
Da Libero del 22/03/2018. Foto da startmag.it
È tutta propaganda. «Vedi questa inserzione perché Laura Boldrini desidera raggiungere le persone di età compresa fra i 36 e i 63 anni che vivono nelle vicinanze di Milano, Lombardia (grassetto nel testo). I dati si basano sulle informazioni presenti nel tuo profilo Facebook e sul luogo in cui ti connetti a Internet».
L’ annuncio, comparso sullo schermo del telefono, del tablet o del computer di qualche avente diritto al voto, non suscita scandalo. Se non ti piace, lo chiudi e puoi proseguire oltre con la navigazione su altri siti.
In effetti, il fatto curioso è che poi l’ ex presidente della Camera ha ottenuto un seggio parlamentare soltanto perché si era presentata anche in Sicilia mentre tutto il suo impegno (virtuale) nel Nord Italia non è stato affatto premiato nelle urne, forse perché puntava alla fascia d’ età che è scarsamente pratica di smartphone. Il fatto preoccupante è che non è chiaro se chi ha raccolto quei dati sul social network abbia preventivamente chiesto il consenso degli utenti.
In realtà, è Facebook stessa a essersi rivolta direttamente alla sua clientela, dopo un processo di selezione di cui non sono noti i criteri e tantomeno gli algoritmi, per conto di circa 500 candidati alle consultazioni politiche. Lo avrebbero fatto anche per un’azienda che produce e commercializza cosmetici o pneumatici. Se si accorgono che una signora è interessata a ombretti e creme per il viso, si accende una spia e le spediscono la relativa pubblicità. Se invece uno visita le pagine dei gommisti, gli segnalano le offerte di qualche commerciante di camere d’aria e copertoni. Ci intasano elettronicamente né più né meno di quanto fanno con i volantini sul parabrezza o nella cassetta della posta. Con il vantaggio che non dobbiamo gettare la carta nel primo cestino disponibile.
STRUMENTI PER TUTTI Uno strumento bipartisan, utilizzato da tanti, spiega Openpolis in un suo studio sulle «sponsorizzazioni social nelle politiche 2018» nel quale spiega: «Tra le opzioni che vengono date agli inserzionisti (nel nostro caso partiti e candidati) anche quella di selezionare determinati target, ovvero gruppi di persone con le stesse caratteristiche. Oltre a età e luogo, il parametro sicuramente più intrigante è quello degli interessi.
Per interessi si intendono le nostre attività specifiche, come l’ essere fan di determinate pagine o l’ essere particolarmente attivo su tematiche (ambiente, istruzione, ecc.)».
LE PAROLE CHIAVE C’è chi verosimilmente ne ha tratto vantaggio come Matteo Salvini, che si rivolge a tutti coloro che abbiano dai tredici anni in su, passando per Giorgia Meloni, il cui target coincide con coloro che pongono a tema la «famiglia», fino a Casapound (focalizzata su Donald Trump) e Viola Carofalo, capo politico di Potere al Popolo, che puntava invece a chi preferisce «The Jackal» e si è ritagliata un pubblico di nicchia.
Ma almeno, all’indomani dello scandalo che ha colpito i social network più famoso del mondo, non hanno fatto le verginelle. Martedì scorso, invece, la Boldrini interviene proprio sul delicato tema della privacy con un lungo post dal suo profilo Facebook, nel quale ricorda che «tre anni fa avevamo già capito l’importanza della tutela dei dati personali», tanto che «la Commissione Internet che ho istituito alla Camera dei deputati si era posta il problema e insieme al Professor Rodotà, gli esperti e ai membri di tutte le forze politiche che la componevano, avevamo prodotto una Carta dei diritti e dei doveri in Internet che, all’ articolo 5 recitava così: “Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza”». E ieri, davanti ai militanti di Liberi e Uguali, ha rivelato: «Zuckerberg lo convocano adesso, ma io a Zuckerberg scrissi lettere anni fa. E le risposte sono sempre state inadeguate. Oggi sta venendo fuori come l’utilizzo dei dati altera la realtà e le elezioni». Chissà mai perché avrà cercato di catturare l’ attenzione degli elettori sfruttando quegli indirizzari elettronici.
Sfugge quale sia la differenza fra le attività giudicate sospette negli Stati Uniti e quelle lecite in Italia. Pare solo che stavolta Steve Bannon e Cambridge Analytica non c’entrino. E in questo consiste la soluzione del problema: non si può incolpare la destra e quindi c’è il via libera a diffondere tutto quanto gli utenti, consapevolmente o no, hanno messo a disposizione.
Andrea Morigi