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Il pensiero del giorno:1Cor 4,1-5

7 Settembre 2018 - Autore: Don Piero Cantoni

« Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode » (1Cor 4,1-5).

 

Riporto il commento di un santo sacerdote che ho avuto la grazia di conoscere personalmente: don Oreste Benzi. Diceva don Oreste a proposito di questo brano: « Mi ricordo il racconto di un vescovo che era ritenuto santo ed è morto. Ad un suo devoto è apparso circondato da fiamme. Stupito, gli ha chiesto: “Ma Padre, voi non siete santo?” e lui risponde: “Quando si arriva davanti a Dio non bisogna apparire santo, bisogna esserlo”. Certe volte immagino che vado in paradiso e voi che arrivate dopo mi venite a cercare; cercherete e non mi troverete… Poi magari mi vedrete in un angolino sperso e direte: “Ma don Oreste, tu sei qui?” “Caro, non basta apparire santi, bisogna esserlo” ». Che differenza c’è tra un esame di coscienza fatto male ed uno fatto bene? Che quest’ultimo è una preghiera, in cui mettiamo la nostra vita, con tutti i suoi peccati, davanti a Gesù perché lui la giudichi… Che cosa è una confessione? È un giudizio. È come andare in tribunale in cui noi però non siamo i giudici. Noi siamo solo testimoni di accusa. Lì dobbiamo accusare noi stessi. Senza cercare attenuanti, senza scaricare le colpe sugli altri, senza accusare il nostro prossimo, ma solo noi stessi. Di che cosa ci possiamo vantare? Papa Francesco nell’omelia del 4 settembre 2014 in santa Marta ha citato a senso san Paolo che avrebbe detto: «Io soltanto mi vanto dei miei peccati». Qualche ignorante presuntuoso ha subito accusato il papa di avere inventato queste parole scandalose che non possono assolutamente essere di un santo!

L’ignoranza e la presunzione si vogliono molto bene e di solito nel viaggio della vita stanno nello stesso scompartimento. In realtà infatti san Paolo dice proprio così: « Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello » (Gal 6,4-5). Se uno vuole vantarsi deve vantarsi di quello che è suo e solo suo: che cosa abbiamo di solo nostro davanti a Dio? Il peccato! Se vogliamo proprio vantarci è di quello e solo di quello che possiamo farlo! Conviene piuttosto allora che depositiamo il fardello davanti alla croce di Gesù e facciamo come san Paolo: « Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo » (Gal 6,14). Nel tribunale della confessione il solo giudice è il Signore il quale intercede per noi: « Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno » (Lc 23,34), noi che lo abbiamo messo in croce con i nostri peccati. Il nostro vero vanto diventa allora la misericordia di Dio che – senza nessunissimo merito da parte nostra – ci perdona. Voglio qui riportare le parole di un altro santo sacerdote che ho avuto la grazia di avere come direttore spirituale per più di trent’anni: don Giambattista Lanfranchi. Diceva don Giambattista: « il nostro unico merito è quello di lasciarci amare da Gesù »

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