« Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli » (Mt 5,17-19).
Gesù introduce questo insegnamento capitale, a proposito della sua posizione rispetto alla Legge e ai Profeti (cioè a tutto l’Antico Testamento) nel modo solenne che gli è abituale (è usato 31 volte nel vangelo di Matteo): « In verità io vi dico ». Gesù si pone in piena continuità con la storia di Israele. Non abolisce quanto stabilito o promesso prima, ma “compie”. Che cosa significa questo « pieno compimento »? Innanzitutto vuol dire “realizzazione”. Quello che anticamente era solo figura (sacrificio, tempio, popolo di Dio) ora diventa realtà nella sua Persona e nel suo Corpo, fisico e mistico. Il suo sacrificio non è più cruento.
Diventa un atto di amore supremo, in cui sacerdote e vittima coincidono e che si compie sull’altare del cuore, come atto di somma libertà. Non è più ripetibile, ma è ri-presentabile, perché essendo atto di amore perfetto non passa più. Il tempio non è più un luogo terreno, ma è il suo corpo, che rimane sulla terra come la sua permanente presenza, il suo Corpo mistico, cioè misterioso. Compimento vuol dire anche “adempimento” di tutte le promesse contenute nel messaggio profetico. È un compimento perfetto, da “Signore” che và ben al di là di ciò che ha materialmente promesso, ma compie le promesse « al di là di ogni desiderio e di ogni merito » (colletta della XXVII domenica del Tempo Ordinario). L’Antico Testamento va dunque accolto e custodito con onore e amore. Interpretato alla luce del Nuovo, cioè alla luce della Persona di Gesù risorto e vivo e della sua Chiesa, deve essere “compiuto” in ciascuno di noi.