Francesco condanna la crescita economica: crea emarginazione sociale. Delusione per i numeri dell’Anno Santo
Si chiudono le Porte sante diocesane, al termine del Giubileo della Misericordia.
Non quella principale, nella basilica di san Pietro, a Roma, che sarà murata dopo la conclusione ufficiale dell’anno santo straordinario proclamato da Papa Francesco e aperto l’8 dicembre dello scorso anno a Bangui, in Centrafrica, dallo stesso Pontefice.
È l’ora del primo bilancio e dell’ennesimo mugugno romano: commercianti e costruttori hanno incassato meno di quel che speravano dall’afflusso dei pellegrini, che peraltro hanno raggiunto la cifra di 20 milioni. Non c’è male, considerando la coincidenza con le stragi del 13 novembre di un anno fa a Parigi, seguite dagli attentati a Bruxelles del 22 marzo scorso e da un allarme terrorismo ininterrotto e costellato da proclami dello Stato islamico sull’imminente conquista di Roma da parte delle armate del Califfo.
Ora quel rischio sembra drasticamente ridotto. In un’ottica soprannaturale lo si potrebbe anche considerare un risultato delle preghiere di tanta gente che, ottenendo il perdono per i propri peccati e mediante la penitenza, potrebbe aver allontanato un esito apocalittico.
Il fine delle celebrazioni, del resto, era spirituale, ma che l’aspirazione di lucrare l’indulgenza plenaria si accompagni spesso allo scopo di lucro è un vizio ormai secolare nella capitale della Cristianità.
Aveva scandalizzato notoriamente Martin Lutero, il quale poi aveva fatto leva su quella e altre contraddizioni della Chiesa per scardinarla. Se il Santo Padre recentemente è andato in Svezia, è stato anche per ribadire che ora la musica è cambiata.
Lo ha ripetuto ieri, dalla Cattedra di san Pietro, rivolgendosi alle persone socialmente escluse: «È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare».
La dinamica sociale messa in discussione è quella della cultura dello scarto: «Così nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, il che è un bene, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi».
Gli daranno dell’oscurantista o in alternativa del marxista o dell’ecologista, com’è già accaduto ai tempi del libro-intervista ad Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, Questa economia uccide, e dell’enciclica Laudato sì, perché critica il «mito moderno del progresso», anche se si rifà dichiaratamente all’analisi del filosofo Romano Guardini nell’opera La fine dell’epoca moderna, pubblicata nel 1965.
E vi è un antecedente in Paolo VI, che nel 1970 auspicava un cambiamento nella condotta dell’umanità, perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico
progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».
Di nuovo, Papa Bergoglio aggiungeva che c’è una scienza utilizzata per eliminare esseri umani o per distruggere risorse. Accade in Cina, tipicamente, dove il progresso si riduce al suo fattore economico o tecnologico. O nel resto del mondo industrializzato, dominato da
«un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso».
Ecco perché, ieri, ha ribadito che l’esclusione «è una grande ingiustizia che deve preoccuparci, molto più di sapere quando e come sarà la fine del mondo; perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta. Non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti».
Andrea Morigi
Da “Libero” del 14 novembre 2016. Foto da vita.it