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Il pensiero del giorno: Rm 8,18-25

31 Ottobre 2017 - Autore: Don Piero Cantoni

« Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (Rm 8,18-25).

La sofferenza è un mistero che tocca tutti e tutti ci costringe a pensare. Alla luce di Cristo san Paolo vede la sofferenza come un’apertura sulla gloria di Dio. Le nostre sofferenze sono però terribilmente insufficiente e limitate. Quando soffriamo esse non paiono affatto limitate, ma tuttavia esiste una infinita sproporzione tra la nostra sofferenza e la gloria di Dio. Tuttavia, per merito di Cristo e per la forza dello Spirito che ci ha donato le nostre piccole sofferenze si aprono sull’infinito della gloria di Dio: « Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria » (2Cor 4,17). Chi opera questa traduzione? Chi traduce la lingua imperfetta e balbettante dei nostri gemiti nel linguaggio trascendente di Dio? « Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili [meglio: ‘inespressi’]» (Rm 8,26).

I nostri gemiti, le nostre sofferenze assomigliano così ai dolori del parto: « La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo » (Gv 16,21). Le donne questo lo capiscono meglio dei maschi, ma anche i maschi possono farsene un’idea. La sofferenza, nell’esistenza cristiana, non può mai essere separata dalla gioia, perché si apre sulla infinita e stupefacente gloria di Dio.

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