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La destra e Draghi*

1 Giugno 2021 - Autore: Giovanni Orsina

Scenari politici per la destra italiana che cerca un nuovo punto di equilibrio per costruire un’alternativa di governo al centro-sinistra.

di Giovanni Orsina

Labile e destrutturato, da quasi trent’anni ormai lo spazio pubblico italiano ha bisogno di condensarsi intorno a un leader. Per diciassette anni (1994-2011) il marchingegno ha ruotato intorno a Silvio Berlusconi. Poi il tempo storico ha subito un’accelerazione: Matteo Renzi è durato solo dal 2014 al 2016. Nel 2019 il centro ha cercato di occuparlo Matteo Salvini, con un blitz, ma l’operazione non è andata a buon fine. In assenza di un pivot, il sistema politico non può che mostrare tutta la propria dissonante e caotica frammentazione, mentre cerca faticosamente di trovare un nuovo catalizzatore intorno al quale riaddensarsi. Catalizzatore che, a oggi, rischia fortemente di essere Mario Draghi.

Il centro destra dell’ultimo quarto di secolo, collocato là dove Mani Pulite aveva lasciato in piedi soltanto due tradizioni minoritarie come la post-fascista e la leghista, non sarebbe neppure immaginabile senza Berlusconi. Al quale però, per lunghi anni, si è robustamente appoggiato pure il centro sinistra, traendo dall’antiberlusconismo una coesione e una forza identitaria che di per sé non avrebbe avuto. La fine della centralità del Cavaliere, con la crisi del debito sovrano del 2011, ha così messo in movimento sia lo schieramento di destra, bisognoso d’un nuovo leader che supplisse alle sue storiche carenze di organizzazione, cultura e personale politico, sia l’intero spazio pubblico nazionale che, perduto il cardine intorno al quale oscillava, si è imbarcato in una metamorfosi sempre più disordinata.

Esattamente due anni fa, alle elezioni europee, il 34 per cento della Lega ha attribuito a Salvini la posizione sia di leader della destra post-berlusconiana, sia di nuovo pivot del sistema politico. Il leader leghista ha cercato di cristallizzare immediatamente quest’acquisizione portando il Paese al voto, ma il suo tentativo è andato a vuoto. Non ha mancato di portare, a suo modo, un certo ordine e una certa stabilità, però: senza lo spauracchio-Salvini non sarebbe potuto nascere il governo Conte 2 né ci sarebbe stata la convergenza – sia pur parziale e tutt’altro che pacifica – fra il Partito democratico e il Movimento 5 stelle.

Per quanto in queste ultime settimane, nello sforzo di precisare l’identità del Partito democratico, Enrico Letta abbia ancora riconosciuto la centralità di Salvini scegliendolo come proprio obiettivo polemico, comincia in realtà a prender forma l’impressione sempre più marcata che la politica italiana stia entrando in una nuova era. Non solo la leadership di Salvini è insidiata da Giorgia Meloni, mentre la nascita di Coraggio Italia di Brugnaro e Toti mostra quanto profonda si stia facendo la crisi di Forza Italia. Soprattutto, dopo cento giorni, e a campagna vaccinale ormai ben avviata, comincia a farsi sentire sempre di più il peso del governo Draghi. Per un verso, come risorsa alla quale non può fare a meno di guardare la vasta e composita area centrista cui appartengono berlusconiani e post-berlusconiani, ma nella quale, più a sinistra, si muovono anche altri soggetti assai dinamici e in cerca di collocazione. Per un altro, come robusto incentivo a Salvini perché ripensi in profondità la propria collocazione in Europa e, di conseguenza, anche in Italia. La proposta di federare i gruppi di centro destra al Parlamento europeo che il leader leghista ha lanciato ieri in Portogallo rappresenta un primissimo tentativo di rimescolare le carte. Fallimentare, per il momento. Ma è lecito presumere che altri ne seguiranno.

Oggi i processi di riposizionamento sono più evidenti a destra, ma è chiaro, per quel che s’è detto finora, che presto gli effetti cominceranno a farsi sentire anche a sinistra. È sempre più evidente che il governo Draghi non è un governo di emergenza. Ha preso, sta prendendo e prenderà decisioni che condizioneranno il Paese per anni se non decenni, e Draghi stesso, in una forma o nell’altra, non potrà uscire di scena tanto presto. O le forze politiche cominciano ad adeguarsi a questo possibile futuro, o rischiano di non toccare palla per parecchio tempo.

Martedì, primo giugno 2021

*Fonte: La Stampa del 31 maggio 2021

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