« Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele , che significa Dio con noi . Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa » (Mt 1,18-24).
Se in Lc 1,26-38 è raccontata la vocazione di Maria, qui abbiamo la vocazione di Giuseppe. Entrambi i brami appartengono ad uno stesso genere letterario: “racconto di vocazione”. Il “mistero” di san Giuseppe è tutto racchiuso nel paradosso dell’assoluta verità del suo matrimonio con Maria e della paternità nei confronti di Gesù da una parte, e della concezione verginale del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo dall’altra. Sono i due anelli della catena che non è lecito abbandonare se non si vuole smarrire il mistero. Certamente la paternità “legale” aveva per gli ebrei (e per i popoli tradizionali in genere) una portata che oggi si stenta a capire. Non si deve dimenticare che le genealogie di Matteo e di Luca, che attestano la discendenza davidica di Gesù e quindi la legittimità della sua pretesa messianica, passano entrambe per Giuseppe, pur rilevando che la sua paternità non è fisica. Così come l’imposizione del nome lo vede in un ruolo tipicamente paterno, un ruolo di altissimo valore nel mondo biblico e tradizionale. Ma la paternità di Giuseppe ha un fondamento reale ancora più elevato: ha ricevuto questa missione da Dio e Dio, nel momento in cui affida una missione, crea tutte le condizioni oggettive del suo compimento.
Il “dubbio” di Giuseppe costituisce uno dei temi classici della Josephologia, la riflessione teologica sul “mistero” di san Giuseppe assurta, soprattutto sotto la spinta della devozione popolare e per impulso del Magistero, a disciplina autonoma, per quanto la può essere naturalmente una branca della teologia, che è specificamente una: davanti alla maternità di Maria, di cui non è causa, il santo rimane turbato, tanto da decidere in cuor suo di rimandare la sposa. Il turbamento prelude all’accettazione umile e generosa di una missione ricevuta da Dio. Secondo l’opinione oggi più seguita dagli specialisti di teologia giuseppina, il turbamento di Giuseppe è quello dell’uomo giusto che, alle soglie di un mistero più grande di lui, di cui risulta molto difficile pensare che non fosse già a conoscenza, non sa decidersi prima di aver colto la volontà di Dio. Ma una volta ascoltata la “vocazione”, imposta la sua vita all’insegna della fedeltà, silenziosa ma perseverante, modello purissimo di obbedienza della fede. La verità del matrimonio e della paternità di Giuseppe hanno conseguenze importantissime per la teologia del matrimonio e dell’amore in genere. Evidenziano un fatto capitale: il matrimonio — e l’amore fra un uomo e una donna — non consiste nella sessualità biologica, senza nulla togliere all’importanza e alla santità della sessualità fra i coniugi. Una considerazione minimalistica e sostanzialmente falsa — perché in contrasto con la Scrittura — del matrimonio di Giuseppe ha fatalmente accompagnato la teoria del rapporto sessuale come elemento essenziale del matrimonio, mentre è certamente anche la riflessione su questo punto del mistero cristiano a condurre la migliore tradizione teologica a vedere l’elemento formale del matrimonio nella”indivisibile unione degli spiriti”. Anche da questo punto di vista il mistero silenzioso di Giuseppe è particolarmente eloquente per la nostra epoca, ammalata di ipertrofia del sesso biologicamente inteso. Per unire due corpi bastano pochi minuti, per unire due spiriti spesso non è sufficiente una vita intera.
Come per Maria, anche per Giuseppe la missione ricevuta da Dio non si conclude con il “pellegrinaggio della fede” terreno, ma continua in cielo. Anche qui vale lo stesso principio che guida la riflessione su Maria: quanto è in relazione con il Capo è in relazione con il Corpo e con le sue membra. Si tratta di un principio che, in questo caso, si duplica con la particolare relazione che lega san Giuseppe con la Beata Vergine Maria. Ecco perché, “ispirandosi al Vangelo, i Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello” (san Giovanni Paolo II, Redemptoris custos, n. 1); e il beato Pio IX ha sanzionato quanto l’istinto della fede del popolo cristiano aveva da tempo colto e vissuto, dichiarandolo “Patrono della Chiesa cattolica”. San Giuseppe appartiene a quella costellazione di persone che sono state più vicine a Gesù nella sua vita terrena ed hanno così partecipato – ciascuna a modo suo – al mistero della redenzione. È bene avere una grande considerazione per Giuseppe, il “giusto”, perché è un grande. Dobbiamo essere riconoscenti a san Giovanni XXIII che lo ha inserito nel Canone Romano e a papa Francesco che ha esteso la sua presenza a tutte le Preghiere Eucaristiche.