Da “La Bianca Torre di Echtelion” del 3 maggio 2017. Foto da Italia Post
Se in Francia si votasse con la legge che l’8 novembre ha eletto Donald J. Trump negli Stati Uniti, Marine Le Pen sarebbe già presidente. È solo un gioco, certo, ma a voler vedere l’effetto che fa è il blasonato e austero The Economist che finge per un attimo di considerare le 18 regioni in cui è suddivisa la Francia (13 nel territorio metropolitano dell’Esagono e 5 nell’outremer) come i 50 Stati dell’Unione federale nordamericana. Dato che gli Stati americani sono tutti pariteticamente rappresentati al Congresso federale da due senatori, la Francia di questo esperimento conterebbe 36 senatori. E mantenendo la stessa proporzione esistente negli Stati Uniti fra i 100 senatori e gli attuali 435 deputati della Camera federale, cioè 4,35, la Francia di questa simulazione avrebbe 157 deputati.
Ora, come dopo l’8 novembre oramai sanno bene tutti, negli Stati Uniti a eleggere il presidente non è il voto popolare espresso dai cittadini che, avendone diritto, votano; lo fa invece il Collegio Elettorale, il corpo di “grandi elettori” designati dagli Stati con il medesimo criterio proporzionale rispetto ai propri abitanti con cui vengono eletti i deputati federali così che ogni Stato elegge alla Camera un numero di deputati uguale al numero dei “grandi elettori” del presidente che designa.
Veniamo agli sfidanti. Per effetto delle primarie negli Stati Uniti e della mannaia del primo turno in Francia, in entrambi i Paesi la sfida è stata ed è ridotta a due. Un outsider a Destra (Trump dal mondo politico, la Le Pen dai “salotti buoni”) e un apparatchick a Sinistra (Emmanuel Macron in Francia, Hillary Clinton negli USA). In ambedue i casi sono stati e sono i candidati di destra ad avere fatto e a fare breccia tra colletti blu, ceti rurali e gente comune, laddove il personale di sinistra forte soprattutto nelle grandi città si pregia di far coincidere la grande finanza e quel neosocialismo 2.0 che in soldoni è solo l’ennesima rifrittura della Gauche caviar. Ebbene, secondo i calcoli di The Ecomomist, dopo il voto francese del 23 aprile (che nell’esperimento sarebbe stato un turno secco senz’appello) questo immaginario Collegio Elettorale che in Francia facesse l’americano avrebbe visti assegnati sia a Macron sia alla Le Pen 90 voti elettorali, 10 alla Sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon e solamente 3 a François Fillon candidato dei “Republicains”. Se negli USA uno stallo simile verrebbe risolto dalla Camera dei deputati, che, in base al XII Emendamento alla Costituzione varato nel 1804, consegnerebbe la vittoria al candidato che ottenesse la maggioranza dei nuovi voti espressi uno per ciascuno dai singoli Stati, in questa Francia “americanizzata” l’“impresentabile” Le Pen batterebbe 8 a 6 Macron e con lui l’intero establishment che lo sostiene e che lui rappresenta, conseguendo così una nettissima vittoria morale. A quel punto il destino della Francia sarebbe però in mano alla Sinistra radicale e ai tre voti di Mélenchon. Paradosso per paradosso, e visto cosa è successo negli USA dove Trump ha conquistato voti operai decisivi e persino qualche cuore che batteva per l’arrabbiato Bernie Sanders, per la Destra avrebbe potuto comunque essere una buona notizia.
Ma è solo un sogno. Nella realtà, domenica gli elettori di Mélenchon si asterranno e il sistema del doppio turno imperante in Francia, che spinge agli apparentamenti scomodi come alle liste di proscrizione, sembra fatto apposta per esorcizzare l’effetto Trump.
Marco Respinti