« Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano” » (Mt 9,14-17).
Il digiuno era e rimane una caratteristica di chi ama Dio con tutto il cuore e, rinunciando a cose assolutamente legittime e buone, vuole manifestare il suo cambiamento interiore – la sua conversione – in modo concreto. La legge lo prescriveva solo il giorno dell’espiazione, lo Yom Kippur (Lev 16,29), i farisei in segno di devozione lo praticavano due volte la settimana (Lc 18,12) e anche i discepoli di Giovanni lo praticavano molto spesso, era dunque comprensibile che la prassi dei discepoli di Gesù recasse meraviglia. La giustificazione che dà Gesù di questo atteggiamento si risolve in una ennesima velata dichiarazione della sua divinità. Lui è il vero Sposo (Mt 22,2; 25,1; Gv 2,1; 3,29) e i banchetti a cui partecipa non sono solo dei ritrovi di amici, ma feste di nozze a cui lo sposo invita i suoi ospiti. Per degli ebrei imbevuti di Scrittura queste immagini erano familiari: « […] tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra » (Is 54,5). « Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te » (Is 62,4-5). Con la venuta di Gesù anche il digiuno assume un significato nuovo. Non è più principalmente un segno di conversione da una vita di peccato ad una vita di giustizia, ma è tutto ormai riferito a Gesù, al vero Sposo della nostra vita. Quando è con noi non ha senso digiunare, quando ci è tolto, allora ha senso manifestare il nostro desiderio di Lui e della sua presenza, rinunciando a tutte quelle gioie che ci possono venire da altro: cibo, amici, divertimenti legittimi, ecc. Lui è la nostra unica Gioia. Il vero digiuno non è un pagamento (impossibile!) del nostro debito, ma l’espressione di una conversione, nel senso di una partecipazione piena alla vita del nostro Sposo. Un modo di accogliere la sua vita di morte (digiuno) e risurrezione (festa). Ecco perché non è, non deve essere, sinonimo di tristezza. Un digiuno triste… è un triste digiuno.