Di Andrea Morigi da Libero del 13/03/2022
Lo scenario prossimo futuro che Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e diplomatico di lunga esperienza, intravvede è un allargamento del conflitto russo-ucraino, soprattutto perché «Vladimir Putin, ormai riconosciuto come l’Hitler del XXI secolo anche da coloro che ne avevano simpatia, si è consegnato, mani e piedi legati, a Xi Jinping».
Perché?
«Per aggirare le sanzioni economiche, bypassare il sistema bancario occidentale, farsi sostenere nelle organizzazioni internazionali, ormai Putin non ha scelta: deve affidarsi al suo alleato più forte, che ha tutto da guadagnarci perché l’attenzione, dalla minaccia cinese, ora si sposta sul Mediterraneo».
La conseguenza qual è?
«Così la Russia diviene uno Stato vassallo della Cina, che acquista un ruolo assolutamente dominante. E tutto per un disegno ottocentesco di conquista territoriale e un equivoco sull’interpretazione della religione ortodossa da parte di Putin. Così siamo in presenza di due imperi, uno chiaramente d’impronta hitleriana. Ma anche l’altro ormai, con il genocidio nello Xin-jiang, si è avviato su quella medesima strada. E ora le due minacce si uniscono».
Quindi non è casuale se l’invasione dell’Ucraina è iniziata appena dopo le Olimpiadi invernali di Pechino?
«È evidente che la luce verde all’offensiva massiccia da parte delle truppe russe è arrivata da Pechino. Ed è altrettanto chiaro, sebbene il testo dell’intesa sia rimasto segreto, che il “patto olimpico” del 4 febbraio scorso è un patto d’acciaio. Russia e Cina dichiarano che uno sostiene le ragioni dell’altro. Non è solo un patto di mutua assistenza come lo è quello difensivo della Nato: in questo caso Xi e Putin sostengono l’uno le rivendicazioni, e anche le aggressioni militari, dell’altro. Così si legittimano le mire cinesi su Taiwan e Hong Kong e la militarizzazione del Mar della Cina, che priva una parte del mondo della libertà di navigazione e di commercio e delle ricchezze sottomarine, portate via a 7-8 Paesi, come il Vietnam, le Filippine e Taiwan».
Non è il risultato opposto a quello dichiarato con l’apertura delle Vie della Seta, cioè favorire gli scambi e la pace?
«Apparentemente. La metà delle vie della Seta passa dalla Russia o da Paesi vicini per esempio in Asia centrale. Perciò, se i cinesi aprono un porto a Gibuti, o lo acquistano al Pireo, perseguono scopi commerciali, ma anche, immediatamente, militari. Le linee di comunicazione divengono zone di influenza politica, strategica, di sicurezza e militare. Attenzione a questa identità di fini. Viene un po’ da inorridire vedendo che alcune personalità politiche italiane, fanno parte da anni di comitati e consigli di amministrazione, alcuni dei quali devono promuovere proprio la narrativa sulla Via della Seta. E questo svela anche la forte influenza cinese nel mondo politico, economico, e della sicurezza italiana,con conseguenze abbastanza preoccupanti».
Vuol dire che ormai ci siamo consegnati anche noi?
«Penso che russi e cinesi non si attendessero una reazione dell’Occidente. Ma il vento è cambiato».
In quale direzione?
«La Germania è il punto centrale. Al Cremlino, soprattutto, erano abituati a considerare i tedeschi come i migliori amici e finanziatori dell’economia di Mosca e confidavano nella costruzione del gasdotto NordStream2. Con l’arroganza ironica e sadica dell’uomo che avvelena i suoi oppositori, Putin ha detto che se i consumatori tedeschi pagano poco il gas è a causa dell’operato di una personalità di governo tedesca. Con la Merkel il mercantilismo tedesco ha sacrificato tutto nelle relazioni internazionali, compresi i diritti umani. Ma ora a Berlino hanno invertito la rotta e hanno deciso di investire 100 miliardi di euro in spesa militare».
Sarà un segnale anche per noi?
«Non dovremmo trascurare che la strategia cinese postula il principio della fusione civile e militare. Per lo sviluppo del Paese si deve puntare al massimo progresso scientifico e tecnologico. A Pechino lo fanno sottraendo i risultati di ricerche e brevetti all’estero, anche in Italia. Ma quel che serve alla crescita dell’economia risulta utile anche al potenziamento delle Forze Armate e viceversa. Perciò anche noi non possiamo pensare che dare risorse alla Difesa significhi sottrarle ad altri capitoli di spesa».