Di Andrea Morigi da Libero del 13/09/2019. Foto redazionale
Guai a chi parla di “protezione del nostro stile di vita europeo”. Nemmeno la presidente eletta della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, se lo può permettere. Aveva conferito al vicepresidente greco Margaritis Schinas, esponente del partito di centrodestra Nuova Democrazia, una delega alla migrazione e una per la tutela di un’identità comune, anche se a dire il vero piuttosto confusa e controversa, senza però tenere conto di aver toccato i fili dell’alta tensione politica.
In realtà, il problema deriva dal contenuto della lettera di mandato, il cui testo recita: «Dovrai coordinare la nostra visione e lavorare su un nuovo patto per la migrazione e l’asilo. Dobbiamo tenere presente tutti gli aspetti, inclusi i controlli alle frontiere esterne, i sistemi di asilo e di rimpatri, l’area Schengen per la libera circolazione e lavorare con i Paesi terzi». Inoltre, la von der Leyen chiede a Schinas anche di «creare canali per l’immigrazione legale» per portare in Europa «persone con le competenze di cui ha bisogno l’Europa».
Insomma, a Bruxelles hanno osato postulare un legame fra la difesa della civiltà e lo stop all’arrivo in massa degli stranieri. Concettualmente sono le fondamenta per la costruzione di un muro di confine, non di un ponte che ci collega all’Africa e all’islam. Qualsiasi cosa volessero intendere con “stile di vita”, si trattasse del sostegno al gay pride o alla libertà religiosa, il tema odora troppo di sovranismo. I progressisti arricciano il naso: così sembra che nel programma di governo europeo siano state mutuate le parole d’ordine di Matteo Salvini, di Marine Le Pen o di Alternative für Deutschland. E qui allora è scattata l’intolleranza, di segno opposto ma decisamente più à la page: il nemico del popolo è chi si schiera con i popoli europei.
Ecco perché da qualche giorno, in attesa del voto di fiducia all’esecutivo comunitario, previsto per ottobre, si è scatenata la bufera. Ieri le prime critiche sono giunte da Jean-Claude Juncker, ormai presidente emerito della Commissione Ue. Poi David Sassoli, presidente piddino del Parlamento europeo, ha convocato la von der Leyen per il 19 settembre dinanzi alla conferenza dei presidenti dei gruppi politici per discutere di «denominazioni dei portafogli». I socialisti, i verdi e i liberali, che in teoria la sostengono, minacciano un voto contrario nel caso in cui non receda dalla deriva reazionaria. La Francia, attraverso la portavoce del governo, Sibeth Ndiaye, di origini senegalesi, si è detta «personalmente molto dubbiosa» sull’intitolazione dell’incarico.
Alle polemiche, nella serata di ieri ha risposto personalmente la von der Leyen, con un tweet in cui difende la propria scelta: «L’Unione è fondata sui valori del rispetto per la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, inclusi i diritti delle persone che appartengono alle minoranze», citando l’articolo 2 del trattato di Lisbona. Si spiega meglio, per evitare altri equivoci: «Questi valori sono comuni agli Stati membri, in una società in cui prevalgono pluralismo, non-discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza tra uomini e donne». Schinas ritwitta. Si annuncia uno scontro al calor bianco all’interno della maggioranza. Per una volta, almeno, però si discute di valori.