Di Andrea Morigi da Libero del 19/02/2019. Foto redazionale
Alain Finkielkraut non ha dubbi nel ricostruire l’aggressione subìta da un manifestante con il gilet giallo, sabato nel quartiere parigino di Montparnasse: «L’ uomo con la barba, il più vendicativo, chiaramente non un bianco, è lui a dirmi, a me che sono ebreo: “La Francia è nostra”». Ventiquattr’ore dopo l’ episodio che lo ha visto stato circondato da un gruppo di persone ostili che lo hanno raggiunto da epiteti antisemiti, rielaborato lo choc e incassate le rituali attestazioni di solidarietà, il filosofo francese commenta l’accaduto durante un’intervista serale in diretta a BFM Tv, interpretando la frase che gli è stata rivolta come un annuncio implicito della prossima conquista islamica: «Sta dicendo: noi siamo la grande sostituzione e tu sarai il primo a pagare». Non lo attribuisce a tutto il gruppo, che semmai ripeteva gli slogan di una retorica dell’«antisionismo di base di una certa estrema sinistra», invitandolo ad andare «a casa», cioè a «tornare a Tel Aviv» perché «odiatore» destinato «a morire e ad andare all’inferno».
L’INCHIESTA
Che l’uomo in questione indossasse un gilet giallo, ormai, è quasi un elemento marginale. Quel che c’è sotto il giubbotto spiega ben di più. Le autorità francesi hanno individuato l’autore delle minacce, riprese in video diffusi online e divenute subito virali sui social network. Si tratterebbe, secondo il quotidiano Parisien, di un soggetto già conosciuto dai servizi di sicurezza d’Oltralpe per essere entrato nel 2014 nel movimento del radicalismo islamico, di obbedienza salafita. Ma non sarebbe mai stato oggetto di una segnalazione all’ archivio per la prevenzione della radicalizzazione a carattere terrorista (FSPRT), la nota “fiche S” che indica i personaggi potenzialmente pericolosi per la sicurezza dello Stato. Tant’è che non risulta che né il manifestante né nessun altro componente del gruppo che si è scagliato contro Finkielkraut sia stato né fermato né interrogato. La procura di Parigi tuttavia ha aperto un’ inchiesta sull’aggressione verbale per «ingiuria pubblica a motivo dell’ origine, dell’etnia, della nazione, della razza o della religione attraverso parole, scritti, immagini o mezzi di comunicazione», anche se il 69enne accademico di Francia, vittima dell’aggressione, non ha per ora sporto denuncia. Ha annunciato di voler presentare un esposto alla magistratura, invece, la Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo (Licra), poiché «l’ ingiuria pubblica a carattere antisemita o razzista è punita dalla legge del 29 luglio 1881», spiega l’avvocato David-Olivier Kaminski, president della Licra parigina. «L’antisemitismo si sta diffondendo come un veleno», aveva osservato appena una settimana fa il ministro dell’ Interno, Christophe Castaner, promettendo che «il governo prenderà provvedimenti», in seguito a un aumento boom degli atti antisemiti, saliti nel 2018 del 74%, passando dai 311 dell’ anno precedente a 541. Svastiche sono apparse su cassette delle poste decorate dall’artista Christian Guèmy col volto di Simone Veil, sopravvissuta all’olocausto e deceduta lo scorso anno. Graffiti antisemiti e la parola Juden («ebrei» in tedesco) sono stati apposti in più punti di Parigi, tra cui sulla vetrina di un panificio Bagelstein nel quartiere ebraico sull’isola Saint Louis. Tra gli atti vandalici che hanno suscitato più clamore, c’è lo sradicamento di un albero piantato del sobborgo di Sainte Geneviève du Bois, in memoria di Ilan Halimi, un giovane ebreo torturato a morte nel 2006. «Graffiti antisemiti fino ad avere la nausea. L’ odio per gli ebrei corrisponde all’odio per la democrazia. Il linguaggio fascista si ritrova su tutti i muri. Mi sono rivolto al prefetto di polizia e al procuratore di Parigi» aveva scritto su Twitter Frèdèric Poitiers, rappresentante speciale del governo francese su razzismo, antisemitismo e discriminazione.
LE CAUSE NASCOSTE
Nessuno, tuttavia, sembrava finora avere il coraggio di indicare che il fenomeno è strattamente connesso all’odio antiebraico coltivato nelle comunità islamiche. Piuttosto, si tirano fuori da armadi polverosi gli scheletri dell’ antico antigiudaismo cattolico e il negazionsimo degli estremisti di destra, ma del Corano non se ne parla mai. Eppure, il testimone della teoria del complotto ordito dagli ebrei ai danni degli altri popoli è passato dal nazionalsocialismo alla Repubblica iraniana, alle tv satellitari che trasmettono dai Territori palestinesi nella Striscia di Gaza, ma il cui segnale giunge fino alle abitazioni degli immigrati arabofoni in Europa. I bambini delle banlieue di Parigi hanno accesso a cartoni animati dove si descrivono gli ebrei e i cristiani come scimmie e maiali, mentre s’ incoraggiano i giovani spettatori a immolarsi come attentatori suicidi. C’è chi, come il portavoce del governo Benjamin Griveaux, aveva collegato l’ aumento degli episodi al deteriorarsi del clima sociale, citando direttamente il movimento di protesta dei gilet gialli accompagnato da gravi violenze. Ma per il quotidiano Le Monde, se da una parte la crisi dei gilet gialli «ha incoraggiato alcuni comportamenti, con esponenti dell’ estrema destra che cercano di approfittare di questa dinamica sociale per diffondere i suoi slogan», dall’altra «il risorgere di un antisemitismo che spesso non ha volto non può essere attribuito al movimento di protesta sociale». Hanno taciuto le cause, perciò non sono riusciti ad arginarne gli effetti.