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Il pensiero del giorno: Mc 7,31-37

9 Febbraio 2018 - Autore: Don Piero Cantoni

« Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà“, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!” » (Mc 7,31-37).

La guarigione del sordomuto è uno dei pochi episodi raccontati dal solo Marco. Si svolge al termine di un lungo viaggio condotto interamente in territorio pagano. Qualche commentatore ha accusato l’evangelista di avere le idee un po’ confuse in geografia, perché, se Sidone si trova ad una trentina di kilometri a nord di Tiro, la Decapoli si trova molto molto più a sud. Traducendo in termini a noi familiari il modo di parlare di Marco, sarebbe come se uno dicesse: uscì da Milano e, passando per Lodi, raggiunse Napoli… In realtà, quello che sta a cuore a Marco è sottolineare come Gesù si muovesse ad ampio raggio in pieno territorio pagano.
Come tutte le guarigioni raccontate nei Vangeli si tratta di un fatto assolutamente reale, ma qui emerge con particolare chiarezza il suo significato simbolico. L’uomo, a causa del peccato, è diventato sordo alla Parola di Dio e, conseguentemente, incapace di comunicare con Lui e di parlare di Lui agli altri. Il Demonio, che è stata la causa indiretta di questa situazione, la accentua con le sue tentazioni e i suoi astuti suggerimenti, al fine di creare nell’uomo una impressione di incomunicabilità con Dio, che lui si affretta ad interpretare come un silenzio sdegnoso di Dio nei suoi confronti. La guarigione qui operata è particolarmente “carnale”, cioè manifesta con straordinaria chiarezza come la “carne” sia il tramite della salvezza: Gesù infatti lo tocca negli orecchi e sulla lingua, usa anche la saliva e sospira.
La parola che pronunciò dovette colpire profondamente gli ascoltatori, perché Marco la riporta nell’aramaico in cui fu pronunciata: אֶתְפְּתַח (etfetach-effetach), una delle rarissime occasioni in cui raggiungiamo un “ipsissimum verbum Jesu” [una parola pronunciata da Gesù e conservata nel suo stesso suono, come se fosse stata registrata con il mio iPhone…]. Essa è ancora presente nel nostro rito del Battesimo. « […] il celebrante, toccando col pollice l’orecchio destro e sinistro dei sigoli eletti e la loro bocca chiusa, dice: “Effatà, cioè Apriti, perché tu possa professare la tua fede a lode e gloria di Dio” » (Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, n. 202; Rito del battesimo dei bambini, nn. 74.121). Chiediamo con umiltà a Gesù, per intercessione di Maria sua madre, che il nostro cuore finalmente si apra e la sua Parola possa circolare liberamente in noi, umilmente ascoltata e amorevolmente comunicata. « Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! » (san Giovanni Paolo II).

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