Con questo articolo si apre un ciclo che presenta i primi sviluppi della musica sacra cristiana, con particolare riferimento alla tradizione Occidentale delle Chiese Latine.
I primi cristiani e la musica: cantillazione, salmodia, responsorio
di Marco Drufuca
Fin dai primordi del cristianesimo, il canto e la musica sono stati indissolubilmente legati alla vita e al culto della Chiesa. I primi cristiani, costretti alla clandestinità e dunque impossibilitati a organizzare forme appariscenti di culto, vissero una liturgia che andava progressivamente differenziandosi da quella ebraica e di cui non è semplice tracciare un profilo esaustivo. Per quanto riguarda la musica, ciò è dovuto non solo al carattere clandestino dei ritrovi cristiani all’epoca delle persecuzioni, ma anche a una concezione e a una pratica del canto radicalmente diverse dalla nostra che, non conoscendo delle “note” vere e proprie, erano per loro natura impossibili da codificare in una notazione precisa che identificasse dei suoni ben determinati; di conseguenza, senza alcuna trasmissione scritta, risulta impossibile ricostruire precisamente le melodie di quei primi tempi.
Come cantavano dunque i “cristiani delle catacombe” e in generale dei primissimi secoli? Se è vero che la natura del culto cristiano fu subito riconosciuta come essenzialmente diversa da quello ebraico, è altrettanto vero che la differenziazione delle sue forme fu invece un passaggio graduale, all’insegna della continuità. In altre parole i primi cristiani ereditarono le forme del canto e del culto dalla sinagoga. Secondo lo stesso principio che regola la liturgia odierna, l’assemblea si riuniva non solo per il sacrificio Eucaristico, ma insieme ad esso per l’ascolto e la lettura della Parola ed è in funzione di questo ascolto che la musica poté trovare spazio nel primo culto cristiano.
Lettura intonata: la Cantillazione
I passaggi in prosa delle Scritture erano declamati secondo le tecniche della cantillazione. Comprendere oggi cosa significhi questo termine è impresa ardua, che richiede uno sforzo notevole di rinuncia a tutti i sistemi cui due millenni di Storia della Musica occidentale ci hanno abituato, per tornare a pratiche antiche e ormai dimenticate, almeno in Europa.
A dir la verità, la cantillazione non è un canto vero e proprio, ma allo stesso tempo non si può identificare con il parlato: il Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti la definisce come “una forma di intensificazione della parola, ottenuta con un’accentuazione dei valori vocalici e prosodici e con l’uso di moduli melodici adattabili, al punto da non poter più essere riconosciuta come recitazione o lettura, ma tale però da non venir ancora qualificata come canto vero e proprio”. Emerge in questa definizione il carattere essenziale che definisce e fonda la cantillazione, la cui ragion d’essere è l’”intensificazione della parola”: essa è tanto nell’elemento ritmico quanto in quello melodico completamente trasparente e subordinata al testo intonato.
Nota Solange Corbin: “Tra la lingua semplicemente parlata e il canto ci sono moltissime sfumature; Boezio, nel suo trattato di musica, fa osservare che la lingua parlata è rapida e l’uditorio rischia di lasciarsi sfuggire qualche parola; che il canto è lento e accentua il senso delle parole; che a mezza strada tra i due generi la recitazione dei poemi storici permette di accentuare degnamente le parole senza tuttavia raggiungere la precisione di un canto.”. Va notato come una simile via di mezzo tra il canto e la parola non possa essere inquadrata rigidamente in una successione di “note”, né si possa propriamente parlare di “melodie”: tale pratica prevedeva infatti un continuo scivolamento da un suono all’altro, nonché l’uso di innumerevoli micro-intervalli, ossia distanze fra due suoni inferiori a quella del “semitono”, che invece nel sistema cui siamo abituati oggi è considerato l’intervallo più piccolo ammesso. Se una notazione precisa delle formule di cantillazione è impossibile, altrettanto lo è quella ritmica: infatti, nella sua totale trasparenza nei confronti della parola intonata, la cantillazione assume e segue fedelmente l’andamento ritmico proprio del testo, senza distorcerlo o modificarlo in alcun modo, come invece è inevitabile che accada in qualsiasi forma di canto organizzato.
Benché le tradizioni musicali ed ecclesiastiche si siano notevolmente allontanate da quel mondo sonoro, un’idea approssimativa di cosa potesse essere la cantillazione antica la si può trovare in alcune pratiche simili di lettura rimaste in uso nel culto ebraico e nelle Chiese Orientali; si veda per esempio questa lettura del Vangelo nel giorno di Pasqua: QUI
Il canto dei Salmi: la Salmodia
Più semplice e vicino alla nostra esperienza pare invece essere stato il sistema di canto dei passi poetici della Bibbia, in primis dei Salmi. Sebbene anche in questo caso si debba vincere la tentazione di immaginare la salmodia antica legata al sistema di definizione delle note moderno, la struttura fondamentale di questa forma non è essenzialmente diversa da come la conosciamo oggi. Così la descrive Giannicola D’Amico: “la salmodia era strettamente legata alla struttura poetica dei salmi, caratterizzata da due parti (emistichi) parallele per ogni versetto: l’intonazione melodica appariva organizzata attorno a una nota centrale ripetuta, con fioriture all’inizio, al centro e alla fine del versetto, risultando così facilmente adattabile alla lunghezza variabile dei versetti stessi.”. Si riconosce la stessa struttura dei toni che caratterizzano ancora oggi il canto di salmi e cantici: QUI
Il canto dell’assemblea: il Responsorio
Gli ultimi elementi riguardanti il canto di cui si può trattare con relativa certezza sono quelli che concernono la modalità in cui i testi venivano cantillati o salmodiati. Se la cantillazione per sua natura richiede di essere eseguita da un solista, il lettore, la salmodia poteva prestarsi tanto alla semplice esecuzione da capo a fondo del Salmo da parte del celebrante (“salmodia diretta”) quanto alla partecipazione dell’intera assemblea. Tuttavia, per un popolo in larga parte incolto e analfabeta è difficile immaginare il canto dei Salmi in quello stile antifonale che farà la sua comparsa nei monasteri; si afferma piuttosto il canto responsoriale dei Salmi, che caratterizza ancora oggi la pratica liturgica durante la Messa: un solista, spesso il celebrante, canta il testo del Salmo, ma a ogni versetto il popolo risponde intercalando un “ritornello” (responsum) sempre uguale. In questa maniera, il canto poteva assumere una dimensione assembleare ovviando allo stesso tempo alle difficoltà avanzate dall’impossibilità di leggere i testi cantati da parte di molti fedeli.
Domenica, 3 marzo 2024