Di Stefano Caprio da Asianews del 10/12/2022
La diaspora russa all’estero è nota fin dai tempi degli zar e dell’impero sovietico per non riuscire mai ad esprimere una posizione unitaria, e a compattarsi come avviene per la maggior parte dei popoli emigranti, come ad esempio gli stessi ucraini. Esistono diverse strutture che li rappresentano, e in questi tempi di esclusione della Russia militante putiniana da ogni consesso internazionale, esse cercano in vario modo di rappresentare gli interessi dei “veri russi”, quelli che rifiutano la guerra e desiderano vivere in dialogo con tutti. E non è certo una novità nella storia russa.
Dopo il tanto lodato spettacolo del “Boris Godunov” alla Scala di Milano, si possono ricordare i tre “falsi Dmitrij” di inizio Seicento, gli auto-proclamati eredi del trono che sostenevano di essere il figlio dello zar, scampato all’assassinio attribuito a Boris, trascinando mezza Europa alla conquista di Mosca. Fecero tutti una brutta fine: il più famoso traditore, Griša Otrepev, dopo essersi insediato per due settimane al Cremlino con moglie polacca e gesuiti al seguito, fu sparato con un cannone in direzione dell’odiato Occidente.
Nel Settecento i russi giravano l’Europa con entusiasmo, completando il grand tour delle città più importanti ed attrattive, raccontando ciascuno a suo modo le impressioni suscitate da Parigi, Londra, Amsterdam, Vienna, Roma e Napoli. La capitale del regno borbonico meridionale faceva allora parte del “top” continentale, e divideva i viaggiatori più famosi, come Denis Fonvizin che la disprezzava per l’eccessiva sporcizia, o Nikolaj Karamzin che la considerava il luogo della vera sintesi culturale dell’Europa. Tutti gli “scrittori viaggianti” della Russia adoravano comunque gli scavi di Pompei, ritratti anche in famosi quadri di pittori russi, visti come il segno dell’Apocalisse nella storia, in cui la Russia amava immedesimarsi.
Il secolo successivo vide la Russia dividersi nel grande dibattito tra slavofili e occidentalisti, che spesso si svolgeva all’estero per sfuggire alla censura della Okhrana, la polizia politica degli zar, madre del Kgb sovietico e nonna della Fsb putiniana. Gogol e Dostoevskij scrissero i loro romanzi più intensi e più “russi”, dalle Anime Morte ai Demoni e all’Idiota, tra le acque termali di Baden-Baden e Palazzo Pitti di Firenze, o Trinità dei Monti a Roma. I rivoluzionari, da Herzen a Lenin, ispirarono e guidarono le azioni sovversive dalla Svizzera e da Parigi, dividendosi in congressi e infuocate assemblee dei menscevichi, le maggioranze perdenti, e i bolscevichi, le minoranze che presero il sopravvento.
Anche nei tempi sovietici non si riuscì a unire all’estero una comunità coesa, tra dissidenti “laici” e “religiosi”, nazionalisti e liberali, poeti indipendenti come il premio Nobel Iosif Brodskij o l’eroe delle liriche di piazza Andrej Sinjavskij, l’altro premio Nobel slavofilo Aleksandr Solženitsyn o il politico occidentalista Vladimir Bukovskij. Quando è crollato il regime comunista, nessun partito in patria o all’estero è riuscito a esprimere una idea comune sulla nuova Russia da costruire, lasciata in mano agli oligarchi e ai siloviki, gli “uomini di forza” guidati da Putin, che ha sempre affermato di ispirarsi proprio ai dissidenti “patriottici” come il filosofo Ivan Il’in, o lo stesso Solženitsyn.
Così anche oggi, tra emigrati da tempo e fuggitivi recenti, la diaspora russa presenta un quadro variegato e assai poco unitario, anche se ricco di personalità di spicco della cultura, della politica e dell’economia. Esiste il Segretariato dei russi europei che raccoglie molti sostenitori della lotta anti-corruzione di Aleksej Naval’nyj, dal campione di scacchi Garri Kasparov all’attore e umorista Aleksandr Gudkov, insieme ai membri della Free Russia Foundation. Vi sono poi i separatisti anti-putiniani della Lega delle libere nazioni, che chiedono il riconoscimento dell’autonomia delle varie nazionalità che compongono la Federazione Russa, e si riuniscono spesso in varie località, ogni volta cercando di non offendere qualcuna delle tante etnie che dovrebbero rappresentare. Intervengono poi vari ex-deputati della Duma e dei consigli regionali russi, anch’essi radunati recentemente in Polonia per il I Congresso dei Deputati del Popolo, i più concentrati sul possibile cambio di regime a Mosca.
Uno dei più attivi tra i deputati all’estero è Ilja Ponomarev, 47enne ex-deputato della Duma per il gruppo “Russia giusta”, per due mandati dal 2007 al 2014, poi emigrato negli Usa dopo l’annessione della Crimea, e ora molto attivo in America e in Europa. In varie interviste e conferenze, egli ripete di non voler criticare nessuna delle altre realtà organizzate dei suoi compatrioti all’estero, “ogni raggio di luce ci serve a illuminare il buio della Russia odierna”, ma distingue comunque tra chi cerca di intervenire nella politica russa, e chi difende gli interessi dei russi all’estero, ritenendoli due obiettivi radicalmente diversi e separati. Ilja sottolinea anche la notevole distanza tra chi punta a spodestare Putin, e a sostituirlo con politici più degni, e i “regionalisti” come quelli della Lega delle nazioni, che lavorano per la disgregazione dell’impero e la formazione di società eurasiatiche separate dalla Russia stessa.
Il dibattito è certamente interessante e continuerà a lungo, indipendentemente dagli esiti della guerra e dalle incertezze del futuro politico del putinismo. Del resto, la suddivisione in frazioni parallele o anche conflittuali è un classico non solo della politica russa all’estero (in patria, di solito, vincono le dittature e i totalitarismi), ma anche della sua religiosità e delle strutture ecclesiali, come proprio la guerra russo-ucraina ha clamorosamente scoperchiato davanti al mondo intero. La Chiesa patriarcale e imperiale di Mosca ha generato all’estero (anche in patria, in realtà) una serie molto variegata di giurisdizioni nel passato lontano e recente, tanto da far girare la testa non solo a commentatori ed esperti di tutto il mondo, ma anche ai suoi stessi fedeli.
In Ucraina si smembrano e ricompongono senza sosta le varianti della Chiesa ortodossa legate a Mosca, a Kiev, a Costantinopoli e a Roma, spesso le une contro le altre armate, come in questi giorni, in cui il governo di Zelenskyj cerca in tutti i modi di ripulire la martoriata Ucraina dai “collaborazionisti” religiosi legati al patriarcato di Mosca. Un sacerdote filo-moscovita è stato addirittura condannato a 12 anni di prigione, per aver rivelato la posizione delle truppe ucraine ai russi. La difficoltà deriva anche dal fatto che la Chiesa “patriarcale Upz” (Ukrainskaja Pravoslavnaja Zerkov) ha preso formalmente le distanze da Mosca già da diversi mesi, ed è impossibile raccapezzarsi su quali sacerdoti, vescovi o rappresentanti vari siano fedeli all’una o all’altra delle due facce della russicità.
Questa divisione del resto deriva dalla natura stessa del patriarcato di Mosca, creato nel 1589 per “salvare il mondo intero” grazie alla resistenza nella vera fede della Terza Roma moscovita, a fronte delle deviazioni e debolezze di tutte le altre Chiese, ortodosse o eterodosse che fossero. Quello fu di fatto uno strappo con le tradizioni apostoliche, che riservavano il titolo di patriarcato alla “pentarchia” delle Chiese originarie d’Oriente e d’Occidente (Roma e Costantinopoli, la “prima e seconda Roma” insieme a Gerusalemme, Antiochia e Alessandria d’Egitto). La reazione dei russi di Polonia, i futuri ucraini, fu l’Unione con la prima Roma decisa pochi anni dopo, nel 1596 a Brest-Litovsk, al confine dei due regni. Questa antica divisione ecclesiastica segna l’inizio del confronto aperto tra le due anime della Russia, che prosegue con la guerra odierna anche in campo religioso, e l’inizio stesso della storia dell’Ucraina.
La diaspora ortodossa seguita alla rivoluzione bolscevica si frammentò in rami separati, con la Chiesa ortodossa russa all’estero “Zarubežnaja”, la più apertamente zarista, fondata in Serbia a Sremski Karlovcy nel 1921 (per cui è chiamata anche dei “karlovčani”) e poi stabilitasi in America con sede a Jordanville, “metropolia all’estero” per i russi che fin dagli anni ’60 avevano proclamato santo l’ultimo zar, Nicola II. Una parte degli ortodossi russi emigrati era invece rimasta in sospeso tra Mosca e la scissione estera, e si affidò al patriarca di Costantinopoli formando l’Esarcato russo-greco in Europa occidentale, soppresso da Bartolomeo I nel 2018 per liberarsi da ogni legame con i russi, quindi riunitosi al patriarca Kirill e oggi in grave disagio, essendo formato da russi europei occidentali, decisamente contrari alla guerra benedetta dal patriarca stesso. Molte chiese all’estero sono rimaste direttamente sotto Mosca anche nel periodo sovietico, e anch’esse oggi si posizionano in modalità imprevedibile, a seconda degli orientamenti dei sacerdoti o dei fedeli.
Per anni ha brillato nel panorama dell’ortodossia russa la Chiesa in Inghilterra guidata dal metropolita di Surož, Antonij, detto all’inglese Anthony Bloom, un grande maestro di spiritualità, capace di fondere la tradizione russo-bizantina con la cultura religiosa dell’Occidente. Dopo la sua morte nel 2003, il patriarca Kirill inviò a Londra il suo fedele collaboratore, il giovane metropolita Ilarion (Alfeev) che di Bloom era stato allievo, e che in pochi mesi distrusse tutta la sua opera, imponendo la variante russa “patriottica”. L’estate scorsa, lo stesso Ilarion è stato esiliato da Kirill a Budapest, per “scarso patriottismo”.
Con i russi, insomma, non c’è pericolo di annoiarsi o di dormire sonni tranquilli, tra le infinite discussioni e le piogge incessanti di bombe sugli obiettivi materiali dell’Ucraina, e quelli virtuali dell’Occidente, alimentate dalla massiva propaganda ideologica all’estero, o intorbidite dalle contraddizioni della diaspora in esilio, o anche solo in vacanza di lavoro e di piacere. La Russia è uno specchio degli altri mondi e delle altre culture, delle Chiese e delle ideologie politiche, riflette in modo contorto e paradossale ciò che scorre nel sangue degli europei e degli americani, dei cattolici e degli anglicani, degli uomini e delle donne alla ricerca del proprio futuro, nella diaspora permanente dell’umanità nella storia, dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden, a cui tutti sognano di tornare.