Di Stefano Caprio da AsiaNews del 19/03/2022
Da dove viene l’aggressività dei russi, che nessuno pensava avrebbero invaso e bombardato l’Ucraina in modo così massiccio e determinato, come soltanto i tartari del 1200 avevano fatto arrivando a radere al suolo la stessa Kiev? I sondaggi di questi giorni, pur nel contesto della propaganda di Stato e del blocco della libera informazione, cercano di capire qual è veramente lo stato d’animo della popolazione. Secondo i dati pubblicati da diverse agenzie, circa il 70% dei russi sostiene la cosiddetta “operazione militare speciale”.
Gli analisti confermano che in tutta la società russa è diffuso un grado elevato di aggressività, non soltanto in sintonia con la propaganda, ma quasi emerso dal “patrimonio genetico” dei russi. Il filosofo russo-americano Mikhail Epstein definisce la condizione psicologica dei russi oggi come “schizofascismo”, una forma di “fascismo mascherato da lotta contro il fascismo”. Sotto il termine “fascismo” Epstein intende “un’intera visione del mondo che unisce la teoria della superiorità morale, etnica o razziale, la missione divina, l’imperialismo, il nazionalismo, la xenofobia, l’aspirazione alla superpotenza, l’anticapitalismo, l’antidemocrazia, l’antiliberalismo”.
Lo schizofascismo sarebbe una pericolosa e aggressiva caricatura del fascismo, che si esprime in un “odio isterico nei confronti della libertà, della democrazia, di tutto ciò che è diverso ed estraneo, e nella continua ricerca dei nemici e dei traditori del proprio popolo”. È un’eredità post-sovietica, ma anche un dato caratteristico di un popolo da sempre disperso su un territorio troppo grande, che fatica a determinarsi e a delimitarsi, e a proteggersi dalle invasioni.
Un aspetto decisamente schizofrenico di questo odio atavico è quello che porta a cercare di godere senza limiti proprio dei beni prodotti dal sistema degli “estranei”, come disse lo zar Pietro il Grande, il più occidentalista di tutti gli autocrati russi: “ci apriremo all’Occidente per un decennio per prendere tutto quello che hanno, poi gli mostreremo le terga”, sentenziò usando in realtà termini molto più espliciti, come quelli oggi tipici del presidente-zar Putin. Più si disprezza l’Occidente immorale, chiamato dai russi la “Gayropa” o il “Pedostan”, il mondo dei pederasti campioni dell’immoralità, più si comprano ville e castelli sulle coste francesi o sulle colline toscane, si aprono conti nelle banche svizzere e si mandano i figli nelle scuole esclusive dei Paesi che insegnano la perversione.
Epstein cerca di dare una spiegazione “scientifica” allo schizofascismo, ricordando che l’origine di questa disfunzione sta nella composizione del cervello umano: “un emisfero del nostro cervello è in perenne conflitto con l’altro emisfero, così che un uomo può essere allo stesso tempo un romantico e un brigante, vivere la sincerità della menzogna, o la menzogna senza inganno, come quando ci dicono che l’avanzata delle armate russe è rallentata dalla vigliaccheria dei neonazisti ucraini”. I russi mentono a sé stessi parlando di sé stessi, non riescono a concludere le trattative di pace tra la parte orientale e quella occidentale del proprio “unico popolo”, della propria storia a due volti, della propria anima lacerata tra le tendenze slavofile e quelle occidentaliste.
Nessuno sano di mente dovrebbe credere alla propaganda del regime putiniano, eppure la stessa propaganda non si cura affatto di corrispondere alla realtà (“noi non abbiamo invaso l’Ucraina”). La propaganda si basa su modelli ideali, su mondi soltanto sognati, e d’altra parte deve eccitare gli animi alla violenza e alla distruzione, giustificare l’orrore con l’onore. Una differenza tra russi e americani, osserva ancora Epstein, è che “i russi adorano chi mente, mentre gli americani non lo possono sopportare, e per questo i russi li considerano una massa di sprovveduti”. Essere imbevuti di menzogne da decifrare è invece per i russi motivo di orgoglio, vuol dire essere rispettati e trattati da veri uomini, in grado di capire le cose al di là delle parole, come di fronte al roboante annuncio di Putin a reti unificate: “una banda di drogati e neonazisti a Kiev ha preso in ostaggio il popolo ucraino, e noi lo dobbiamo liberare”, o alla solenne omelia del patriarca Kirill quando afferma che “ci vogliono imporre le parate dei gay per essere ammessi nel mondo civile, e dobbiamo difendere la vera fede”.
I nazisti non esistono nell’Ucraina dell’ebreo Zelenskyj, ma questa frase fa ricordare i seguaci del traditore Stepan Bandera, che cercò di vendere l’Ucraina a Hitler, quando molti ucraini preferirono i nazisti ai comunisti, considerandoli meno oppressivi. Così come le parate dei gay-pride sono ormai un rito superato in tutto l’Occidente, nel tempo della fluidità di genere, ma evocano i tempi medievali in cui gli zar della “Terza Roma” si consideravano gli ultimi difensori della civiltà cristiana: “una quarta Roma non ci sarà”, diceva la profezia, perché se la Russia crolla, il mondo diventerà preda dell’Anticristo. Sono categorie del risveglio di istinti e complessi secolari, antichi e recenti, di offese e pretese di prospettiva apocalittica.
La divisione dell’anima russa, d’altronde, è evidente anche nell’intensità delle tante persone contrarie alla guerra, che sfilano in solitudine con cartelli che ricordano i comandamenti biblici o manifesti mostrati in televisione contro la guerra e la menzogna, a rischio della propria libertà. Sono certamente una minoranza, fatta di giovani senza una guida, anche perché le guide sono state tutte espulse o incarcerate, eppure Aleksej Naval’nyj può sfidare i “vecchi pazzi che distruggono il nostro Paese, invadendo quello dei nostri fratelli”, assicurando che “non ci fate paura, anche se ci mettete in galera per cento anni”.
L’inno nazionale russo nella versione sovietica (oggi ha conservato la musica e leggermente modificato il testo) recita: “Alzati, Paese immenso / Alzati per la lotta mortale / Contro la forza buia del fascismo / Contro l’Orda maledetta!”. Soltanto che nei panni dell’Orda tataro-mongola oggi si presenta la Russia stessa, e le parole dell’inno sembrano incitare piuttosto gli ucraini a difendersi contro l’inaudita aggressività dei russi, come fa notare Maria Maksakova, una cantante d’opera ed ex-deputata della Duma di Mosca, che da anni vive in Ucraina. In un’intervista a Radio Svoboda lei ricorda che “in un secolo siamo passati dal feroce Lenin al cannibale Stalin, passando per i manicomi psichiatrici contro i dissidenti di Brežnev e arrivando alle operazioni speciali contro l’umanità di Putin”.
Secondo la Maksakova, questi eccessi di violenza possono provocare reazioni di entusiasmo per brevi periodi, per poi trasformarsi in clamorose sconfitte e catastrofi epocali, lasciando la Russia perennemente indietro rispetto al resto del mondo. In effetti, anche se ancora non si vede la fine degli scontri in Ucraina, l’operazione appare già oggi un fiasco totale: nessuna guerra-lampo, nessun abbraccio del popolo ucraino ai liberatori, isolamento totale a livello internazionale, baratro economico che si spalanca a partire dalle sanzioni, e che in ogni caso lascerà la Russia per molti anni al livello di vita dell’Urss brezneviana.
Il consenso di massa all’aggressione ricorda i giorni del 2014, quel grido di esultanza: “la Crimea è nostra!” davanti a una folla oceanica presso il Cremlino. Una gioia selvaggia che si è dissolta in breve tempo. Già l’anno successivo per la “festa della Crimea” il 18 marzo, diventata il giorno sacro delle elezioni e delle manifestazioni patriottiche, per riempire le piazze il regime obbligava gli studenti e pagava i volontari. Oggi questo stesso giorno solenne del “Crimea-nostrismo”, come viene chiamata l’ideologia putiniana degli ultimi anni, viene celebrato direttamente sul campo, e di nuovo sembrano mancare i comprimari, perché al di là delle dichiarazioni ufficiali, ben pochi sono gli entusiasti del cannibalismo putiniano. I russi franano nell’abisso con fragoroso entusiasmo, sapendo che giaceranno a lungo nella polvere.
Due anni fa Putin cercò di rianimare lo spento consenso patriottico con la nuova costituzione e le grandi feste per i 75 anni dalla Vittoria contro il nazismo, e venne frustrato dalla pandemia di Covid-19. La politica e la storia russa venivano riportate all’inizio, “azzerando” anche le successioni del ventennio precedente, e permettendo allo stesso Putin di rilanciarsi come leader della nazione almeno per un altro ventennio. Ora, qualunque sia l’esito delle operazioni belliche, l’azzeramento sta diventando la cifra determinante della vita della Russia e dell’Ucraina, e non nel senso del passaggio a una dimensione “sovratemporale”, ma come necessità di ricostruire un mondo distrutto.
Le riletture storiche e gli appelli alla coscienza popolare non possono più giustificare un sistema contro un altro, un Paese contro un altro, un’ideologia contro l’altra. Sarà un mondo diverso per tutti, e non solo per i due Paesi coinvolti, ma per tutta l’Europa, l’America e la Cina, l’Occidente e l’Oriente. Se la fine del comunismo fece dire ad alcuni che eravamo giunti alla “fine della storia”, oggi dobbiamo riconoscere di essere “all’inizio della storia”. La guerra russa è stata presentata come una grande lotta del bene contro il male assoluto, ma non si possono applicare nuovamente gli schemi del totalitarismo di destra o di sinistra, del fascismo e del comunismo contro il liberalismo e il capitalismo.
La Russia di oggi è tanto capitalista quanto l’America e l’Europa, e i cittadini di Kiev come quelli di Mosca sono abituati a una vita di consumi e di comunicazioni, che oggi viene messa in crisi, ma senza che venga proposta una vera alternativa. L’Ucraina sarà lo specchio di questa “nuova creazione”, che le Chiese stesse invocano per intercessione di Maria e di tutti i santi, ma saranno gli uomini a doverla realizzare. Kiev era negli anni sovietici la fotocopia di Mosca, mentre Leopoli conservava l’aspetto austro-ungarico, oggi la capitale è un cumulo di rovine materiali e spirituali, e l’intero Paese è dilaniato dalla guerra fratricida.
Città gloriose come Kharkiv, Kherson, Mariupol, Odessa, le stesse Lugansk e Donetsk sono “azzerate” e dovranno indicare la nuova identità non ostile di un “popolo unico” in realtà molto misto e composito, in cui non esiste una “parte russofona” ben distinta da quella “filo-occidentale”, così come nelle famiglie ucraine è spesso difficile distinguere le giurisdizioni ecclesiastiche, moscovita, romana o costantinopolitana.
Per molti secoli abbiamo tutti trascurato l’Ucraina, col risultato di non riuscire a capire neppure la Russia. Ora dobbiamo difendere la vita dei bambini e delle famiglie, fermare l’aggressione e aiutare la riconciliazione, ma soprattutto dobbiamo pregare tutti insieme, che Dio stesso possa indicare la via per costruire un mondo nuovo.