
Di Andrea Morigi da Libero del 08/09/2019. Foto redazionale
La sottana è politicamente scorretta. All’improvviso, il regolamento della Priory School, un college di Lewes, nell’East Sussex inglese, l’ha proibita, imponendo un’uniforme «di genere neutro», cioè i pantaloni lunghi obbligatori. Si vogliono evitare discriminazioni nei confronti di chi soffre di incertezze sulla propria identità sessuale. È l’obiettivo dei programmi di educazione contro il bullismo a sfondo omofobico. Se si scopre che a scuola qualcuno ha maturato un (pre)giudizio sfavorevole alla cultura gay, parte il progetto di rieducazione obbligatorio. La conseguenza è la contestuale soppressione della libertà educativa da parte delle famiglie, ma sono dettagli trascurabili, di fronte all’avanzare dell’ideologia del progresso. Anzi, siccome è meglio prevenire, piuttosto si fanno soffrire le studentesse, che magari si erano anche dolorosamente depilate stinchi e polpacci in occasione del primo giorno di scuola. Per un po’forse potranno ancora vestire come vogliono a casa o quando escono con gli amici. Ma l’ideologia ufficiale delle istituzioni pubbliche britanniche afferma risolutamente che non devono esistere differenze fra un maschio e una femmina.
PUNIZIONI ESEMPLARI
Venerdì, quindi, all’ingresso dell’istituto, era stata schierata perfino la polizia, con il compito di rimandare a casa le alunne che si ostinavano nella contro-rivoluzionaria attività: indossare quell’odiosa e reazionaria gonna, simbolo del più bieco oscurantismo. E qualche ora più tardi la direzione ha avuto anche la spudoratezza di scrivere alle loro famiglie per chiedere quale fosse il motivo dell’ingiustificata assenza. Si prospettano quindi punizioni esemplari contro chi trasgredisce. Somigliano tanto alle «purghe», riservate ai cosiddetti nemici del popolo durante i regimi comunisti. Non si può escludere a priori nemmeno la galera, visto che alcuni progetti di legge contro l’omofobia – almeno in Italia è così – prevedono anche pene detentive. Certo che, se le signorine avessero deciso di scioperare tutti i venerdì, saltando le lezioni per una causa nobile come il surriscaldamento del pianeta, prendendo come esempio Greta Thunberg, tutto sarebbe stato diverso. Nessuno si sarebbe mai permesso di biasimarle e avrebbero avuto il plauso di intellettuali, politici ed ecclesiastici à la page. Della vicenda si sono occupati la Bbc, Sky News e perfino il quotidiano progressista britannico The Guardian, dando voce a una manifestazione delle scolaresche contrarie all’imposizione del nuovo dress code. Le poverette, in realtà, hanno anche tentato di inserire un tema ambientale nella loro protesta, inalberando sì alcuni cartelli per la libertà di scelta, ma che spiegavano anche come «una sola divisa per nove mesi non è sostenibile» e che «la moda veloce è la seconda causa del cambiamento climatico». Ma non è valso a nulla.
UGUALI PER FORZA
Fra loro c’era perfino qualche ragazzo, al quale evidentemente non avrebbe dato eccessivo fastidio la visione delle gambe delle compagne di classe, tradizionalmente un elemento motivante che contribuisce a un miglior profitto. Peccato che avessero scelto di un blazer blu e una cravatta a righe regimental. Non era esattamente un esempio di equidistanza fra i sessi. Se si fosse trattato di maschietti con la gonna, forse li avrebbero presi maggiormente in considerazione. Anche due parlamentari eletti nella zona, Maria Caulfield e Tim Loughton, si sono espressi contro l’imposizione da parte della scuola. Ma il portavoce del preside insiste: «Crediamo che un’uniforme indossata senza variazioni sia il modo migliore per assicurare l’uguaglianza». Che per natura uomini e donne siano morfologicamente e psicologicamente diversi, dev’essere evidentemente il frutto di uno sbaglio del Creatore. Finora, nessuno se n’era accorto.