Controlli su 30mila persone coinvolte nella rete dei terroristi islamici. I sospetti sulle comunità di immigrati Sono 741 le segnalazioni a Via Nazionale sul sostegno economico alla jihad: sei volte in più rispetto al 2014
In Italia, dal 2014, cresce vertiginosamente il numero dei tentativi scoperti di mandare soldi all’estero per la guerra santa.
Nel 2016 abbiamo toccato la cifra record di 619 segnalazioni che, sommate a quelle originariamente incluse nella categoria «riciclaggio» e poi riclassificate dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, salgono a 741.
Sarà che le maglie dei controlli sul finanziamento del terrorismo si stringono sempre di più, oppure che i funzionari preposti al sistema di sorveglianza sono particolarmente attenti, ma la progressione è comunque impressionante, poiché fa segnare un +127% rispetto al 2015 ed è sei volte superiore a quello del 2014.
E l’andamento prosegue a velocità sempre più impressionante, tanto che, afferma il Rapporto annuale dell’Uif reso pubblico ieri, «i dati dei primi tre mesi del 2017 confermano il trend crescente già registrato nell’anno trascorso: sono, infatti, pervenute 209 segnalazioni di terrorismo e 6 di proliferazione delle armi di distruzione di massa».
La crescita costante testimonia inoltre una notevole capacità di occultare il trasferimento di fondi, mascherandolo in modo da non essere riconosciuto. Ben 122 movimenti di denaro erano stati infatti confusi in un primo tempo con versamenti con finalità diverse.
Insomma, si testimonia l’esistenza di una prassi di scambi sommersa che suscita l’attenzione delle forze dell’ordine. Talvolta sono le notizie di cronaca, spesso la richiesta di informazioni da parte delle autorità su un cliente e «un suo possibile coinvolgimento, diretto o indiretto, in vicende di terrorismo» a far accendere la spia.
«All’incirca un quinto delle segnalazioni sono connesse con anomalie nei rapporti fnanziari riferibili a organizzazioni no-profit, per lo più collegate a comunità locali di immigrati», sottolinea il Rapporto dell’Uif, che poi fa scattare la fase dell’analisi sulla «coerenza delle operazioni rispetto alle finalità delle associazioni e alle eventuali motivazioni fornite».
Non è tutta beneficenza quella che si presenta come tale. Specialmente se i soldi finiscono in «aree geografiche ritenute ad alto rischio di terrorismo» o in zone «limitrofe a quelle dei conflitti». Tanto più che i sospetti spesso sono confermati da altre circostanze: le persone coinvolte si mostrano reticenti, danno spiegazioni poco plausibili, presentano documenti falsi. Ogni elemento è buono per indicare la possibile connessione con il fenomeno del jihadismo internazionale. Anche stranezze nei prelievi di contante, nei pagamenti all’ estero, negli acquisti on line con carte di pagamento, per esempio, se si tratta di mutamenti repentini di comportamento, possono condurre alla scoperta di una rete di foreign fighter. Magari per interposta persona, cioè tramite intermediari che le assicurano la logistica, un’organizzazione di reclutamento può pianificare viaggi, transiti ed eventuali rientri nello Stato di provenienza dei combattenti. Fra l’altro non si tratta mai di cifre in grado di destare l’attenzione. Quando però si utilizzano carte di pagamento oppure si effettua l’accesso ai servizi di home banking da aree particolarmente a rischio e magari ci si allontana senza motivo dall’Italia dopo aver acquistato equipaggiamenti sportivi particolari, le coincidenze iniziano a farsi troppe.
Rimane soltanto da individuare, oltre alla predilezione ormai accertata per la Penisola da parte dei militanti dell’Isis, quante siano le operazioni rimaste segrete. Non solo il monitoraggio è complesso, ma richiede una quantità di addetti e di tempo enorme, stando al numero di persone coinvolte: «Le comunicazioni effettuate nel corso del 2016 (536, in aumento di circa il 40% rispetto all’ anno precedente) riguardano oltre 18.000 soggetti (il numero complessivo è sinora di oltre 30.000)», indica l’Uif, precisando che non intende far «riferimento soltanto a ipotetici aderenti o fiancheggiatori dell’ Isil, ma a una lista più ampia di soggetti che include anche tutti quelli collegati ai primi da elementi oggettivi o soggettivi (ad esempio legami di parentela o connessioni in trasferimenti finanziari)».
Se fossero tutti kamikaze pronti a entrare in azione, correremmo il rischio di finire entro breve tempo come la Siria. Ma anche se si trattasse di una rete di complicità cresciuta nell’ombra, dovremmo svegliarci. La vigilanza sulle attività economiche non basta più.
Andrea Morigi
Da “Libero” del 4 luglio 2017. Foto da NBC