« Poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: “Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto”. Detto questo, esclamò: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”. I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: “A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza » (Lc 8,4-15).
Gesù nei Vangeli annuncia il Regno di Dio. Dice che è « vicino » (Mt 3,2; 4,17; 10,7; Mc 1,15; Lc 10,9.11; 11,20; 21,31), che – addirittura – è già « in mezzo a voi » (Lc 17,21). Ad esaminare le cose con più attenzione, non tardiamo ad accorgerci che il Regno si identifica con Gesù stesso. “Viene” ed “è vicino”, perché in Gesù e per mezzo di Gesù Dio si approssima all’uomo per restaurare la sua sovranità sul mondo. È per questo che la sua venuta sconvolge le forze del male: « Sei venuto a rovinarci? » (Mc 1,24) e le mette in fuga: « Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio » (Lc 11,20). Se gli uomini accolgono la sua Parola e credono, succede come quando il seminatore getta il seme in un campo. La forza di dare il frutto, il modo con cui il frutto si sviluppa, sfuggono a chi lo riceve… Ma in qualche modo dipende da lui l’accogliere il seme e il custodirlo. Il seme può essere accolto lì per lì, ma poi trascurato. Cade su una strada, non penetra, non viene veramente accolto. Gli uccelli lo beccano ben presto e di frutto non se ne parla più.
Cade su un terreno sassoso. Viene accolto, ma troppo in superficie. Non può mettere veramente radici; ciò che nasce non può cercare il nutrimento e la linfa vitale in profondità: è destinato ad essere seccato dal calore del sole. Quello stesso sole che – se avesse radici e linfa in sé stesso – lo farebbe crescere e portar frutto, lo scalda e lo secca.
Cade in mezzo ai rovi. Mette radici, cresce, ma ben presto è soffocato da piante più forti di lui: le paure e le preoccupazioni del mondo. In queste immagini sono descritte le possibili, molto spesso alterne vicende della «buona battaglia della fede» (1 Tim 6,12). L’entusiasmo della conversione, quando la Parola di Dio ci illumina e ci conquista e tutto “sembra facile”. La delusione davanti al “tutto e subito” che manifesta la sua falsità e si rivela come una illusione e quindi come una insidiosa tentazione… La stanchezza dell’attesa davanti a qualche cosa che “succede”, ma succede nel profondo e noi non lo vediamo e non lo controlliamo: «Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,27)… La fatica dell’umiltà che deve saper aspettare il tempo del nascere, del crescere e della raccolta, cioè il dispiegarsi di una forza che non viene da te… Le impennate dell’orgoglio e della rabbia che vorrebbero ribaltare una situazione con le proprie forze, cambiando le scelte fatte in precedenza, quando la voce di Dio era sensibile e noi eravamo consolati: allora si vuole crescere troppo in fretta senza avere cercato in profondità la forza di Dio. Il compromesso tra le esigenze della fede e della preghiera e le preoccupazioni del mondo: non ho tempo… per Dio. I momenti di buio in cui le “parabole” – cioè le Scritture, gli Insegnamenti della Chiesa, ciò in cui una volta credevamo – restano tali: storie senza senso, opache, senza bellezza, non perché il senso e la bellezza non ci siano, ma perché abbiamo perduto la pazienza di guardare e di aspettare e il nostro cuore si è fatto duro… Se crediamo, quando crediamo, qualcosa è incominciato in noi: «sostanza di cose sperate» (Eb 11,1). Nel nostro cuore, inabitato da Gesù, nella nostra storia, inabitata dalla Chiesa, che è « il regno di Cristo già presente in mistero » (Lumen gentium, 3).
La Chiesa è la presenza di Cristo nella storia e nella società, una presenza che, se all’inizio è piccola come un granello di senapa, «diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami» (Mt 13,32). L’ombra che questo albero proietta sulla società e la storia degli uomini si chiama “civiltà cristiana”. Oggi, ed è il dramma del nostro tempo, la civiltà cristiana, almeno in Occidente, è finita. Ma, nel bel mezzo del dramma (che non è, di per sé, una “tragedia”), la prospettiva affascinante di una nuova evangelizzazione. Il seme ci raggiunge ovunque… È l’aspetto “strano” della parabola: è una stranezza che il seminatore butti letteralmente via la semente gettandola sulla strada, in mezzo ai sassi, tra i cespugli. Nonostante le puntuali osservazioni di Joachim Jeremias sulle abitudini palestinesi la stranezza rimane. Il seme ci raggiunge ovunque e noi dobbiamo spargerlo a 360 gradi… Perché ogni cosa è possibile alla Parola di Dio.