« Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà”. Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “Che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?”. Gli dicono: “Lo possiamo”. Ed egli disse loro: “Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato”. Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” » (Mt 20,17-28).
I Vangeli ci raccontano molte e importanti cose sulla vita degli apostoli. Ma c’è un punto che deve farci riflettere: a prima vista paiono essere racconti che trasmettono un quadro disastroso delle loro personalità. Emergono delle persone che spesso (si sarebbe tentati di dire: ‘troppo spesso’) non capiscono il significato di quello che Gesù dice e fa. Se i racconti evangelici fossero stati inventati dai primi cristiani ci trasmetterebbero un quadro idealizzato dei fondatori del Cristianesimo (Ap 21,14), mentre è proprio il contrario quello che viene raccontato. Qui i due fratelli avanzano una richiesta esorbitante. È la madre che la fa, ma non si fatica a capire che i due sono d’accordo e che probabilmente mettono la madre di mezzo per ottenere più facilmente quello che desiderano.
È ormai chiaro ai discepoli che Gesù è il Messia, quindi è il Re d’Israele. Ormai si è in procinto di assistere alla sua solenne intronizzazione a Gerusalemme. Sedere alla sua destra è un privilegio enorme: vuol dire condividere il suo potere (1Re 2,19; Sal 110,1). Essere capaci di bere il suo calice? Ma certamente! E chi non sarebbe capace di partecipare ai banchetti sontuosi e squisiti della corte? Comandare come il Re? Che bello! Vuol dire avere tutti ai propri piedi e disporre di un potere senza limiti… con il quale naturalmente poter fare finalmente tanto e tanto bene (!?). Il primo bene che dovettero avere in mente “i figli del tuono”, secondo il soprannome dato loro da Gesù stesso (Mc 3,17), era certamente quello di far finalmente giustizia, schiacciando tutti i malvagi e punendoli esemplarmente. Gesù pazientemente (quanta pazienza!) fa loro delicatamente capire che le cose non stanno così. Chi deve stare alla destra e alla sinistra del suo trono è già stabilito: « Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra » (Mt 27,38). Anche il privilegio di bere lo stesso calice di Gesù è già accordato: Giacomo morirà martire (cfr. At 12,1-2) e Giovanni, sebbene sia l’unico apostolo morto di morte naturale, fu esiliato nell’isola di Patmos (Ap 12,2) e visse una vita di persecuzione fino alla morte.
L’incomprensione degli Apostoli è solo la loro? Pratichiamo l’esame di coscienza quotidiano. Troveremo forse che anche noi spesso ci indigniamo per i tanti comportamenti sbagliati che vediamo attorno a noi, spesso da parte di uomini di Chiesa. Ma come ci indigniamo? « Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli ».