« Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io » (1Cor 9,16-23).
La frase centrale di questo brano è questa: « pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero ». San Paolo in fondo ci vuol dire che la sua situazione non è diversa da quella di qualunque battezzato. Il battesimo, così come è descritto nel capitolo 6 della lettera ai Romani, è una liberazione. Qualcuno che è schiavo del mondo e delle potenze di questo mondo viene liberato.
Non diventa però libero e basta: la vera libertà non è una libertà solo “da”, ma è una libertà “per”. Il cristiano, una volta battezzato, è posto sotto il dominio di Cristo. Diventa servo di Cristo. Così per san Paolo annunciare il Vangelo non è un puro incarico ricevuto come dall’esterno, ma espressione del suo essere “di Gesù”. È libero per questo. È libero dal suo essere giudeo o pagano e da tutte le sue situazioni e circostanze. « Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28); « Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito » (1Cor 12,13); « Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti » (Col 3,11). Chi ha fatto gli Esercizi di sant’Ignazio non faticherà a riconoscere qui la famosa « indifferenza» ignaziana, che non significa “apatia”, assenza di passioni, ma libertà interiore.
Quella libertà che mi fa essere distaccato da tutto, quando è in gioco il raggiungimento del fine. Una volta compreso il fine, tutto il resto diventa mezzo. Questo vuol dire farsi tutto a tutti. Non si tratta di adattare il Vangelo alle esigenze del mondo, ma di avvicinarsi così tanto al prossimo da diventare in qualche modo come lui (cfr. Lc 10,29-37) allo scopo di comunicargli in modo vivo l’unico Vangelo di Gesù. Per san Paolo niente, ma proprio niente, era così “suo” da non sapervi rinunciare per annunciare il Vangelo. Così hanno fatto sempre i veri missionari. Giunti in un posto vi hanno imparato la lingua, i costumi, il modo di essere e di parlare; tutto quello che era solo “mezzo” l’hanno fatto proprio, perché il fine potesse essere raggiunto. Ci sono però dei comportamenti che non possono essere assunti perché sono segnati dal peccato.
Quelli appunto non sono più mezzi, ma degli scopi negativi (ci vuole discernimento!). Da quelli devi rimanere libero, per poterne liberare gli altri. Il modello è Gesù che si è fatto uomo in tutto e per tutto, tranne che nel peccato dal quale appunto voleva liberarci: « Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato » (Eb 4,15).