Di Francesco Cavallo da Avvenire del 15/05/2021
Caro direttore,
quando una proposta normativa è controversa, giova l’esperienza di nazioni nei cui ordinamenti già vigono disposizioni come quelle che si vorrebbero introdurre. Leggi anti-omofobia mal scritte esistono in più d’uno Stato europeo, e i casi che hanno provocato sono noti: perfino in Spagna, nel 2014, l’iscrizione nel registro degli indagati del cardinale Fernando Sebastian Aguilar, per delle sue tranquille considerazioni in tema di famiglia. Non altrettanto conosciute sono le vicende accadute in alcuni Stati degli Usa.
Nell’opinione comune discriminazione implica maltrattamenti basati su fattori irrilevanti. Distinguere e discriminare restano operazioni, e condotte, differenti. Una scuola distingue in base al sesso degli alunni quando crea bagni maschili e femminili; discrimina in base al sesso se consente solo agli uomini di studiare economia. Il primo limite dell’estensione di molte normative anti-omofobia è di non specificare in modo appropriato ciò che costituisce una discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere: mancano cioè dei confini chiari tra giusta distinzione e ingiusta discriminazione.
Nel 2012, Jack Phillips, titolare di una pasticceria a Denver in Colorado, non ha discriminato – e invero nemmeno distinto – in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Non ha mai preso in considerazione l’orientamento sessuale dei suoi clienti: un bel giorno ha ritenuto di non voler creare una torta personalizzata, che gli veniva richiesta, per celebrare un matrimonio omosessuale, sulla base dell’intima convinzione per cui queste relazioni – al pari di molte altre, di coppia e no, omosessuali ed eterosessuali – non siano ‘coniugali’. Mr. Philips non ha mai manifestato idee o atteggiamenti offensivi nei confronti delle persone omosessuali: ha declinato educatamente, spiegando di non essere disposto a lavorare per celebrare ogni evento, e ha offerto qualunque altro prodotto del suo negozio, ma non una torta finalizzata a quella specifica occasione. I due clienti dello stesso sesso presentarono una denuncia alla Commissione per i diritti civili del Colorado e lo Stato, in forza di legge, adottò un provvedimento col quale ordinava a Jack di realizzare torte per qualunque circostanza, comprese le celebrazioni dei matrimoni omosessuali; gli impose di rieducare il suo staff, la maggior parte del quale era composto dai familiari; gli chiese di segnalare al governo statale tutte le torte che si era rifiutato di creare e le relative ragioni negli ultimi due anni. Dopo oltre cinque anni di contenzioso, la perdita del 40% del fatturato e il licenziamento della metà dei dipendenti, la Corte Suprema federale, il 4 giugno 2018, ha censurato la repressione della libertà di Jack Philips perpetrata dal Colorado, affermando che nessun potere pubblico può costringere un artigiano a celebrare eventi o a esprimere messaggi contro le sue personale convinzioni. Ma non ha avuto nessuna rifusione per i danni subiti a causa dei provvedimenti adottati nei suoi confronti e per la lunga pendenza giudiziaria, e non è stato più nelle condizioni di riassumere i dipendenti licenziati.
L’iter argomentativo dei giudici costituzionali Usa ha affrontato anche il tema della differenza tra discriminazione e disaccordo. Nel ritenere inammissibile l’argomento dell’Aclu (American Civil Liberties Union), la più potente organizzazione lgbt americana, intervenuta in giudizio, secondo la quale la contrarietà al matrimonio tra persone dello stesso sesso «è discriminazione e basta» – «just is» – contro le persone omosessuali, i giudici Anthony Kennedy, estensore dell’opinione di maggioranza, e Samuel Alito, estensore di un’opinione concorrente, hanno spiegato che «è come se Phillips avesse detto: ‘Non ho nulla contro le persone omosessuali, ma non penso possano celebrare un matrimonio perché è contrario alle mie convinzioni. Non è la loro identità sessuale a fondare la mia scelta, ma l’atto pubblico che vorrebbero compiere’».
Una seria riflessione prima di introdurre in Italia norme e concetti che possano diventare paradossalmente fonte di contenzioso e di discriminazione appare opportuna. Mentre imporre di votare a prescindere ‘sì’ a tutto questo per ‘disciplina di partito’ è un scelta davvero pesante.
Avvocato, coautore di ‘Legge omofobia. Perché non va’, Cantagalli 2021