« Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Pietro allora gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”. Compiuta la traversata, approdarono a Gennèsaret. E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti » (Mt 14,22-36).
Gli ebrei, a differenza dei loro cugini fenici, non erano un popolo “acquatico”. Non che non apprezzassero l’acqua, ma quasi si limitavano a coglierne l’aspetto positivo come sorgente di vita e di vegetazione anche in mezzo al deserto, mentre nel mare vedevano solo l’aspetto terribile delle burrasche e dei “mostri” – i grandi pesci – che lo abitavano. Il mare faceva loro paura. Anche il “mare” (in ebraico esiste una sola parola per lago e mare) di Tiberiade (o Gennèsaret), quando era un po’ agitato, faceva loro paura. Così il mondo rinnovato alla fine dei tempi era concepito senza questa sorgente di pericolo e di spavento: « […] vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più » (Ap 21,1).
In tutta la Bibbia è disseminato questo aspetto negativo e terribile delle acque. Esse sono potenti, ma l’amore è più potente: « Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo » (Ct 8,7). « Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo in un abisso di fango, non ho nessun sostegno; sono caduto in acque profonde e la corrente mi travolge » (Sal 69,2-3): le acque che non ti danno sostegno e ti travolgono rendono bene l’esperienza dell’uomo che si sente soffocato dall’angoscia, che non trova più nella vita nessun sostegno solido, che è avvolto dalle difficoltà ed immerso nella paura. Comprendiamo allora come l’esperienza di Pietro che va incontro al Signore camminando sulle acque abbia un significato straordinario. Ciò non ci autorizza affatto a diluire l’evento miracoloso nel genere letterario di un racconto simbolico. Un racconto di tal fatta non avrebbe avuto nessuna forza dirompente e non avrebbe convinto nessuno.
Far così sarebbe dimenticare che Dio racconta anche – se non soprattutto – con il linguaggio dei fatti. Pietro domina la forza paurosa ed avvolgente delle acque guardando fisso a Gesù e perde subito questo potere quando distrae lo sguardo da lui. Anche noi dobbiamo fare altrettanto: guardare a lui, come un soldato nei pericoli della battaglia guarda al volto del capitano che gli trasmette serenità e sicurezza; guardare alla sua vita, come alla vita vera, bella ed efficace, lasciando che ci conquisti e diventi la nostra (cfr. 2Cor 3,18; Col 3,3-4). È il senso profondo ed autentico del Rosario: Maria ci prende per mano e ci aiuta a non distogliere mai lo sguardo da Gesù in mezzo alle vicissitudini della vita.