Da La bianca Torre di Ecthelion del 14/05/2018. Foto da articolo
È la bellezza, bellezza!, e stavolta ha il volto di Pinocchio. La faccia legnosa di un tronco rinsecchito che però d’un tratto diventa volto umano, con gli occhi «[…] che si muovevano e che lo guardavano fisso fisso» ‒ scrive Carlo Lorenzini in arte Carlo Collodi (1826-1890) al capitolo III de Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino (1883) ‒ implicandosi in una inesistente contraddizione che il cardinal Giacomo Biffi (1928-2015) spiega a puntino in quella perla di rara saggezza umana e sublimità prosastica che è Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio” (Jaca Book, Milano 2017, pp. 35-36). Perché lo sguardo dell’uomo in ricerca tocca tutto e ogni cosa inarrestabile, ma resta pur puntato su ciò che dà senso alla sua esistenza, l’origine, il padre, Geppetto (è infatti lui il “tu” del virgolettato sopra).
Qui, signori, si parla della bellezza, di una cosa tanto semplice e assurda qual è un pezzo di legno che prende a parlare. “Assurda” perché non si è mai data una cosa così, in natura non c’è, ci sono tutte le prove scientifiche, ci sono i riscontri, i testimoni, i giudici, le sentenze. Ne ha parlato anche la stampa, e ne han fatto un caso pure in tivù (e pure qualche prete è d’accordo). “Semplice” invece perché gli è che anche i tronchi un giorno possono mettersi a parlare. Chi l’ha detto? Collodi, che certo non era un prete. Per quanto appaia scriteriato (e lo è), se non vogliamo essere noi gli assurdi, occorre proprio che sì, cadiamo le braccia lungo i fianchi, sospiriamo, rilassiamo l’epa e ci arrendiamo. Non dovrebbe proprio, ma quel legno parla davvero. I bambini lo capiscono subito. Mica ti chiedono la meccanica del prodigio. Dicono, gonfiando gli occhi e le guance, “Come fa?” per dire “Sììììì, lo fa!”, non per cacar dubbi o senno non richiesto. Caveat in diretta: quando qui scriviamo “bambini” non adoperiamo parole educate per dire “scemi”. C.S. Lewis su questo è chiarissimo. Bambini sono quelli che leggeranno pure i giornaloni e guarderanno pure la tivù o gli smartphone, ma che quando quelli dicono che un ramo secco non parla mentre invece lo fa chiudono giornale, televisore e cellulare per andarsene a spasso col tronco parlante.
La bellezza, si diceva. Cosa c’è di più bello di questo? E del fatto che Pinocchio sia una fiaba? Anche qui: non abbiamo impiegato “fiaba” per significare “sciocchezza”. Abbiamo detto così perché cosa c’è di altro che valga la pena di essere scritto, letto, tramandato, raccontato se non il mito (cioè l’interrogarsi potente, anche anarchicamente se fosse il caso, con le massime potenze in gioco nella realtà, con le cose massime e i massimi sistemi, con ciò che dà senso o non lo dà all’esistenza oltre ai giornali, alla tivù e al governo prossimo si farà oppure no)?. E assieme al mito l’epica, cioè l’entrare a far parte in prima persona di quel gioco di cose massime di cui parla appunto il mito giacché starcene al balcone da spettatori non ci basta affatto, anzi ci irrita? Come quei bambini adulti che nel presepe appena allestito ‒ una fiaba resa plasticamente che ha l’irraggiungibile vantaggio di essere pure fattualmente, storicamente vera ‒ vorrebbero, vogliono entrarci fisicamente dentro pure loro. La bellezza di una fiaba, di una fiaba come Pinocchio, di una fiaba come metteteci il titolo che preferite, come il modo con cui un Nazareno raccontava a dei bambini adulti le cose massime non del mondo esterno, ma di loro stessi. E la bellezza incontra la bellezza.
GLI OMETTI DELLA GUASTALLA. C’è Pinocchio, ok questo lo abbiamo già detto. Poi c’è una scuola, una delle scuole più antiche d’Europa, che si chiama Collegio della Guastalla. Sta a Monza, periferia, quartiere San Fruttuoso, all’ombra di un campanile, tra alberi ad alto fusto (qualcuno dice che uno di quelli, là nel parco, parli… sarà Pinocchio? sarà Barbalbero?). Alziamoci, andiamo nelle periferie del mondo e dell’umano. Là alla periferia di Monza, che è periferia di Milano (adesso i monzesi mi sparano) sta insomma questa scuola che non scrive eccellenza anche sui muri dei bagni per convincersi puzzasottilnasisticamente di essere una scuola di fighi, ma che coltiva #sempreilmegliodite. L’ho già scritto che tra l’altro è un posto bello, proprio bello da vedere, incontrare, vivere? In detta scuola si cerca di trar degli ometti da certi tronchetti, cioè dei bambini adulti sempre aperti, sempre pronti, sempre ritti, mai sdraiati. Intendiamoci, si sdraiano pure lì, ma il punto è che attorno a loro qualcuno, genitori e maestri, non si accontenta, e alza la posta in gioco. A quelle latitudini lo chiamano “rischio educativo” ed è una continua provocazione dolce e ferma; il Rettore, Francesco Valenti, la ribattezza una convocazione urgente e cogente alle cose grandi, potente tanto quanto libera (cioè, banalmente, puoi pure dire di no, ma io non mi arrendo e continuo a domandarti, «Shomèr ma mi llailah», «Sentinella, a che punto è la notte?»). Quali cose grandi? Le cose grandi che le fiabe (mito ed epica) raccontano come null’altro sa fare. È, dicevamo, una scuola.
MIMMO PALADINO. A Lecco c’è uno spazio per l’arte bella. Si chiama Galleria Bellinzona. Dispone di opere suggestive e inquietanti (cioè che suggeriscono e che non ti lasciano bearti della pochezza) relative, guarda un po’, a Pinocchio. Pinocchio che scappa da scuola, la scuola che accoglie Pinocchio. Due più due fa quattro e la Galleria Bellinzona dice: “Presterò le opere grafiche su Pinocchio di cui dispongo al Guastalla. È una scuola, è bella, vi si raccontano fiabe vere, la cosa ci sta, eccome se ci sta”. La bellezza che incontra la gratuità, e anche l’inverso è vero.
Le opere in oggetto sono quelle di Mimmo Paladino, princeps campano del ramo (non è forbitissimo definirlo così, ma cercavo un altro raccordo con la storia del tronco che si fa uomo sbaragliando Maestro Ciliegia col popò per terra).
Sono 26 e adesso sono in mostra al Guastalla, la Cariplo patrocina. Essere in mostra vuol dire che chiamano. Che non hanno vergogna a raccontare una storia. Che dicono: “Eccomi, prendi quel nulla che sono, che è moltissimo”. L’esibizione incomincia domani, martedì 15 maggio, tardo pomeriggio, ore 18,00 con un ennesimo gesto di bellezza. Un’accoglienza in forma conviviale (mi piace sempre di più che non l’arido rinfresco, il calembour è voluto). Se le cose della vita non ci travolgono, ci vediamo lì domani sera. L’orario è post-ufficio: smettetela di fatturare, e venite a conoscere Pinocchio. Vi somiglia, ed è una cosa bella. La mostra, appunto, va guardata. Portate parenti, amici, anche nemici: si può negare a qualcuno la grande bellezza? Insomma, «birba chi manca» dicevano in coro Brancaleone cavalier da Norcia e il Manzoni. C’è tempo fino al 9 giugno, ma ricordatevi che il tempo fugge, la carrozza torna zucca e la vostra gentile signora finisce per perdere una scarpina di cristallo.
UNA MARATONA PER GRANDI E PICCINI. Il secondo appuntamento è il 19 maggio, dalle 9,00 alle 18,00. Un sabato: cos’avete da fare? Un sacco di cose importanti e utili. E allora “sprecate” una giornata. Venite al Guastalla da cui parte la maratona letteraria Pinocchio #adaltavoceche attraverserà tutta San Fruttuoso. Il Pinocchio libro ce lo leggeremo noi per noi e per tutti, pro vobis et multis, ad alta voce. Leggere ad alta voce è una scienza. Dello spirito. Venite che i nostri 100 lettori, grandi e piccoli leggeranno tutti e ognuno un brandello del Pinocchio-libro per 315 minuti (in realtà pare che saranno 120-130, l’arruolamento volontario è andato oltre le più rosee previsioni, ma noi lo slogan con la bella cifra tonda mica lo potevano buttare). Una catena. Umana. Uno scudo umano contro il brutto e l’avulso. La grande magia sta nel fatto che se prendi ogni singolo lettore col suo frammentino distaccato e disseccato nulla ha senso, ma se invece il pezzetto nullo lo inanelli su un filo prende forma e vita, diviene opera, rosario. Una cosa che ha senso. Si chiama legare assieme, re-legare, religione, cucire, tessere, tramare. L’arte del telaio. La tradizione. La maratona letteraria pinocchiesca va pellegrina per le strade, ma non è nomade. Cammina verso una meta. La tradizione infatti è progresso. Quando sei uno dei tanti laggiù nella fila non vedi la meta. Segui quindi chi ti sta davanti. Non perché sei pecora bianca o nera, ma perché chi sta prima segue un altro che sta prima ancora, su su fino ad arrivare all’ultimo che è il primo, come sempre, che è colui che la meta la vede benissimo, anzi la tocca e non può dire che non esiste, come non si può dire che un pezzo di legno non parli se parla. La maratona letteraria è Pinocchio-testimone che passa di labbra in labbra dando vita a una storia che sta in piedi perché uno dà fede all’altro che gli cammina affianco.
A mezzogiorno leggerà il suo bel frammento anche il sindaco di Monza Dario Allevi. Lo faranno pure l’assessore a Famiglia e Politiche sociali, Desirée Chiara Merlini, l’assessore ad Attività Produttive e Cultura Massimiliano Longo e l’assessore all’Istruzione Pier Franco Maffè. Longo, lo abbiamo sentito dirglielo (costruzione orrenda ma non voglio rinunciare alla sovrabbondanza) vuole che il Pinocchio-libro si rilegga pure in piazza, nel cuore della straordinaria Monza capitale della “Vandea lombarda”, la Brianza. Voleva farlo in luglio, ma non ce la facciamo. Meglio rimandare a ottobre. Restate sintonizzati su questo canale, ché arriveranno aggiornamenti. Perché la scuola non statale di Monza, il Collegio della Guastalla, è una scuola pubblica: svolge servizio pubblico pagato dai privati. Quindi la sua “cosa privata” ha un valore pubblico che le istituzioni riconoscono e che portano al cuore della cittadinanza.
IL MURALE E LA FESTA. In contemporanea sabato 19 un writer, uno di quelli che dipingono i muri, un talento vero, Michele Centoducati (e poteva chiamarsi diversamente?…) schizzerà coi ragazzi che il Guastalla lo vivono ogni giorno un sontuoso murale pinocchiesco ai Giardinetti Ronchi, sulla cinta esterna che contiene l’esuberante, lussureggiante, ricreante parco del Guastalla. Venite, il parco, a passeggiarlo il 9 giugno, dalle 10,00, ché c’è la festa di fine anno della scuola, con tanto di salamelle alla griglia e tante cose pinocchiescamente bellissime, il Paese dei balocchi, le fate, e …shhhhh sorpresa…
E da ultimo il 24 maggio, alle 18,00, ci sarà una tavola rotonda. Uffa, la solita solfa intellettuale. Sbagliate. Alla tavola rotonda si siedono i cavalieri. I nostri saranno Luigi Bona, direttore del Museo del Fumetto di Milano, cintura nera in fatto d’illustrazioni, creatività e dintorni; Delfino Tinelli, ex maestro, scrittore, arzillo 87enne (praticamente Geppetto) autore di Gli animali di Pinocchio e altre figure (Mannarino, Brescia 2017); e Stella Brambilla (pensate ancora ai nomi meravigliosi che porta la gente quando ragiona di Pinocchio e fate turchine), direttrice di tre asili parrocchiali monzesi, esperta di lettura ad alta voce (avevo detto che è una scienza), animatrice dell’Associazione Ludica (ci sarà pure il sottoscritto alle prese con burattini e draghi, vie perigliose e ultime dimore accoglienti, ma riuscirete a sopravvivere).
Pinocchio torna a scuola. Se non venite a vedere, continuerete a credere che i pezzi di legno non parlano, che gli uomini siano solo legni e che con il legno storto dell’umanità non ci si possano fare miracoli.
Marco Respinti