diluvio: «Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti» (Gn 7, 12). Poi nel libro del Deuteronomio, a proposito del popolo di Israele che passa quaranta anni nel deserto: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi» (Dt 8, 2). Quindi a proposito di Mosé che rimane quaranta giorni e quaranta notti al cospetto di Dio sul Sinai: «Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole dell’alleanza che il Signore aveva stabilita con voi, rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua» (Dt 9, 9); «Poi mi prostrai davanti al Signore, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane né bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso, facendo ciò che è male agli occhi del Signore per provocarlo» (v. 18); «Io stetti prostrato davanti al Signore, quei quaranta giorni e quelle quaranta notti, perché il Signore aveva minacciato di distruggervi» (v. 25). Elia che fugge Gezabele nel deserto cammina 40 giorni e 40 notti prima di arrivare al «monte di Dio», l’Oreb, che poi è il Sinai, dove conoscerà – come Mosé – la presenza di Dio: «Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1 Re 19, 8). Anche Elia però, come Mosé, si copre il volto: «Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?”» (v. 13). La sua è ancora una conoscenza imperfetta ed effimera, rispetto a quella che può avere il cristiano: «E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2 Cor 3, 18). A Ninive è dato un tempo per la conversione: 40 giorni: «Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”» (Gio 3, 4). Ed ecco che Cristo assume questo quaranta per compierne il significato: « Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo» (Lc 4, 2). Se non vogliamo rimanere alla scorza (cioè il puro fatto letterale, la coincidenza) dobbiamo cercare un significato. Non ci addentriamo nella simbologia del numero in sé stesso. Forse il 4 e il 10 sono numeri della perfezione relativa di questo mondo: i 4 punti cardinali, le 4 virtù cardinali, i 10 comandamenti, le 10 categorie aristoteliche, la bestia a 10 corna (Ap 12, 3; 13,1; 17,3.7.12.16; le corna sono il simbolo della potenza, le 10 corna stanno per la potenza terrena), ecc. Constatiamo solo un fatto: il legame fra questi episodi che si illuminano l’un l’altro. Innanzitutto (lasciando per il momento da parte l’episodio di Cristo che è la chiave di interpretazione): il Diluvio, il vagare nel deserto del popolo di Dio sono causati dal peccato. Anche la fuga di Elia e l’attesa di Mosé sul Sinai (la 2ª volta) sono in collegamento col peccato del popolo. In due casi questo periodo ha le caratteristiche di un itinerario: viaggio del popolo di Israele, viaggio di Elia. Al termine è posta sempre una vittoria: arcobaleno, terra promessa, legge, presenza di Dio, conversione e salvezza di Ninive. Dio non fa mancare i mezzi per superare questo periodo: arca, manna, pane e acqua. Vediamo allora di ricavare gli insegnamenti: a) Dopo il peccato l’uomo non può sfuggire alla legge della penitenza. Che è la legge della Croce. La penitenza è necessaria. Essa è fatta di tre cose: elemosina, preghiera, digiuno. Per questo, all’inizio del tempo di Quaresima, nella liturgia del mercoledì delle ceneri, la Chiesa ci fa ascoltare Mt 6, 1-6.16-18: « Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Gesù, che è venuto a guarirci dalla nostra principale e fondamentale malattia (di cui le malattie fisiche non sono che l’espressione esteriore) ci insegna innanzitutto la strada per guarire, con un grande, emblematico e simbolico (pur essendo un fatto reale. La concezione moderna di simbolo relega il simbolico nel soggettivo) gesto di penitenza. Dobbiamo tenere presenti due verità: 1. La guarigione è un dono. Ad ogni tempo liturgico è legata la sua grazia. Qui la grazia è quella della conversione. 2. A questo dono ci dobbiamo disporre, preparandoci ad accoglierlo. Per accoglierlo dobbiamo innanzitutto stimarlo, cioè ritenere di averne bisogno. Non siamo già convertiti! Quindi dobbiamo prendere sul serio il tempo liturgico, obbedendo ai precetti e ai consigli della Chiesa. Cioè facendo veramente penitenza. Solo vivendo sinceramente e generosamente il tempo liturgico possiamo sperare di riceverne le grazie. Questa penitenza è un itinerario. Nell’anno liturgico si concentra in un determinato periodo (misteriosamente, abbiamo visto, di 40 giorni). Nella vita individuale nel momento del sacramento che porta questo nome, che è come la cristallizzazione di tutto l’atteggiamento penitenziale con il tocco decisivo di Gesù: la nostra penitenza viene assorbita e trasformata nella sua. Possiamo però anche dire che questo itinerario è tutta la vita dell’uomo. La vita dell’uomo è: — navigazione nell’arca (= Chiesa); — traversata del deserto (= mondo, deserto di Dio, privo dell’acqua = la grazia); — salita del monte (elevazione e fatica, prova). Il termine è la vittoria. Qui troviamo insieme l’ottimismo cristiano e la serietà cristiana. L’ottimismo cristiano non è superficiale e pressapochistico (nella Bibbia non è mai maledetto il peccatore, ma lo stolto. A cui è spesso affiancato il «beffardo»), ma serio e profondo. È fondato sulla partecipazione alla vita di Gesù, quindi alla sua croce e resurrezione. Dio non lascia mai senza i mezzi necessari. I mezzi della traversata sono fondamentalmente tre: — penitenza (sacramentale); — eucaristia: arca (= tabernacolo a forma di arca, arca dell’alleanza contenente la manna), manna, pane e acqua; — la parola di Dio: «non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca del Signore». Prendiamo sul serio i precetti della Chiesa: digiuno e astinenza il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo. Astinenza tutti i venerdì di quaresima. «Che il mussulmano fra di voi di voi non rida». Il digiuno deve essere fatto con gioia! Se il nostro digiuno ci rende irritabili, nervosi, attaccabrighe, c’è qualcosa che non va. Parliamone allora con sincerità con la nostra guida spirituale (mai fare mortificazione di testa nostra senza il consiglio di una guida), per trovare il modo o la forma giusta con cui digiunare. Pratichiamo l’elemosina, di denaro, ma non solo, anche di tempo, di apostolato, di aiuto fraterno. Preghiamo, soprattutto con la preghiera personale «chiudi la porta e prega […] nel segreto» (Mt 6,6). Le tre pratiche di penitenza quaresimale corrispondono alle tre tentazioni di Gesù e alla triplice concupiscenza: — digiuno, concupiscenza della carne «trasforma queste pietre in pane»; — elemosina, concupiscenza degli occhi «ti darò tutto se, prostrandoti, mi adorerai»; — preghiera, superbia della vita, «buttati giù!». La Quaresima è un cammino penitenziale. Serio, ma non “serioso”, di “mortificazione”, ma non di tristezza, di “impegno” ma non di fatica. Dio ama chi dona con gioia! (2Cor 9,7)