Nota del 13 aprile 2020
Nel settantacinquesimo anniversario della morte del beato Rolando Rivi, ucciso da un gruppo di partigiani comunisti, riproponiamo il racconto della sua breve vita, del suo martirio e della sua beatificazione.
Marco Calzolari, Cristianità n. 371 (2014)
La beatificazione di Rolando Rivi
Il 29 settembre 2002 Alleanza Cattolica e i Gruppi Studenteschi Tertio Millennio — nell’ambito del progetto denominato Pellegrinaggio per l’Italia, inteso a visitare luoghi significativi della storia religiosa e civile per ricuperarne la memoria e riscoprire l’identità nazionale italiana, premessa alla nuova evangelizzazione (1) — organizzano, nella chiesa parrocchiale di San Valentino di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, un pellegrinaggio sulla tomba di Rolando Rivi (1931-1945), giovane seminarista di quattordici anni catturato e ucciso nel 1945 da un gruppo di partigiani comunisti.
I soci di Alleanza Cattolica avevano conosciuto la figura e la storia di Rolando Rivi in modo apparentemente casuale; ma la casualità, come spiegherà nella sua introduzione al pellegrinaggio l’avvocato Paride Casini, dell’associazione promotrice, è spesso la modalità sotto cui la Provvidenza nasconde i propri interventi nella nostra vita, così da rispettare e, insieme, sollecitare la nostra libertà. Avevano sentito quindi un forte richiamo a visitare i luoghi dove Rolando era nato, era cresciuto ed era stato educato, e dove sotto la cura e la direzione del proprio parroco, don Olinto Marzocchini (1888-1972), aveva maturato la sua vocazione sacerdotale.
Al pellegrinaggio, che vede un’ampia partecipazione anche di gente del posto e dei paesi vicini, porta la sua toccante testimonianza don Alberto Camellini (1919-2009) (2), della diocesi di Reggio Emilia, ordinato sacerdote nel luglio 1944, che al momento dell’uccisione di Rolando era da otto mesi curato vicario di San Valentino (3). Era stato proprio lui, con notevole coraggio e a rischio della propria vita, a ritrovare il corpo di Rolando dopo due giorni di ricerche e a disseppellirlo sotto gli occhi del padre, Roberto (1903-1992).
L’anno prima del pellegrinaggio di Alleanza Cattolica, nel maggio 2001, l’allora parroco di San Valentino, padre Giovanni Battista Colusso (1915-2007), dell’Istituto Missioni della Consolata, aveva dato notizia di una guarigione miracolosa avvenuta a Londra grazie a una reliquia di Rolando Rivi: un bambino inglese di due anni, gravemente ammalato di leucemia, era inspiegabilmente guarito, al termine di una novena di preghiere e dopo che i genitori gli avevano posto sotto il cuscino una ciocca di capelli del martire intrisa del suo sangue. La reliquia era stata spedita dallo stesso padre Colusso a un amico della coppia, che provvidenzialmente era venuto a conoscenza della vicenda di Rolando Rivi leggendo L’Osservatore Romano, mentre frequentava la Pontificia Università Antoniana a Roma (4).
La notizia, diffusa anche sulla stampa nazionale (5), suscita un aumento della devozione popolare e dei pellegrinaggi sulla tomba di Rolando, con successive richieste di reliquie del giovane martire e di sue intercessioni.
Nel 2005 si forma il Comitato Amici di Rolando Rivi, promosso dallo scrittore e giornalista Emilio Bonicelli, autore di una biografia di Rivi (6), con la finalità di far conoscere la vita del giovane martire e di promuoverne la beatificazione. Il processo diocesano viene finalmente aperto il 7 gennaio 2006 dalla diocesi di Modena-Nonantola e chiuso il 24 giugno dello stesso anno dall’arcivescovo abate Benito Cocchi, con l’affermazione che il martirio del giovane seminarista pareva avvenuto realmente in odium fidei. Il 23 giugno 2010 la positio del servo di Dio Rolando Rivi viene iscritta nel protocollo dei martiri presso la Congregazione per le Cause dei Santi.
Il 27 marzo 2013, infine, Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione a promulgare il decreto riguardante il martirio, e il 5 ottobre 2013 si è tenuto a Modena il rito di beatificazione, presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione.
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Rolando, nato e cresciuto in una buona famiglia cristiana di San Valentino, paesino della collina reggiana vicino alla vallata del Secchia, era secondo di tre figli. A cinque anni inizia già a servire la Messa e impara i canti liturgici. Attesta Guido, il fratello maggiore, parlando della propria famiglia: «Eravamo mezzadri del beneficio parrocchiale di San Valentino. Tutti religiosi e praticanti. Rolando è cresciuto in un clima di vita semplice e religiosa» (7). Cosa confermata da Alfonso Rivi, cugino di Rolando: «Erano una famiglia profondamente religiosa e praticante. Rolando nacque in questo ambiente e ricevette una formazione religiosa, soprattutto dall’esempio della nonna» (8). Il biografo Paolo Risso offre la descrizione di un carattere allegro e molto generoso, con uno spiccato senso della giustizia e un non comune spirito di preghiera: «Rolando cresceva aperto e sereno, anzi felice, e si scatenava di frequente in corse sfrenate e in giochi anche spericolati, rispondendo a tono a chi si permetteva commenti su di lui o lo interrogava. Combinava birichinate allegrissime e stargli insieme era uno spasso. Rendendosi conto che certe monellerie gli avrebbero attirato gli scapaccioni dei grandi, riusciva a farsi perdonare tutto, sfoderando il più disarmante dei sorrisi o uscendo in battute spiritose e buone. […] Il cuore però l’aveva grande e buono: non sopportava ingiustizie e protestava ad alta voce quando ne vedeva. Con i suoi cari era di una tenerezza incantevole, generoso con i compagni di gioco. Ed era bello soprattutto vederlo pregare. La nonna, che lo conosceva bene, era solita dire: “Rolando, o diventerà un mascalzone,o un santo! Non può percorrere una via di mezzo!…” Aveva intuito che il nipotino non sarebbe stato un mediocre, né nel bene, né nel male» (9).
A sette anni, in occasione della festa del Corpus Domini, Rolando riceve la Prima Comunione. Completa poi l’iniziazione cristiana con la Cresima, ricevuta dal vescovo di Reggio Emilia mons. Eduardo Brettoni (1864-1945) il 24 giugno 1940, festa di San Giovanni Battista. Aveva da poco compiuto nove anni e già maturava in lui il desiderio di fare della propria vita un’offerta totale a Cristo (10).
A undici anni Rolando sente la chiamata del Signore, esprimendo anche il desiderio di diventare missionario. Nel 1942 entra nel seminario di Marola, sulla montagna reggiana, per frequentare le scuole medie; lì indossa la veste talare, come era uso allora anche per i più piccoli, e da quel momento non la lascia più.
Sul suo periodo a Marola vi è la testimonianza di don Guerrino Orlandini (1915-2006), in quegli anni insegnante di lettere e di musica nel seminario: «Posso attestare che Rolando pregava: amava la preghiera, viveva intensamente e con profondo raccoglimento i momenti della preghiera; dava l’impressione di essere in preghiera anche fuori dai momenti ufficiali» (11). La spiritualità eminente e fuori dal comune del giovane emerge anche dal modo in cui partecipava alla Messa. Don Guerrino, richiamandosi alla propria esperienza diretta, se ne mostra particolarmente convinto: «Personalmente ricordo l’amore e l’attenzione con cui, in Seminario, serviva la Messa, come chierico, e la gioia che provava — e che all’occorrenza manifestava — quando, seguendo i turni stabiliti, toccava a lui servire la Messa della comunità. E ricordo l’impegno che metteva per imparare a suonare l’armonium»(12). Don Orlandini parla anche dello zelo e dello spirito con cui Rolando rispettava il Regolamento del seminario: «Ricorrendo ad una immagine abbastanza nota, posso dire che tra gli alunni c’era chi quel regolamento lo percepiva come una camicia di forza, a cui non arrivava mai ad adattarsi; c’era chi, pur sentendoselo un po’ stretto, si adattava a quel vestito, senza troppe resistenze, ma anche senza troppo entusiasmo; e c’era chi in quell’abito si trovava a suo agio, vi entrava senza difficoltà e non solo lo osservava fedelmente ma, all’occorrenza, sapeva andare anche oltre quello che era prescritto, comprendendone l’importanza per la sua formazione umana e sacerdotale. Rolando apparteneva a questa terza categoria. […]Rolando era un ragazzo come tanti altri; più di tanti altri serio e riflessivo; però aperto e gioviale; amante dello studio, ma anche del gioco; amante del silenzio, ma anche del chiasso (al momento opportuno), dello scherzo, del canto; abitualmente sereno» (13). Don Orlandini attesta inoltre la fedeltà di Rolando al programma spirituale del seminario anche nel periodo delle vacanze in famiglia, quando sarebbe stato più facile trovare motivi per tralasciare le pratiche di preghiera: «Le testimonianze sono concordi nell’affermare che Rolando nel periodo delle vacanze non solo era fedele al programma, ma ne approfittava per dare più tempo alla preghiera, alla lettura, in chiesa, in casa, e anche nel boschetto. Rolando non pregava solo: amava la preghiera. La fedeltà alla Messa quotidiana era veramente il banco di prova per il seminarista in vacanza, anche per le difficoltà pratiche che poteva incontrare: orario della Messa, distanza dalla chiesa, orari ed impegni di famiglia. Ancora una volta le testimonianze sono concordi: Rolando non solo era fedele alla Messa quotidiana, ma arrivava prima per preparare o aiutare a preparare, serviva come chierico all’altare e spesso si fermava in chiesa anche dopo la Messa per pregare, per mettere ordine, per esercitarsi all’harmonium» (14). Anche don Alberto Camellini conferma lo zelo del giovanissimo seminarista nell’osservanza delle direttive a lui fornite dai formatori del seminario per i periodi di vacanza in famiglia: «Era fedele alle regole che i Superiori del Seminario avevano dato: Santa Messa quotidiana, visita al Santissimo; non allontanarsi dalla famiglia senza domandare il permesso al parroco. Rolando era fedelissimo a queste disposizioni e ogni giorno veniva a servire Messa» (15).
Nel 1944 i tedeschi occupano il seminario; tutti gli studenti devono fare rientro nelle loro case e lì continuare gli studi. Date le forti tensioni civili e politiche, i genitori di Rolando gli consigliano di togliersi la talare, ma egli con coraggio rifiuta, dicendo che non faceva nulla di male e che quella veste era il segno che lui era «di Gesù». Il 10 aprile 1945, dopo aver partecipato alla Messa, si reca a studiare in un boschetto vicino casa; all’ora di pranzo, quando il padre torna a casa dal lavoro nei campi, non trova il figlio ma un biglietto con la scritta«Non cercatelo. È venuto un momento con noi partigiani» (16). Il padre e don Alberto, molto preoccupati, si mettono subito alla ricerca affannosa del giovane.
Rischiando spesso l’incolumità personale e indagando fra i comandi partigiani comunisti della zona, trovano infine il corpo di Rolando a circa 25 chilometri di distanza, nei pressi di un casolare di Piane di Monchio, in provincia di Modena. Lì era stato portato e lì era restato per tre giorni in balìa dei partigiani comunisti. Questi lo avevano spogliato dell’abito talare per usarlo come pallone da calciare, insultato, picchiato brutalmente, frustato con una cinghia, cercando invano di fargli confessare di essere una spia, cosa non solo improbabile vista la sua giovane età, ma anche assolutamente falsa. Uno dei partigiani s’impietosisce, ma i suoi compagni gli rispondono:«Taci o farai anche tu la stessa fine. Ammazzandolo domani avremo un prete di meno» (17). Venerdì 13 aprile Rolando viene portato sanguinante nel bosco non lontano dalla casa, costretto a scavarsi la fossa e mutilato in modo infame. A quel punto chiede solo di poter pregare per i propri genitori, poi si mette in ginocchio: viene ucciso con due colpi di pistola e sepolto sommariamente.
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La vicenda di Rolando Rivi s’inquadra nel clima di strisciante guerra civile, che caratterizza alcune regioni dell’Italia Settentrionale e Centrale dal’armistizio dell’8 settembre 1943 e per alcuni anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Proprio la provincia di Modena (18) è al centro del famigerato «Triangolo della morte», o «Triangolo rosso» — Bologna, Modena, Reggio Emilia —, dove si verifica un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico, opera di partigiani e di militanti di formazioni di matrice comunista. Fra le vittime vi sono oltre cento sacerdoti — come don Luigi Lenzini (1881-1945) (19), di cui è in corso il processo diocesano sulla vita e sulla dichiarazione di martirio —, e alcune migliaia di laici, in grande maggioranza uccisi in quanto cattolici o, comunque, «nemici di classe».
Sulla storia del giovane seminarista, nonostante qualche riferimento sporadico apparso su libri e articoli di giornale, e il notevole lavoro storico di Paolo Risso, si è imposto per quasi sessant’anni una sorta di tabù, dal momento che metteva in discussione un sistema di potere costituito, nell’Emilia Romagna in gran parte legato al Partito Comunista, e perché avrebbe scardinato una lettura «politicamente corretta» della Resistenza.
Tuttavia la Provvidenza ha voluto che, nonostante forti riluttanze e imbarazzi all’interno della parte del mondo cattolico più orientata alla collaborazione con gli eredi del Partito Comunista, il processo di beatificazione abbia potuto iniziare in tempo per raccogliere i racconti dei testimoni diretti dei fatti. Particolare importanza, ai fini della ricostruzione storica, ha avuto anche il processo penale svoltosi a Lucca nel 1951 a carico dei due carnefici di Rolando, conclusosi con la condanna di entrambi a 23 anni di reclusione per omicidio volontario con l’aggravante del sequestro di persona, sostanzialmente confermata nel 1952 dalla Corte di Appello di Firenze e divenuta poi definitiva in Cassazione. Ciò, racconta il padre di Rolando, nonostante che «dalla parte degli assassini, oltre ai due avvocati difensori, vi era anche un pullman pieno di falsi testimoni che ne inventarono di tutte le sorti»(20).
Se il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, vi deve però essere anche un terreno buono nel quale vengono generate la fede e la fortezza dei martiri. A questo riguardo la Positio super virtutibusriporta una dettagliata testimonianza sul parroco don Olinto Marzocchini, «straordinaria figura di sacerdote» (21) che fu determinante nelle scelte di vita di Rolando. Giunto nel 1934 nella sua nuova parrocchia, si mette subito e di buona lena all’opera. Rinvigorisce l’Azione Cattolica in tutti i suoi rami, curandone l’arricchimento spirituale e culturale; si occupa con particolare sollecitudine della preparazione dei fanciulli ai Sacramenti ed educa con appositi corsi i chierichetti al loro servizio; ogni domenica tiene il catechismo degli adulti e ogni anno chiama religiosi qualificati ad animare le missioni al popolo. Ma la parrocchia è anche un centro di cultura generale e professionale: corsi di agricoltura e apicoltura, d’igiene, incontri con esperti su problemi di attualità, stimoli all’impegno dei giovani, così che aumenta considerevolmente il numero di diplomati e di laureati. Sensibile alle istanze di promozione umana e sociale, fa costruire con criteri razionali un caseificio e cura la ricostruzione delle case coloniche per assicurare abitazioni igieniche e decorose. In definitiva, un vero sacerdote consapevole che, anche in terra cristiana, la missione deve ricominciare ogni giorno.
La vocazione di Rolando e la sua fede eroica sono cresciute anche grazie all’esempio di don Olinto. Ci auguriamo, e preghiamo Dio per intercessione del beato Rolando, che nuove figure di sacerdoti e di laici possano generare santi ai nostri giorni e contribuire a risollevare anche le sorti civili del Paese.
Marco Calzolari
Note:
(1) Cfr. Pellegrinaggio sulla tomba di Rolando Rivi (1931-1945), inCristianità, anno XXX, n. 314, novembre-dicembre 2002, p. 25.
(2) Per un’analoga testimonianza di don Alberto Camellini cfr. l’indirizzo Internet <http://www.impegnocivico.net/htm/Camellini.htm> (gl’indirizzi Internet dell’articolo sono stati consultati il 31-1-2014).
(3) Il parroco, don Marzocchini, era stato costretto ad allontanarsi dalla parrocchia dopo essere stato gravemente oltraggiato dai partigiani locali (cfr. Diocesi di Modena-Nonantola, Beatificationis seu declarationis martyrii Servi Dei Rolandi Rivi, Seminarii alumni Marolae, in Diocesi Regiense in Aemilia, in odium Fidei, ut fertur, interfecti (1931-1945) – Informatio super dubio – An constet de martyrio, eiusque causa et de fama, in casu et ad effectum de quo agitur, di seguito indicata come Positio, p. 81).
(4) Cfr. Daniele Ciacci, La miracolosa ciocca di capelli di Rolando Rivi, il seminarista ucciso dai partigiani, intervista a Emilio Bonicelli, inTempi, versione online, del 26-9-2012, all’indirizzo <http://www.tempi.it/la-miracolosa-ciocca-di-capelli-di-rolando-rivi-il-seminarista-ucciso-dai-partigiani#.Upoqa8Qz18E>.
(5) Cfr. Questo bimbo è risuscitato, in Gente, Milano 31-5-2001; cfr. anche Guarito dalla reliquia, in il Resto del Carlino, Bologna 3-5-2001; e Rolando dona tante grazie, ibid., 4-5-2001.
(6) Cfr. E. Bonicelli, Il sangue e l’amore, Jaca Book, Milano 2012.
(7) Positio, p. 16.
(8) Ibidem.
(9) Cit. in Positio, p. 36. Cfr. Paolo Risso, Rolando Rivi un ragazzo per Gesù, Edizioni Del Noce, Camposampiero (Padova) 2004.
(10) Cfr. Positio, p. 35.
(11) Ibid., p. 53.
(12) Ibid., p. 54.
(13) Ibidem.
(14) Ibid., p. 55.
(15) Ibid., p. 59.
(16) Ibid., p. 152.
(17) Cfr. ibid., p. 106.
(18) Cfr. Giovanni Fantozzi, Il volto del nemico. Fascisti e partigiani alla guerra civile. Modena, 1943-1945, Artestampa, Modena 2013.
(19) Cfr. il sito Internet <http://www.donluigilenzini.it> e, in generale, Roberto Beretta, Storia dei preti uccisi dai partigiani, Paoline, Casale Monferrato (Alessandria) 2005.
(20) Positio, p. 180. Grazie all’amnistia concessa il 22 giugno 1946 — su proposta del ministro di Grazia e Giustizia, il comunista Palmiro Togliatti (1893-1964) — per i crimini commessi alla fine della guerra, gli assassini, Giuseppe Corghi e Narciso Rioli, scontarono solo sei anni di carcere.
(21) Cfr. Positio, p. 39.