Il ciclo di articoli volto a introdurre alcune delle correnti musicali della prima metà del XX secolo prosegue proponendo l’ascolto della Sinfonia di salmi di Igor Stravinsky (1882-1971), uno dei più influenti compositori di quei decenni. La Sinfonia può essere ascoltata QUI.
di Marco Drufuca
Trattare dell’estetica di Stravinsky è un’impresa estremamente ardua, considerato che la sua produzione è irriducibile a un’unità di stile. Essa infatti spazia tra linguaggi diametralmente opposti in una metamorfosi che, partendo da una scrittura fortemente debitrice della tradizione tardo-romantica russa, porta fino all’adozione dei ben più moderni sistemi seriali, passando per un lungo periodo “neoclassico” entro cui si iscrive anche la Sinfonia di salmi.
Se si dà un elemento comune a tutte queste mutazioni, esso è certamente la concezione “artigianale” della musica e della composizione: il compositore, come un artigiano medievale, “fabbrica” un’opera che ha in sé il suo valore e il suo significato, senza alcuna subordinazione a linguaggi extra-musicali o significati estrinseci. Paul Griffiths riferisce che Stravinsky amasse “auto-presentarsi come una macchina per scrivere musica”, mentre celebre e controversa divenne l’affermazione del compositore per cui “la musica è, a cagione della sua essenza, impotente ad esprimere alcunché”.
Simili presupposti definiscono chiaramente un “formalismo rigoroso” (Wangermée): per Stravinsky, “il compositore opera mediante un processo percettivo, non concettuale. […] Tutto ciò di cui si cura consiste nel percepire il contorno della forma, poiché la forma è tutto”. E tale formalismo non è certo immune a vene edonistiche: il compositore “è alla ricerca del proprio piacere, cerca una soddisfazione che sa di non trovare senza uno sforzo preliminare”, e l’opera d’arte “è talmente legata per me all’idea della costruzione, e del piacere che essa mi dà per se stessa, che se per assurdo mi si presentasse la mia opera compiuta, ne sarei confuso e avvilito come per una mistificazione.”
Privo di ogni interesse espressivo, l’unico scopo dell’artista è quello di produrre un’opera che sia bella. Da qui l’attenzione si rivolge all’uomo, che solo può emettere un giudizio estetico. La ricerca compositiva, nel tentativo di assecondare le esigenze estetiche dell’uomo, assume così i tratti di una ricerca antropologica operata non con strumenti logico-discorsivi ma puramente musicali: se è vero che il fenomeno musicale “proviene dalla totalità dell’uomo, dotato delle risorse dei suoi sensi e munito di intelligenza”, allora lo sforzo del compositore è percorrere questa strada a ritroso, attingendo a quella “totalità” da cui origina tanto l’arte quanto il giudizio sull’arte.
In questo modo però l’arte si inserisce così a pieno titolo nella dimensione personale e spirituale dell’uomo superando il piano edonistico: “il senso profondo della musica ed il suo fine essenziale è quello di promuovere una comunione, un’unione dell’uomo con il suo prossimo e con l’Essere”. Leggendo questa affermazione alla luce della fede ortodossa del compositore e del concetto di teosi caro alla teologia orientale, Robert Marshall Copeland può arrivare ad affermare che “L’attitudine di Stravinsky verso l’arte è inequivocabilmente religiosa, cioè metafisica e ontologica, non sentimentale o intellettuale”.
Cosa rimane dunque dell’affermazione che la musica è “impotente ad esprimere alcunché”? Stravinsky stesso nel ritrattarla affermò che essa “era semplicemente un modo di dire che la musica è soprapersonale e superreale e come tale va oltre i significati verbali e le descrizioni verbali. […] Oggi la rivolterei così: la musica esprime se stessa.”. Ciò che importa è dunque il fatto che la musica sia un linguaggio che non può essere privato della sua specificità per abbassarlo a pura “espressione” di altro, sia esso sentimento o parola. In effetti, per Stravinsky non ha senso parlare di musica se non attraverso la musica: “Ritengo che l’unico valido esercizio di critica [dell’arte] debba avvenire nell’arte e per mezzo dell’arte, cioè, nel pastiche o nella parodia”.
Sinfonia di salmi
Questa Sinfonia, suddivisa in tre movimenti e scritta “per la gloria di Dio e dedicata alla Boston Symphony Orchestra”, deve il suo titolo al fatto che in essa vengono musicati tre passi dei Salmi, citati secondo la Vulgata Latina.
Il primo movimento, tratto dagli ultimi due versetti del Salmo 38, si caratterizza per l’austerità quasi gregoriana nella conduzione delle linee melodiche corali: basti notare che nelle prime 22 battute cantate le linee melodiche del coro spaziano su tre sole note. Il punto di massima complessità è raggiunto verso la fine, su “remitte mihi, ut refrigerer priusquam abeam”, dove la sovrapposizione di vari frammenti precedenti culmina nelle parole finali “et amplius non ero” su un “classico” accordo di Sol maggiore.
Al contrario, il secondo movimento, tratto dal Salmo 39, 2-5, mostra fin dall’inizio una notevole complessità polifonica, aprendosi con una doppia fuga, forma che aveva visto il suo massimo splendore tra la fine del XVII e il XVIII secolo. Questa complessa forma è fondata su un tema, detto soggetto, sul quale si “incastra” (contrappunto) un controsoggetto. Una volta stabiliti questi due elementi, il compositore ha pressoché tutto il materiale tematico necessario per l’intera composizione. La prima fuga è puramente strumentale, mentre la seconda è affidata al coro: alle parole “expectans expectavi Dominum” viene associato il soggetto, mentre il controsoggetto musica le parole “et intendit mihi”. Dopo uno stretto del coro privo di accompagnamento strumentale, ossia un passaggio dove ogni voce espone il soggetto senza aspettare che quella precedente lo abbia terminato, segue una breve sezione orchestrale, dove emergono frammenti tematici di entrambe le fughe. In seguito, improvvisamente l’andamento contrappuntistico cessa: tutte le voci cantano insieme e fortissimo “et immisit in os meum canticum novum, carmen Deo nostro. Videbunt multi et timebunt”, ma presto giunge il subito piano che chiude il movimento sulle parole “et sperabunt in Domino”.
Il terzo e ultimo movimento musica l’intero salmo 150, ed è attraversato tematicamente dall’esclamazione “Alleluia – laudate Dominum”, che compare tre volte: in apertura, in chiusura e nel mezzo del movimento. Dopo una prima sezione caratterizzata dalla continua ripetizione del tema melodico “laudate Dominum” da parte delle sezioni maschili, una sezione più agitata presenta in un primo momento richiami a forme del XIV secolo, con i soprani che si muovono su due note a valori larghi mentre i contralti intessono una seconda voce più rapida, e in seguito un carattere fortemente ritmico nel quale tenori e contralti cantano “laudate Dominum in virtutibus eius, laudate Dominum in sanctis eius”. Il crescendo che segue viene quasi troncato dalla seconda enunciazione del motto “Alleluia – laudate Dominum”, questa volta elaborato in chiave ritmica. La sezione seguente torna a una scrittura imitativa e contrappuntistica, con linee molto più dolci e cantabili, che conducono al terzo e conclusivo “Alleluia – laudate Dominum”.
Sabato, 5 agosto 2023