Spesso si tende a considerare le vite dei santi distanti, quasi come se queste appartenessero solo ad un tempo determinato. Un tempo unico e ormai passato in cui la società riusciva ad esprimere una cultura ancora capace di ispirare punte altissime di vocazione e devozione. Ma ogni uomo del Signore non appartiene semplicemente alla storia, i santi sono per l’eternità. È così che le loro vite ancora oggi sono una luminosa fonte di esempio per vivere con sempre maggiore partecipazione la nostra fede in un mondo ormai scristianizzato. Non è facile vivere nell’attuale società dove Dio sembra poter essere appena tollerato solo come fatto personale e mai avere alcun riflesso nel pubblico. Si pensi al disegno di legge adesso in discussione in Parlamento sull’eutanasia, mascherata dalla formula «Dichiarazione anticipata di trattamento» (Dat), in cui non è prevista l’obiezione di coscienza per il personale medico e paramedico. Se questa proposta dovesse diventare legge che fine faranno i tanti ospedali cattolici sul suolo italiano? Sono interrogativi e sfide che non possono lasciarci indifferenti né ci devono scoraggiare. Dopotutto non viviamo tempi meno difficili rispetto a quelli delle prime comunità cristiane, costantemente perseguitate dal potere, né, per avvicinarci un po’, attraversiamo un periodo storico meno problematico rispetto a quello che ha affrontato il santo di Paola. Il XV secolo è stato un periodo di grande disorientamento spirituale e di conseguente lassezza civile. L’Umanesimo aveva innescato una forte tendenza culturale rivolta all’edonismo ed all’individualismo, così da inquinare tutti i livelli della vita civile. Ma è proprio in questo secolo di iniquità, dove il piacere e il potere personale sono sovrani a danno del prossimo, che la Provvidenza si è manifestata in un umile frate calabrese, Francesco, la cui vita è ancora un esempio di grande attualità. L’eremita paolino iniziò la sua missione in una terra, la Calabria, ancora oggi lontana ed isolata. Nonostante questo, e con i soli strumenti della penitenza e della preghiera, la sua fama si diffuse in pochissimo tempo in tutta Europa tanto da riuscire anche ad influenzarne la vita religiosa quanto quella pubblica. Ma lo stile sempre umile di Francesco entrò in continuo contrasto con la cultura del tempo dedicata alla ricerca del piacere e del soddisfacimento di ogni egoismo, tanto che non mancarono le tensioni con il potere. Quello di Francesco fu eremitismo originale perché partecipe della vita civile. Sempre accanto alla sua gente, il frate calabrese denunciò sempre e costantemente l’inadeguatezza dell’azione amministratrice dello Stato. Lo scontro maggiore si ebbe quando re Ferrante d’Aragona, sovrano del Regno di Napoli, per sostenere le spese di guerra istituì nuove imposte fra cui l’odiata tassa del «focatico». Questa gravò su ogni famiglia a prescindere dalla sua capacità contributiva e costrinse i più poveri ad abbandonare i centri abitati per rifugiarsi in luoghi isolati e alla mercé di bande di manigoldi. La Calabria subì particolarmente questo clima di malgoverno ed angherie tanto da sollevare la determinata denuncia di Francesco nonostante le minacce d’arresto da parte di re Ferrante, minacce alle quali il frate sfuggì solo per intervento provvidenziale. Le intimidazioni non riuscirono a scoraggiare l’eremita paolino e nemmeno la lusinga poté vincere la totale dedizione che Francesco aveva al Vangelo. È celebre l’episodio in cui il re cercò di corrompere l’eremita con un vassoio ricolmo di monete d’oro offerto per fondare una sua comunità a Napoli. Francesco rifiutò l’offerta e di fronte all’incredulità del re prese una moneta dal vassoio, la spezzò e da questa né sgorgò sangue. Per Francesco quel denaro era il frutto del sangue versato dai suoi sudditi a causa delle troppe e ingiuste tasse, così, il santo di Paola continuò ad esortare il re a rivedere la sua condotta per dedicarsi con spirito di carità cristiana a migliorare il suo governo. La vita di san Francesco da Paola ci sia da esempio per essere tutti, cittadini e amministratori, capaci di una scelta radicale per il Vangelo, affinché attraverso la nostra vita, come auspicò san Giovanni Paolo II, possa essere costruita «una società a misura di uomo e secondo il piano di Dio».
Giorgio Arconte
Articolo tratto da ‘Avvenire di Calabria’ del 01.04.2017