Da La bianca Torre di Echtelion del 16/12/2017. Foto da articolo
Addobbare l’albero di Natale è un segno di profonda devozione cattolica. Gli alberi sacri o magici erano certamente diffusi nella religiosità dei popoli precristiani, così come in parte lo era anche l’usanza di ornare le abitazioni con fronde di conifere, ma non è vero che la Chiesa – qui come in altri casi – abbia “subaffittato” i culti pagani.
Il simbolismo dell’albero è infatti biblico e autonomo rispetto alla tradizione precristiana. Nell’Eden, Dio pone «[…] l’albero della vita in mezzo al giardino» accanto all’«[…] albero della conoscenza del bene e del male» (Gn 2, 9; cfr. anche Ap 2, 7). Il medesimo concetto torna nell’Albero di Jesse, dal nome del padre del re David, e si palesa nella forma della genealogia di Gesù. Quindi, ciò che è iniziato nell’Eden si conclude con l’albero sacro per eccellenza, la Croce, che, sovrapponendosi alla genealogia dell’Albero di Jesse e all’albero dell’Eden, si rivela essere l’axis mundi e l’ermeneutica di tutta la storia sacra.
Quando i missionari incontrarono i popoli celtici e nordici che adoravano gli alberi sacri richiamandosi agli alberi cosmici (il frassino Yggdrasill, per esempio, presso i norreni), ne utilizzarono il simbolismo per annunciare la Croce redentrice. E come i pagani decoravano e accendevano luci sugli alberi (Lichterbaum) all’inizio dell’inverno, dove il buio è più intenso, per propiziare la rinascita del mondo con il ritorno del Sole al termine della notte, così la Chiesa ha visto la Trinità nella forma triangolare dell’abete sottolineando con esso che nel momento più oscuro la luce non è di là da venire, ma è già qui e ora con la nascita di Cristo, il vero sempreverde.
Il monaco benedettino Wynfrith (680 ca.-754), nato del regno del Wessex, fu un grande protagonista delle favolose missioni anglosassoni presso i popoli germanici in Frisia, Assia, Turingia, Baviera e Alemannia. Nel 722 fu nominato vescovo e legato pontificio da Papa san Gregorio II (669-731), ed è noto con il nome latinizzato di Bonifacio, santo e martire. Nel 723 (o nel 724), prese la decisione clamorosa di abbattere la quercia che svettava vicino al villaggio di Geismar, oggi sobborgo della città di Fritzlar in Assia, consacrata dai Catti, la popolazione germanica del luogo, al culto di Donar, il dio del tuono, quello che per gli scandinavi è Thor. Così facendo, sventò i sacrifici umani che i pagani stavano per consumare in quel luogo. Quando i pagani videro che il dio del tuono non reagiva all’ascia del santo, piegarono il ginocchio a Gesù. Dal tronco della quercia, già nota ai pagani come Donares Eih, Bonifacio ricavò il legname con cui fece costruire una cappella a Fritzlar, dedicandola a san Pietro. Dietro il moncone della quercia abbattuta spuntava un giovane abete, un sempreverde come la vita che non muore, e san Bonifacio volle fosse chiamato l’albero di Cristo bambino, istruendo il popolo a radunarsi attorno a esso, ma non nei boschi bensì nelle proprie dimore. Era tempo di Avvento, l’albero di Natale era nato.
Usanza del Natale, oltre all’albero, è l’agrifoglio. Anch’esso era venerato dai popoli precristiani, ma che direbbero i neopagani di oggi e gli adepti della Wicca che ne fanno ghirlande “di stagione” se ricordassero che la Chiesa ne consigliò l’uso simbolico indicando nelle sue spine quelle che infersero ferite profonde al capo di Gesù, nelle sue bacche rosse le gocce del Preziosissimo Sangue che sgorgò a fiotti e nei suoi fiori bianchi candidi la purezza della Madonna?
La vigilia di Natale, il 24 dicembre, è il giorno della memoria liturgica dei santi progenitori Adamo ed Eva. Nel Medioevo tedesco si organizzavano i “Giochi di Adamo ed Eva”, rappresentazioni sacre per ricordare la caduta e la redenzione. Gli abeti sui sagrati delle chiese, ricordando l’Albero della vita dell’Eden, venivano decorati con mele rosse a memoria del peccato originale (in seguito vennero adoperate anche delle ostie per simboleggiare la vittoria sul peccato). Le mele sono diventate palline quando, a fine Ottocento, a Meisenthal, nella Mosella francese, scarseggiando le mele, i vetrai ne confezionarono di artificiali; e il rosso è natalizio per questo (oltre che per san Nicola di Myra, l’unico vero Santa Claus, il quale vestiva il rosso dei vescovi), non perché regalare biancheria intima di quel colore “porta bene”.
A volte crediamo di sapere quel che non sappiamo, e così imputiamo la diffusione dell’albero di Natale al protestantesimo, che ha finito per emarginare il presepe cattolico. Ma presepe e albero sono stati fianco a fianco per secoli prima della Riforma, e semmai i protestanti ne avessero fatto un uso ideologico anticattolico la colpa non è certo dell’albero. Vero, il simbolismo dell’albero decorato è un po’ meno evidente di quello del presepe magnificato da san Francesco, ma questo solo perché l’uomo di oggi si lascia scorrere la vita addosso senza fermarsi a chiedere, a indagare. Dimenticato se stesso, ha ovviamente scordato anche il senso delle proprie belle usanze. Ma la Chiesa è lì anche per quello. Così, dal 1982, un albero di Natale svetta (vicino al presepe) in Piazza San Pietro voluto da Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005). Papa Benedetto XVI l’albero decorato lo ha definito «significativo simbolo del Natale di Cristo, perché con i suoi rami sempre verdi richiama il perdurare della vita» (discorso alla delegazione ucraina per la consegna dell’albero di Natale in Piazza San Pietro del 16 dicembre 2011) e Papa Francesco lo ha salutato dicendo: «Ogni anno il presepe e l’albero di Natale ci parlano col loro linguaggio simbolico. Essi rendono maggiormente visibile quanto si coglie nell’esperienza della nascita del figlio di Dio» (saluto alle delegazioni che hanno donato il presepe e l’albero di Natale per Piazza San Pietro del 7 dicembre 2017).
L’albero di Natale è cattolico. Chi pretende di usarlo per anestetizzare la Nascita celebrata dal presepe con un “buone feste” qualsiasi si copre ridicolo. Diciamogli di smettere.
Marco Respinti