« Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete » (Mt 7,15-20).
Chi sono i falsi profeti di cui parla qui Gesù? Ma soprattutto come facciamo a riconoscerli? Il solo fatto che siano dentro la Chiesa non può essere un criterio sicuro e assoluto, perché sappiamo che il demónio semina zizzania nel buon campo della Chiesa (cfr. Mt 13,24-30). Il falso profeta è colui che si presenta con le apparenze del vero profeta, che viene a noi “in veste di pecora”, nascondendo così le sue intenzioni malvage, perché “dentro è lupo rapace”. Come andare al di là delle apparenze e cogliere la verità nascosta? Gesù ci fornisce un criterio sicuro: « Dai loro frutti li riconoscerete ». Dobbiamo però – come sempre – stare attenti alle conclusioni affrettate. Le parole di Gesù vanno ascoltate con ubbidienza, umiltà e “memoria”. Cioè vanno accolte nel cuore (ri-cordate). Quali sono i frutti di cui parla Gesù? È Gesù stesso che ce lo spiega: « Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive. Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato » (Mt 12,33-37). I frutti non sono le opere in sé, i successi esteriori, i “risultati”. Questi possono essere anche apparentemente belli e buoni e possono tranquillamente venire dal diavolo. Sono le parole che sgorgano dal cuore unito a Gesù, le quali parlano di misericordia, di umiltà, unità e conversione (cfr. Mt 3,8.10). Come Dio possa contemplare il nostro cuore pieno di cattiverie con amore per noi rimane un mistero. Un mistero che però dobbiamo imparare. Con la fede infatti dobbiamo far nostro il pensiero di Dio: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù » (Fil 2,5); meglio: « Pensatela in tutto [τοῦτο φρονεῖτε] come Cristo Gesù ». Se siamo docili, mediante la fede, Dio ci insegna ad amare: «La carità [l’amore] … non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità » (1Cor 13,4.6). Sulla via di questo apprendimento, che è il senso vero della vita, si erge un ostacolo, che intralcia soprattutto i principianti (fra i quali mi classifico anch’io): lo “zelo amaro”. Che cosa è lo zelo amaro [ζῆλος πικρός] (Gc 3,14)? Per capirne il significato la cosa migliore è leggerne tutto il contesto della lettera in cui questa espressione è contenuta: « […] se avete nel vostro cuore gelosia amara [= zelo amaro] e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove c’è gelosia [= zelo] e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia » (Gc 3,14-18). Lo zelo amaro è uno zelo per il bene, ma non animato dalla carità e quindi dannoso. È tipico dei principianti: all’inizio è segno di volontà seria di bene, ma con il passare del tempo rivela la sua forza distruttiva. Ne parla anche San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, cap. 28: « L’anima facendo un confronto, giudica gli altri cattivi e imperfetti, sembrandole che essi non agiscano e operino bene come lei, stimandoli di meno in cuor suo e spesso anche a parole » (ma si veda tutto il capitolo!). Ho visto tanti sbagliare, perché irretiti in questa mentalità, avvelenati da questa amarezza che acceca. Dice san Francesco d’Assisi nella Regula bullata: « […] tutti i fratelli si vestano di abiti vili e possano rattopparli con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, a non giudicar gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate. Ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso ». Qual’è stato il “risultato” dell’azione profetica di Gesù? La Croce (che è il grande scandalo per gli islamici: cfr. Corano, sura IV versetto 157). Quale il “risultato” della predicazione di san Paolo? La prigionia e il martirio. Alla lunga però il “risultato” dell’azione di Gesù è stato un mondo nuovo e – se lo accolgo – anche il cambiamento del mio cuore. Anche il “risultato” dell’azione apostolica di san Paolo è stato la nascita dell’Europa cristiana. Nell’immediato però, sia per Gesù che per il suo discepolo Paolo il “risultato” è stato l’abbandono e in qualche caso il tradimento e il rinnegamento dei discepoli più stretti. « Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto » (2Tm 4,16). Per valutare i “frutti” bisogna ascoltare attentamente le parole, guardare in profondità e avere pazienza.