Soldi alla Libia perché fermi i barconi, ma la guerra renderà tutto più difficile. Riapre l’ambasciata a Tripoli
Occorre una strategia urgente per non scivolare nel caos libico. Così l’Italia mette l’elmo di Scipio sul capo del proprio ministro dell’Interno Marco Minniti e lo invia a Tripoli a rinnovare gli antichi fasti dell’accordo fra Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi del 2009.
All’epoca, in sostanza, si trattava di pagare la Jamahiriya perché tenesse i barconi degli scafisti lontani dalla Penisola. In cambio ci chiedevano un’autostrada, formalmente come risarcimento danni per la breve colonizzazione fascista, e all’interno del pacchetto era entrato anche un sistema Selex di controllo radar del sabbioso e desertico confine sud del Paese africano.
È un dossier ancora attualissimo, alla luce della caduta del Rais nel 2011 e della guerra civile che ne derivò, anche se la minaccia ora si è capovolta. Il 5 gennaio scorso, il Ciad ha deciso di chiudere la propria frontiera con la Libia per una grave e potenziale rischio di infiltrazione terroristica.Con l’Isis ancora ben piazzata in Libia a poche miglia marine dall’Italia, il governo tripolino di Fayezal-Sarraj sostenuto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, ma non pienamente riconosciuto dal parlamento diTobruk e combattuto dalle forze armate guidate dal generale Khalifa al-Haftar e appoggiate da Egitto e Russia, il pericolo è ancora più grave su entrambe le sponde del Mediterraneo.
Così da Palazzo Chigi domenica, il giorno precedente alla visita del titolare del Viminale, era partito un messaggio di compattezza dell’esecutivo,attraverso il ministro della Difesa Roberta Pinotti: «La lotta agli scafisti va effettuata in acque libiche». Per le nostre Forze armate,fare il servizio taxi agli immigrati è degradante.
E la politica dell’accoglienza indiscriminata, almeno stando alle parole di Minniti, sembra ormai giunta al termine. «Bisogna trasformare la missione europea. Dobbiamo sostenere la guardia costiera libica affinché ci siano dei controlli nelle loro acque. Non possiamo continuare a vedere partire migliaia di barconi dalle coste del Paese», aveva annunciato la Pinotti. Aveva provato anche nel governo precedente a mantenere la linea dura, ipotizzando l’affondamento dei navigli con i droni prima che imbarcassero il carico di disperati. Aveva trovato una sponda soltanto in Federica Mogherini, che è pur sempre l’Alto rappresentante della Politica estera dell’Ue, mal ’Onu aveva bocciato l’idea.
Primo effetto collaterale: decine di migliaia di clandestini, sedicenti perseguitati in patria, approdano liberamente in Italia. Seconda conseguenza: l’invasione fa crescere i cosiddetti«populismi».Quindi i governi di sinistra si sentono in dovere di correre per primi ai ripari.Per la propria sopravvivenza, innanzitutto.
Paradossalmente, la ricetta è tornare alle politiche dei governi (populisti) di destra, in tema di sicurezza e di immigrazione e anche nelle relazioni internazionali.
Nessuno meglio di Minniti poteva interpretare la svolta, ripristinando e «rafforzando la cooperazione bilaterale nei settori dell’economia e dei servizi» fra i due Paesi. Intanto, per riparare ai danni compiuti con la concessione delle basi aeree italiane alla coalizione che a furia di bombardamenti fece cadere il regime del colonnello Gheddafi, occorre combattere il terrorismo che si è impadronito di ampie porzioni di territorio.
Perciò serve un supporto all’operazione militare «Al Bunian alMarsus» contro lo Stato islamico (Is) nell’area di Sirte. Poi si dovrà lavorare congiuntamente per la stabilità della Libia, la lotta contro l’immigrazione clandestina, il controllo delle frontiere meridionali.
Guarda un po’, gli argomenti al centro dei colloqui tenuti ieri a Tripoli da Minniti e dal premier al-Sarraj e illustrati dal ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale dello Stato libico, Mohammed Taher Siyala, sono proprio la fotocopia dell’agenda stabilita otto anni fa, secondo un comunicato del governo di accordo nazionale libico. «Stiamo lavorando per l’attivazione di questo sostegno attraverso gli accordi firmati tra i due paesi»,ha spiegato ancora Minniti, citato dall’ufficio stampa del governo libico. In effetti Italia e Libia non avevano mai interrotto formalmente l’accordo siglato nel 2009, che prevedeva un programma di investimenti italiani in infrastrutture per circa 5 miliardi di euro mentre i libici si impegnavano a fermare i flus-
simigratori. Era stato sospeso per la chiusura dell’ambasciata italiana a Tripoli, che ancora ieri, secondo il sito della Farnesina, aveva «interrotto la propria attività». Ora invece «costituirà il centro di coordinamento principale» di tutti i progetti di collaborazione in via di definizione, spiega il Viminale, che dovrebbero culminare in un memorandum d’intesa «un progetto nazionale nel settore della sicurezza per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi nel campo della sicurezza congiunta,del contrasto al terrorismo e del traffico di esseri umani».
L’ambasciatore designato, Giuseppe Perrone, sarà il primo diplomatico occidentale a operare in Libia.
Non sarà un compito facile, il suo.
La fine della guerra non è ancora alle viste e più che di una sede di rappresentanza servirebbe una caserma.
Andrea Morigi
Da “Libero” di martedì 10 gennaio 2017. Foto Ansa