« […] visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per le genti – e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare. Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?” » (Gal 2,7-14).
Nella Bibbia, per qualche verso c’è tutto. La Provvidenza di Dio ha fatto in modo che la verità per la nostra salvezza ci giungesse mediante la predicazione ininterrotta degli apostoli e dei loro successori. Questa predicazione è garantita nella sua unità dal suo iniziatore e permanente autore che è Cristo Gesù, perché, come il collegio degli apostoli aveva un capo, Pietro, così il collegio dei loro successori, i vescovi, hanno un capo, il successore di Pietro che è il vescovo di Roma. Si potrebbe pensare che questo è sufficiente, ma Dio ha voluto raggiungerci anche con un altro strumento, in perfetta consonanza con il suo disegno sapiente. Avendo infatti deciso – in modo assolutamente non necessario, in piena libertà – di farsi uomo, ha voluto procedere con questa stessa logica. Infatti, come la sua Parola eterna si è fatta carne in quell’uomo concreto che fu Gesù di Nazaret, figlio di Maria sempre vergine, ha voluto che il suo messaggio si facesse anche scrittura. Una Scrittura che di per sé sola non è sufficiente, perché le parole per quanto vere e divine hanno bisogno, per essere vive, della persona che ne è all’origine, ma che contengono in esse tutto quello che di più importante ed essenziale ha voluto comunicarci. Esse sono affidate alla Chiesa che continua ad annunciarle, a spiegarle e a conservarle nel loro senso autentico in modo tale che – attraverso di esse – possiamo sempre sentire risuonare in noi la Parola di Dio. « Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida: questo vi basti a vostro salvamento » (Dante Alighieri, Paradiso, canto V). Gli episodi della Bibbia hanno dunque un senso che va oltre il fatto stesso che raccontano. Diventano come dei modelli ai quali dobbiamo guardare per ritrovare in essi il modo giusto di porci davanti a Dio e al nostro prossimo. L’episodio di Antiochia che san Paolo racconta nella lettera ai Galati ci pone di fronte ad un fatto “scandaloso”: due apostoli che si trovano in disaccordo. Il comportamento di Pietro non è coerente con i principi da lui stesso ammessi ed insegnati: i precetti cerimoniali della legge non sono necessari per la salvezza, perché questa avviene solo mediante la fede viva in Cristo Gesù. Paolo con coraggio e schiettezza lo rimprovera pubblicamente, perché pubblico era stato il suo atteggiamento scandaloso. San Paolo non ci racconta il seguito dell’episodio, ma da tutto il contesto, così come emerge dagli altri scritti del Nuovo Testamento e dalla Tradizione della Chiesa, sappiamo che non ci fu una divisione tra loro. Di lì non nacquero due Chiese, ma si svilupparono tutt’al più due modi o stili diversi di apostolato. Non così diversi da giustificare una separazione, perché lo stesso san Paolo, in altri contesti, si comportò come san Pietro: cfr. At 16,3; 21,26; 1Cor 8,13; Rm 14,21; 1Cor 9,20. Diverso è stato il comportamento di Martin Lutero: questo passo della lettera ai Galati è stato come il punto di partenza e la giustificazione del suo modo di agire. “Se Pietro in un caso ha sbagliato, allora possono sbagliare anche i suoi successori ed io sono autorizzato dalla Scrittura a ribellarmi a loro, così come ha fatto san Paolo”. Ma è Lutero che ha sbagliato a leggere la Bibbia. Da nessuna parte infatti san Paolo dice che san Pietro ha insegnato il falso. Dice solo – anche se con grande coraggio e franchezza – che Pietro non è coerente con quanto da lui stesso insegnato: « Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo » (At 10,28). Rispetta e riconosce in pieno la sua autorità: è proprio per questa ragione – per la sua grande ed indiscussa autorità che “costringe” chi la riconosce a comportarsi come lui – che interviene pubblicamente. Dallo “scontro” di Antiochia non sono nate due Chiese. « La magnanimità del Signore nostro consideratela come salvezza: così vi ha scritto anche il nostro carissimo fratello Paolo, secondo la sapienza che gli è stata data, come in tutte le lettere, nelle quali egli parla di queste cose. In esse vi sono alcuni punti difficili da comprendere, che gli ignoranti e gli incerti travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina » (2Pt 3,15-16). Dalla ribellione di Lutero, al di là delle sue intenzioni di riforma, nacque invece una spaccatura che divise la Chiesa e pose le fondamenta di una frantumazione che dura ancora. La Chiesa in sé stessa non può perdere l’unità, ma questa può essere oscurata e ferita nella coscienza di tanti suoi figli e lei continua a pregare e ad operare perché le ferite vengano sanate e la pace ritrovata. « […] il noto incidente di Antiochia, in Siria, […] attesta la libertà interiore di cui Paolo godeva: come comportarsi in occasione della comunione di mensa tra credenti di origine giudaica e quelli di matrice gentile? Emerge qui l’altro epicentro dell’osservanza mosaica: la distinzione tra cibi puri e impuri, che divideva profondamente gli ebrei osservanti dai pagani. Inizialmente Cefa, Pietro condivideva la mensa con gli uni e con gli altri; ma con l’arrivo di alcuni cristiani legati a Giacomo, “il fratello del Signore” (Gal 1,19), Pietro aveva cominciato a evitare i contatti a tavola con i pagani, per non scandalizzare coloro che continuavano ad osservare le leggi di purità alimentare; e la scelta era stata condivisa da Barnaba. Tale scelta divideva profondamente i cristiani venuti dalla circoncisione e i cristiani venuti dal paganesimo. Questo comportamento, che minacciava realmente l’unità e la libertà della Chiesa, suscitò le accese reazioni di Paolo, che giunse ad accusare Pietro e gli altri d’ipocrisia: “Se tu che sei giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?” (Gal 2,14). In realtà, erano diverse le preoccupazioni di Paolo, da una parte, e di Pietro e Barnaba, dall’altra: per questi ultimi la separazione dai pagani rappresentava una modalità per tutelare e per non scandalizzare i credenti provenienti dal giudaismo; per Paolo costituiva, invece, un pericolo di fraintendimento dell’universale salvezza in Cristo offerta sia ai pagani che ai giudei. Se la giustificazione si realizza soltanto in virtù della fede in Cristo, della conformità con Lui, senza alcuna opera della Legge, che senso ha osservare ancora le purità alimentari in occasione della condivisione della mensa? Molto probabilmente erano diverse le prospettive di Pietro e di Paolo: per il primo non perdere i giudei che avevano aderito al Vangelo, per il secondo non sminuire il valore salvifico della morte di Cristo per tutti i credenti. Strano a dirsi, ma scrivendo ai cristiani di Roma, alcuni anni dopo (intorno alla metà degli anni 50 d.C.), Paolo stesso si troverà di fronte ad una situazione analoga e chiederà ai forti di non mangiare cibo impuro per non perdere o per non scandalizzare i deboli: “Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi” (Rm 14,21). L’incidente di Antiochia si rivelò così una lezione tanto per Pietro quanto per Paolo » (Benedetto XVI, Udienza generale del 1° ottobre 2008). A ben guardare insomma l’incidente di Antiochia vede due apostoli contrapporsi in modo aperto. Non però come nemici. In fondo in fondo avevano ragione tutti e due. Pietro accetta umilmente il rimprovero, Paolo impara da Pietro che usare prudenza non vuol dire acconsentire. Due apostoli che “litigano” ci insegnano che litigare per la verità non è poi una gran brutta cosa e che, in ogni caso, le ragioni dell’unità nell’amore e nella verità (inseparabili) devono sempre essere salve.