Da Libero del 31/01/2019. Foto da ilpost.it
Se non è un blocco navale, poco ci manca. Le navi delle ong favoriscono l’immigrazione clandestina e potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale. Perciò quelle imbarcazioni sono ostili o quanto meno «non inoffensive». Sarebbe la definizione giuridica definitiva che consentirebbe di affrontare casi come quello dello yacht registrato nei Paesi Bassi come Sea Watch3, ed evitare che i mezzi della nostra guardia costiera siano costretti a prendere a bordo clandestini oppure altre imbarcazioni battenti bandiera straniera riprendano a scaricare migranti a getto continuo nei porti italiani. Ecco quindi a cosa alludeva ieri il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini quando, parlando ai cronisti a Montecitorio dopo il question time, aveva pronunciato una frase sibillina: «Stiamo lavorando a un provvedimento che limiti la possibilità di entrare nelle acque territoriali italiani. Intervenendo a monte». Ma aveva smentito decisamente l’ipotesi di un blocco navale.
I LIMITI AL TRANSITO
Finora nessuno aveva osato pensarci. Ma, a forza di spulciare leggi e regolamenti, durante le riunioni tecniche fra gli uffici legislativi dei ministeri è saltata fuori una soluzione, la cui applicabilità sarà valutata nel vertice interministeriale previsto oggi. L’articolo 83 del codice della navigazione parla chiaro al proposito. Nella norma si prevede che «il ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione» o anche per ragioni di tutela ambientale, «determinando le zone alle quali il divieto si estende». L’efficacia della formulazione risiede tutta nel concetto di «mare territoriale», che si potrebbe tradurre in 12 miglia nautiche, vale a dire 22,224 chilometri. È il limite entro il quale si esercita convenzionalmente la sovranità nazionale. Perciò, invece di giungere all’interno dei confini italiani, le ong dovrebbero limitarsi a navigare in acque internazionali. E là, chiunque lo desideri, può andare a portare soccorso e solidarietà, facendo passerella a favore di telecamera. Anche l’articolo 17 della convenzione Onu sul diritto del mare, ratificata dall’Italia nel 1994, prevede che «le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale». Tutte le altre che a giudizio delle autorità nazionali non rispettano tale requisito pacifico stiano lontane. Allo scopo di evitare equivoci, l’articolo 19 del testo in questione chiarisce anche che cosa si deve legittimamente intendere e quali sono i possibili abusi della norma: «Il passaggio è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Tale passaggio deve essere eseguito conformemente alla presente Convenzione e alle altre norme del diritto internazionale». In sostanza, occorre condurre una battaglia amministrativa, quando invece alla nostra frontiera si gioca alla battaglia navale e si invocano emozioni, sentimenti e umanitarismo.
IMMIGRAZIONE VIETATA
Tanta buona volontà e un intenso desiderio di accoglienza, comunque, non sono un buon motivo per invadere un Paese, per esempio pianificando «il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero» ovvero «ogni altra attività che non sia in rapporto diretto con il passaggio». Insomma, chi vuole passare per poi attraccare nel primo porto sicuro rischia di andare incontro a serie conseguenze legali. Vale anche per chi intende fare ingresso nello spazio di uno Stato per andare a pescare, come dimostrano i frequenti sequestri di equipaggi italiani al largo della Tunisia. Funziona così anche il modello australiano di respingimento, senza confliggere con l’obbligo di salvataggio dei naufraghi. Figuriamoci quando si individua una «minaccia o impiego della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dello Stato costiero, o contro qualsiasi altro principio del diritto internazionale enunciato nella Carta delle Nazioni Unite». In quell’eventualità sarebbe giustificato perfino un intervento armato. riproduzione riservata.
Andrea Morigi