Da “Libero” del 13 luglio 2017. Foto da BlogSicilia
Incassiamo solidarietà ed elogi da tutti, finché teniamo i migranti all’interno dei nostri confini. Se chiediamo misure più concrete, ci promettono di affrontare la questione in un tavolo a parte.
Quando poi proponiamo la ripartizione dei richiedenti asilo, ci dicono che sarebbe meglio se cingessimo d’assedio le coste libiche.
Insomma: dobbiamo sbrigarcela da soli. È la politica del cerino lasciato immancabilmente in mano all’Italia, dagli Stati Uniti, dall’Europa, dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni non governative che lasciano i loro carichi di disperati sulle coste della Penisola.
Lo ha spiegato chiaro e tondo, ieri alla commissione Libe del Parlamento Europeo, Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex: «Ho sentito la richiesta dell’Italia, ma non ho registrato alcuna disponibilità da parte degli altri Paesi ad accogliere sbarchi di migranti nei loro porti». Sull’intensificarsi dell’ondata, spiega che «due anni fa la maggior parte dei salvataggi avveniva a metà strada tra la Sicilia e le coste libiche». Ora invece il limite delle operazioni è stato spostato al limitare sud dell’ area di ricerca e soccorso maltese e «la maggioranza delle azioni di azioni di ricerca e soccorso avviene a 20-30 miglia nautiche dalla costa libica». «Ci sono diverse ragioni» per questo slittamento a sud», continua Leggeri, «prima di tutto il fatto che i trafficanti «non danno più alcuna possibilità ai migranti di raggiungere le coste italiane: non hanno cibo, non hanno acqua, non hanno carburante. Escono dalle acque territoriali libiche e si fermano lì». Tanto c’è sempre qualcuno che li rimorchia a destinazione. Comunque, osserva Leggeri, il problema è politico e non spetta a Frontex risolverlo.
Casomai, si può riunire «immediatamente quest’estate» il gruppo di lavoro per «adattare e migliorare il piano operativo» dell’operazione Triton, di ricerca e salvataggio dei profughi nel Mediterraneo centrale, con l’obiettivo «di condividere un progetto con i paesi partecipanti già nel mese di settembre».
Di fronte alla chiusura, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani cerca una soluzione: «Nel breve termine bisogna assolutamente bloccare le partenze, utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo, a cominciare da quelli satellitari» e « con l’impegno della Guardia Costiera Libica, si può bloccare la partenza degli immigrati». Se qualcuno sfuggisse, «certamente poi in mare bisogna salvarli: non possiamo permettere che vite umane vadano perse». Comunque, è chiaro che il compito e l’onere deve sobbarcarseli l’Italia, che da sola sta già addestrando i marinai libici.
Perfino Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici, fa notare che «rispetto all’emergenza che viviamo, un gruppo di lavoro mi sembra una cosa molto misera», se non proprio «perfettamente inutile». Propone al presidente Donald Tusk la convocazione di un consiglio europeo straordinario per far fronte al flusso di migranti dal Nord Africa. Si associa anche la compagna di partito Cécile Kyenge, pur sottolineando che il lavoro delle Ong «risponde agli ideali di pace e giustizia su cui si fonda l’Unione Europea».
In missione al Pentagono e a New York da martedì, il ministro della Difesa Roberta Pinotti tenta timidamente di rompere l’isolamento di Roma. Si è sentita proporre un impegno più intenso del nostro Paese in Libia. Non devono aver capito che la Costituzione non ci consente un intervento militare. A Bengasi e Misurata c’è la guerra e i nostri soldati non possono metterci piede. La Pinotti propone di mandare truppe a Raqqa, in Siria e a Mosul, in Iraq. Purché non ci sia bisogno di usare le armi.
Quando poi proponiamo la ripartizione dei richiedenti asilo, ci dicono che sarebbe meglio se cingessimo d’assedio le coste libiche.
Insomma: dobbiamo sbrigarcela da soli. È la politica del cerino lasciato immancabilmente in mano all’Italia, dagli Stati Uniti, dall’Europa, dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni non governative che lasciano i loro carichi di disperati sulle coste della Penisola.
Lo ha spiegato chiaro e tondo, ieri alla commissione Libe del Parlamento Europeo, Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex: «Ho sentito la richiesta dell’Italia, ma non ho registrato alcuna disponibilità da parte degli altri Paesi ad accogliere sbarchi di migranti nei loro porti». Sull’intensificarsi dell’ondata, spiega che «due anni fa la maggior parte dei salvataggi avveniva a metà strada tra la Sicilia e le coste libiche». Ora invece il limite delle operazioni è stato spostato al limitare sud dell’ area di ricerca e soccorso maltese e «la maggioranza delle azioni di azioni di ricerca e soccorso avviene a 20-30 miglia nautiche dalla costa libica». «Ci sono diverse ragioni» per questo slittamento a sud», continua Leggeri, «prima di tutto il fatto che i trafficanti «non danno più alcuna possibilità ai migranti di raggiungere le coste italiane: non hanno cibo, non hanno acqua, non hanno carburante. Escono dalle acque territoriali libiche e si fermano lì». Tanto c’è sempre qualcuno che li rimorchia a destinazione. Comunque, osserva Leggeri, il problema è politico e non spetta a Frontex risolverlo.
Casomai, si può riunire «immediatamente quest’estate» il gruppo di lavoro per «adattare e migliorare il piano operativo» dell’operazione Triton, di ricerca e salvataggio dei profughi nel Mediterraneo centrale, con l’obiettivo «di condividere un progetto con i paesi partecipanti già nel mese di settembre».
Di fronte alla chiusura, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani cerca una soluzione: «Nel breve termine bisogna assolutamente bloccare le partenze, utilizzando tutti gli strumenti che abbiamo, a cominciare da quelli satellitari» e « con l’impegno della Guardia Costiera Libica, si può bloccare la partenza degli immigrati». Se qualcuno sfuggisse, «certamente poi in mare bisogna salvarli: non possiamo permettere che vite umane vadano perse». Comunque, è chiaro che il compito e l’onere deve sobbarcarseli l’Italia, che da sola sta già addestrando i marinai libici.
Perfino Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici, fa notare che «rispetto all’emergenza che viviamo, un gruppo di lavoro mi sembra una cosa molto misera», se non proprio «perfettamente inutile». Propone al presidente Donald Tusk la convocazione di un consiglio europeo straordinario per far fronte al flusso di migranti dal Nord Africa. Si associa anche la compagna di partito Cécile Kyenge, pur sottolineando che il lavoro delle Ong «risponde agli ideali di pace e giustizia su cui si fonda l’Unione Europea».
In missione al Pentagono e a New York da martedì, il ministro della Difesa Roberta Pinotti tenta timidamente di rompere l’isolamento di Roma. Si è sentita proporre un impegno più intenso del nostro Paese in Libia. Non devono aver capito che la Costituzione non ci consente un intervento militare. A Bengasi e Misurata c’è la guerra e i nostri soldati non possono metterci piede. La Pinotti propone di mandare truppe a Raqqa, in Siria e a Mosul, in Iraq. Purché non ci sia bisogno di usare le armi.
Andrea Morigi