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“Las Vegas: sono gli uomini a uccidere, non le armi”

3 Ottobre 2017 - Autore: Marco Respinti

Da la bianca Torre di Echtelion del 3/10/2017. Foto da articolo

Ovviamente la colpa è di Donald J. Trump, il presidente degli estremisti, dei suprematisti, della “lobby delle armi”. Già le armi. Prim’ancora che si sapesse il nome dell’assassino di Las Vegas, prim’ancora che l’ISIS rivendicasse dicendo il vero o parlando con lingua biforcuta, prim’ancora di tutto, la macchina del luogocomunismo era già partita in tromba proprio con il refrain delle armi, Hillary Clinton via Twitter in testa. Troppe, troppo facilmente vendute, troppo facilmente imbracciate. Ma è la solita bugia che non diventa verità nemmeno se ripetuta mille volte perché le armi non fanno male a una mosca. A fare male sono gli uomini che premono il grilletto, che usano o abusano degli strumenti. L’Undici Settembre hanno abusato di posate di plastica, in Europa di camion e tir. Il fatto che negli Stati Uniti si acquistino armi con relativa facilità non causa gli eccidi; impedisce che siano di più come accadrebbe se gli onesti girassero disarmati. Una legge che mettesse al bando le armi da fuoco colpirebbe infatti solo i galantuomini giacché i malfattori, che le leggi non le rispettano per definizione, si procurerebbero revolver, fucili e mitragliatori sottobanco come accade in un Paese dove sono vietati, l’Italia. Perché negli Stati Uniti i cittadini girano armati? Per difendersi dagli unici che sparerebbero se le armi fossero vietate agli onesti, i malviventi.

Ora, le mattanze colpiscono perché massimizzano la percezione del danno, concentrando il tributo di sangue nello spazio e nel tempo; come quando cade un aereo, anche se muoiono molte più persone in auto. In realtà ci si dovrebbe chiedere quanti sono i delitti sventati dal deterrente delle armi ai privati: il farabutto che sa che assalendo potrebbe riceverne in cambio una pistolettata è sicuro che ci pensi due volte. Come recita un adagio americano, i cartelli con su scritto che in un determinato luogo le armi non sono consentite sono un invito a nozze per i criminali. Anzi, le “gun-free zone”, come si chiamano le aree dove non è consentito portare armi, sono gli obiettivi preferiti dai delinquenti, certi di non trovare ostacoli. Le scuole, per esempio, oggetto di tanti massacri. Le discoteche, per esempio: ci si ricorda del Pulse, il nightclub LGBT di Orlando, in Florida? Ma soprattutto il Mandalay Bay Conventions & Events Center dalle cui finestre al 32esimo piano domenica il 64enne poi suicida Stephen Paddock ha sparato a raffica sulla folla del festival country sottostante, ammazzando 58 persone e ferendone altre 515: in quell’hotel ogni tipo di arma è espressamente vietata, vale a dire la può avere solo un criminale come Paddock a cui leggi e divieti fanno un baffo. Del resto, dice anche The New York Times che dalle registrazioni le raffiche sparate parrebbero quelle di almeno un’arma automatica, i cui registri sono chiusi negli Stati Uniti dal 19 maggio 1986: per cui Paddock o teneva l’automatica in soffitta da 30 anni, o se n’è fatta vendere una vecchia, oppure ha usato un’arma vietata. Parlando alla nazione alle 10,30 di ieri ora di Washington, cioè le 16,30 italiane, il “cattivo” Trump non ha infatti perso tempo con le baggianate sul porto d’armi. Né con la rivendicazione diramata dall’ISIS attraverso il proprio organo ufficiale di propaganda, l’agenzia Amaq, subito ripresa dall’emittente al-Jazeera, secondo cui Paddock si era «convertito all’Islam diversi mesi fa». Gl’inquirenti smentiscono, ma a maggio un video del califfato nero esortava i “lupi solitari” a colpire la “Strip”, il Boulevard South dove vi è la maggior concentrazione di alberghi e di casinò di Las Vegas tra cui pure proprio il Mandalay Bay. Ciò che invece ha fatto Trump, annunciando la bandiera a mezz’asta in tutto il Paese per sei giorni, è stato parlare agli americani della speranza e delle Scritture, della preghiera e di Dio. «È stato un atto di pura malvagità», ha detto senza puntare il dito a vanvera, ma evocando il mistero evangelico dell’iniquità. Quel che i feriti nel corpo e nello spirito vogliono sentirsi dire dal capo quando ce n’è bisogno, non le meste menzogne degli sciacalli.

Marco Respinti

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