« Diceva anche ai discepoli: “Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce » (Lc 16,1-8)
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Perché questo amministratore è stato “astuto”? Non perché ha compensato la mancanza di opere buone nella sua vita passata, ma perché ha utilizzato in modo avveduto i vantaggi che gli rimanevano ancora per poco, in previsione di quando gli sarebbero stati tolti. Gesù ci ricorda che tutti i vantaggi materiali di cui ora godiamo spariranno inesorabilmente con la nostra morte. Come utilizzarli bene? Facendoci degli amici in cielo. Utilizzandoli cioè per amare: in questo modo i beni terreni spariranno, ma il bene fatto per amore rimarrà. « “Ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32). “Il cristiano veramente tale nulla possiede di così strettamente suo che non lo debba ritenere in comune con gli altri, pronto quindi a sollevare la miseria dei fratelli più poveri” [Catechismo Romano, 1, 10, 27]. Il cristiano è un amministratore dei beni del Signore [cfr. Lc 16,1-3] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 952). L’elogio che Gesù fa dell’amministratore disonesto ci mette in crisi. Questa crisi è voluta, serve per approfondire e capire. L’elogio di Gesù non termina alla disonestà in quanto tale, ma all’astuzia di cui è espressione. È questa astuzia che dobbiamo fare nostra. Anche noi siamo degli amministratori. Nessuno dei beni che abbiamo è nostro per sempre: un giorno ci saranno tolti e dovremo rendere conto – all’unico e definitivo proprietario, cioè a Dio – di come li abbiamo amministrati. Se li abbiamo amministrati come se fossero nostri, cioè esclusivamente per il nostro proprio comodo, allora siamo veramente degli amministratori disonesti. Dobbiamo invece usarli per farci degli amici: cioè per il nostro prossimo. Così saremo anche noi astuti: ciò che abbiamo per un tempo, lo usiamo per l’eternità. Cioè usiamo dei beni temporali in vista dell’eternità. In qualche caso questo vorrà dire disfarsene – cioè venderli per distribuirne il ricavato ai poveri. In questo modo si darà un segnale concreto e convincente che i beni di questo mondo passano e che la vita eterna è un’altra cosa completamente differente. In altri casi si capirà che per noi è meglio conservare i beni per poter distribuire elemosine ai poveri (« Chi ha pietà del povero fa un prestito al Signore » Pr 19,17). Oppure si capirà che dobbiamo farli fruttare per accrescere la ricchezza, diffonderla mediante la creazione di nuovi posti di lavoro ed offrire anche ad altri la possibilità di distribuire elemosine. Tanti modi di esercitare una stessa santa “astuzia” e di far servire le cose di questo mondo alla vita eterna.
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Don Piero Cantoni