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Il pensiero del giorno: Lc 21,20-28

29 Novembre 2018 - Autore: Don Piero Cantoni

« Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina » (Lc 21,20-28).

 

Tutte le volte che Gesù parla della fine del mondo nei Vangeli, parla anche della caduta di Gerusalemme (cfr. Mt 24,15-20; Mc 13,14-18). Da questo comprendiamo quanto importante sia Gerusalemme nel piano di salvezza di Dio (cfr. Rm 9-11). D’altra parte è importante distinguere accuratamente i due avvenimenti: uno si situa in stretta vicinanza con la Pasqua del Signore (70 d.C.), l’altro è un evento lontano di cui non è dato sapere la data precisa (cfr. Mc 13,32).

Sono distinti, ma tuttavia profeticamente legati, perché l’evento della distruzione di Gerusalemme è collegato simbolicamente con la fine del mondo, in quanto ne è il “tipo”. Che cosa dovranno fare i discepoli quando i nemici si avvicineranno a Gerusalemme? Combattere insieme ai difensori? Passare con i nemici, cioè con i romani?

Né l’una cosa né l’altra: « Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città ». La direttiva del Signore è chiara: “fuggite!”. Quando vedrete che i nemici stanno circondando Gerusalemme, ma non l’hanno ancora circondata del tutto, allora fuggire è ancora possibile e allora voi fatelo.

Di fatto la comunità cristiana si rifiutò di partecipare al conflitto tra giudei e romani, sopportando l’odio del giudei per questo. Non lo fece per vigliaccheria o per “pacifismo”. I cristiani non hanno rifiutato il servizio militare, anzi, alcuni di loro erano soldati di professione (cfr. Lc 7,1-10; At 10; Rm 13,1-7). I loro comportamento fu dovuto in realtà al fatto che – ammoniti dall’insegnamento di Gesù – videro nell’evento la realizzazione di un giusto giudizio di Dio al quale non ci si doveva ribellare.

Essi dunque fuggirono, come aveva fatto Lot da Sodoma (Gen 19,1-29; Pr 22,3). Dove fuggirono? Verso i monti, cioè in zone desertiche dei dintorni. Una buona parte di essi trovò effettivamente rifugio a Pella, nella zona a oriente del Giordano. Il significato spirituale è evidente: sui monti della preghiera e nel deserto della contemplazione (“pregate, pregate, pregate!”).

Questa profezia di Gesù riporta con esattezza il suo insegnamento, oppure è mescolata con informazioni che provengono da persone che hanno vissuto in prima persona la distruzione della città? Questa seconda lettura è molto ambigua, perché obbedisce ad una interpretazione che parte dal presupposto che nulla può esistere di eccezionale (di “miracoloso”) e di nuovo nella storia e tutto deve essere ricondotto alle sue leggi ordinarie.

Se c’è la predizione di un evento futuro essa non può essere “storica”, ma solo una finzione. Visto in profondità tuttavia il senso non cambia molto: una dato infatti è certo, la comunità cristiana si è comportata proprio così e la ragione di fondo è stata una convinzione: il tempo della città sacra e del suo Tempio era finito. Ciò non voleva dire che era finito il mondo, anzi, stava incominciando un mondo nuovo che nasceva dall’annuncio del Vangelo del Risorto.

Questo ha un significato profondo per noi oggi: la civiltà cristiana occidentale è ormai finita da un bel pezzo. Ma il mondo però non è finito e occorre darsi da fare per un nuovo annuncio del Vangelo, per una “nuova evangelizzazione”, la quale darà origine – non può essere altrimenti – ad una nuova civiltà cristiana.

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Info Don Piero Cantoni

Don Pietro Cantoni nasce a Piacenza il 19 aprile 1950. Autore di numerose pubblicazioni, è stato professore stabile di teologia presso lo Studio Teologico Interdiocesano “Mons. Enrico Bartoletti” di Camaiore (LU). Fondatore della Fraternità san Filippo Neri nella diocesi Massa Carrara – Pontremoli, è membro del capitolo nazionale di Alleanza Cattolica e guida Esercizi ignaziani dal 1975.

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