« […] Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti » (1Cor 15,20); « Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce » (1Pt 1, 3); « Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti » (Fil 3, 7-10); « […] il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore » (Rm 1, 3-4).
La Bibbia racconta una storia. Non una storia qualsiasi, ma quella che potrebbe essere definita a giusto titolo “la” storia. La si può chiamare “storia della salvezza”, ma – posto che la salvezza, cioè la deificazione dell’uomo per grazia – è quello che vi è di più importante in assoluto, credo che sia più preciso chiamarla “la storia” in assoluto. Essa racconta tutto? Sì e no. Se per “tutto” si intendono tutte e singole le vicende della storia dell’uomo, ovviamene no. Una storia simile d’altronde non è neppure raccontata dalla storiografia moderna, anche quando pretende di essere una cosiddetta (e impossibile) “storia universale”. Sarebbe come una carta geografica che riproducesse così esattamente la superfice della terra da essere in scala 1/1. Oltre che impossibile sarebbe assolutamente inutile. Ogni storia è una scelta di fatti in mezzo a tanti altri: dal criterio con cui si sceglie dipende il suo valore, la sua importanza e la sua efficacia.
Il vangelo di Giovanni riporta due conclusioni che ripetono lo stesso concetto con parole diverse: « Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome » (Gv 20, 30-31); « Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere » (21, 24-25). Entrambe le conclusioni significano questo: Giovanni non ha scritto tutto, ma ha scelto tra le gesta di Gesù quelle che ha ritenuto le più importanti per suscitare la fede in coloro a cui si rivolgeva la sua predicazione e quindi il suo libro. Quello che vale per Giovanni vale per tutti gli autori dei libri della Bibbia, guidati dall’autore principale che è Dio. In modo particolarissimo vale per gli autori dei Vangeli.
Gli eventi raccontati dai Vangeli sono infatti il cuore della Bibbia, preparato da tutto quanto viene prima e di cui quello che viene dopo sono come la spiegazione e lo sviluppo che si apre sull’eternità. Ma qual è il cuore dei Vangeli? Qual è il cuore della vita di Gesù? Al centro sta la vicenda della sua passione e della sua risurrezione. Vediamo che nei Vangeli è la vicenda raccontata più dettagliatamente e, per così dire, tutta di un fiato. La liturgia ce lo attesta con chiarezza: durante la settimana santa i racconti sono letti (o cantati) con estrema solennità e in tutta la loro lunghezza. Anzi, se raccogliamo le testimonianze degli scritti successivi, sembra che la risurrezione abbia un primato. In realtà dobbiamo stare bene attenti a questo paradosso; la morte per amore di Gesù non è separabile dal fatto che il suo sacrificio è accolto dal Padre che lo risuscita dai morti. Morte e risurrezione non possono essere staccati: insieme costituisco la Pasqua: il passaggio da questo mondo al Padre, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dal peccato alla santità che costituiscono il senso ultimo e vero della nostra vita e della nostra storia.
La storia raccontata dalla Bibbia è infatti la chiave di interpretazione di tutta la storia del mondo. Sia in senso quantitativo che in senso qualitativo. In essa è compresa anche la nostra storia, quella di ciascuno di noi. In essa trovano la loro spiegazione e il loro senso ultimo le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre vittorie e le nostre sconfitte. Il loro senso, la loro direzione è la Pasqua. Un passaggio che nessuno di noi sarebbe capace di compiere da solo, ma che è possibile compiere se si accoglie la grazia della vita stessa di Gesù che si dona a noi per “trasportarci” con lui. Tutto si centra in lui, anche le nostre sconfitte e le nostre umiliazioni. Un centro che non è solo un racconto scritto e neppure una storia solo raccontata. La sua consistenza ultima non è quella della carta di un libro o del suono effimero di parole che vengono inghiottite dal silenzio non appena pronunciate, ma è quella di una persona in carne ed ossa, viva e vivificante, che siamo invitati ad incontrare nella fede e nell’amore. È Gesù risorto che porta sul suo corpo le tracce incancellabili e gloriose delle sue piaghe.