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“Per l’Europa si può sfottere Gesù e la Madonna nelle pubblicità”

31 Gennaio 2018 - Autore: Andrea Morigi

Da Libero del 31/01/2018. Foto da Repubblica

«Gesù, Maria! Che stile!» e «Madre di Dio, che vestito!», sono slogan ammessi nei manifesti commerciali delle marche di abbigliamento. E se le autorità di uno Stato si permettono di giudicare le immagini dei creativi «contrarie alla morale pubblica» e per di più infliggono una multa a chi le diffonde, questo rappresenta «un’interferenza con i diritti di libertà d’espressione» del marchio. Inoltre, utilizzare dei simboli della fede altrui è consentito perché «né incitano all’odio per motivi di fede o attaccano una religione in modo in abusivo o gratuito». Insomma il Sacro Cuore o l’Immacolata Concezione non sono protetti dalla legge sul diritto d’autore e chiunque se ne può servire a suo piacimento.

LE TAPPE DEL LAICISMO
Che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non si occupi anche dei diritti di Dio, è un’ informazione quasi superflua. Magari dovrebbe tenere in conto anche la sensibilità religiosa dei popoli, peccato che la consideri il retaggio di un passato da cancellare. Nello spirito delle sue sentenze c’è tutta l’ eredità dell’ Illuminismo, che dopo il «Cristo sì, Chiesa no» del Protestantesimo giunse alla tappa successiva, «Dio sì, Cristo no». Perciò, quando ieri una sentenza di Strasburgo ha negato la possibilità di infliggere un’ ammenda a chi utilizza simboli sacri per pubblicizzare degli indumenti in Lituania, nessuno si è sorpreso: il diritto di parola prevale sempre e comunque.
Dalle parti di Vilnius hanno già metabolizzato esperienze storiche ben più tragiche: la Collina delle Croci, nei dintorni della città di Siauliai, conta oltre 100mila crocifissi e icone sacre, collocati in ricordo dei martiri uccisi dai comunisti, i quali, raccolto il testimone della Rivoluzione Francese, andarono oltre con «Dio non è mai esistito», illudendosi di concludere così un iter rivoluzionario ancora in via di evoluzione.
Tanto, Gesù Cristo è già stato crocifisso. Non sarà uno spot in più o in meno ad aggiungere qualcosa di significativo al sacrilegio quotidiano nei suoi confronti. A riparare alle offese, semmai, ci penseranno i credenti.
Meglio così, sotto un certo aspetto, visto che un eccesso di tolleranza potrebbe contribuire a bloccare sul nascere le pretese dei musulmani che vorrebbero censurare ogni voce critica utilizzando il pretesto della lotta all’islamofobia.
Scorrendo gli archivi della Corte in materia di libertà di pensiero, coscienza e religione, rimane soltanto da osservare che talvolta, in contraddizione con il laicismo alla francese, i giudici europei si pronunciano a favore del crocifisso nelle aule scolastiche mentre talatra si allineano al dogma moderno della separazione fra religione e istituzioni, esprimendosi contro la diffusione del velo islamico nei luoghi pubblici. Eppure sono fermissimi nel lavarsi pilatescamente le mani quando si tratta di decidere a proposito dei Versetti satanici di Salman Rushdie o delle vignette satiriche su Maometto pubblicate in Danimarca nel 2005. Anzi, affermano che la questione non li riguarda, di non avere competenze in materia o che il caso è inammissibile. Codardi. Nel frattempo, la censura è già scattata. Dopo l’attacco contro Charlie Hebdo, a Parigi il 7 gennaio 2005, il bavaglio se lo sono autoimposto le aziende e i mezzi di comunicazione.
RELIGIONE E VIOLENZA
Nessuno osa più ironizzare sui musulmani e il loro credo, per non mettere a rischio la propria incolumità. Profeticamente, Papa Benedetto XVI nella sua lezione a Ratisbona nel 2006 ammoniva che la religione e la violenza sono inconciliabili. Quel discorso fu accolto da un’ondata di rivolte in tutto il mondo. Segno che gli spazi di libertà si sono ristretti per tutti. Solo la Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo sta fingendo di non essersene accorta.
Andrea Morigi
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