Da La bianca Torre di Ecthelion dell’ 8/10/2017. Foto da articolo
Donald J. Trump non ha mia imposto alcun “Muslim ban”, come con cattiveria si è ripetuto sino alla nausea “processando” il presidente degli Stati Uniti sui giornali, in tivù e nelle piazze, ma ha ordinato un “Travel ban” volto a limitare la libertà di spostamento di alcuni soggetti per paura del terrorismo. È così vero che adesso la lista dei Paesi banditi cambia, escludendo un Paese a stragrande maggioranza musulmana, il Sudan, aggiungendone uno, il Ciad, la cui popolazione è musulmana per poco più del 53% ma cattolica per il 35%, e includendone altri, la Corea del Nord e il Venezuela, che non sono affatto a maggioranza musulmana, ma (come tutti gli altri) socialcomunisti in odore di terrorismo.
Martedì 24 settembre Trump ha infatti emesso una nuova direttiva, intitolata Enhancing Vetting Capabilities and Processes for Detecting Attempted Entry Into the United States by Terrorists or Other Public-Safety Threats, ovvero “Miglioramento delle capacità e dei processi di verifica per l’individuazione dei tentativi d’ingresso negli Stati Uniti di terroristi o di altre minacce alla sicurezza pubblica”. Il titolo è bulinato accuratamente allo scopo di superare ogni interpretazione maliziosa. Tecnicamente, non è un ordine esecutivo, come i precedenti che il 27 gennaio e il 6 marzo hanno chiuso temporaneamente le frontiere statunitensi verso sei Paesi (Sudan, Yemen, Iran, Libia, Siria e Somalia: l’Iraq, contemplato nella prima versione del decreto, è stato escluso nella seconda). È un “proclama presidenziale”: cioè una dichiarazione ufficiale di ordine pubblico che la Casa Bianca impiega per fare stato di una certa situazione, prendere atto di una determinata circostanza, dare corso a una legge o avviarne l’implementazione. In questo caso si tratta dell’ultima fattispecie. La legge ‒ per quanto contestata, boicottata dai media, sabotata dall’opposizione, bloccata dai tribunali, ma in ultimo riconosciuta legittima dalla Corte Suprema federale ‒ è quella varata con il decreto del 6 marzo (appunto un ordine esecutivo); ora si tratta solamente di aggiornarne alcuni termini essendo mutate alcune circostanze.
È perfettamente legittimo, cioè, che il presidente degli Stati Uniti chiuda temporaneamente, per motivi di sicurezza nazionale, le frontiere del Paese. È ‒ ovvio ‒ perfettamente legittimo che chiuda le frontiere verso alcuni Paesi e non verso altri, appunto in base a criteri di sicurezza nazionale. È perfettamente legittimo che lo faccia anche se ‒ per caso ‒ quei Paesi siano a maggioranza musulmana poiché il loro esserlo, per ciò che attiene alla decisione del presidente degli Stati Uniti sulla chiusura temporanea delle frontiere, è una mera questione accidentale. Tutto questo la ha appunto stabilito la Corte Suprema di Washington. E tutto questo è così vero che infatti la Casa Bianca non ha mai chiuso le proprie frontiere verso qualunque Paese a maggioranza musulmana, ma solamente verso alcuni: quelli che, proprio a giudizio della Casa Bianca, intrattengono legami pericolosi con il terrorismo. Giudizio discutibile, certo; ma è sempre è solo stata questa la ratio del provvedimento di Trump, non la discriminazione verso i musulmani. Le critiche legittime e forse doverose al suo provvedimento debbono essere mosse su questo e non su altri piani: sull’efficacia e sull’opportunità dello stesso, e magari pure sulla necessità di ampliare la lista dei Paesi banditi, lista a suo tempo stilata da Barack Obama quando impose ai cittadini provenienti da quegli stessi sette Paesi a maggioranza musulmana originariamente previsti da Trump (dunque Iraq incluso) visti d’ingresso non richiesti ai visitatori provenienti da altri Paesi a maggioranza musulmana.
Dunque, dopo avere imposto sanzioni al Venezuelail 25 agosto e nuove sanzioni alla Corea del Nord il 21 settembre, Trump ha riformulato il decreto di chiusura temporanea delle frontiere bloccando Yemen, Iran, Libia, Siria, Somalia, Ciad, Corea del Nord e Venezuela. Il provvedimento sarà esecutivo il 18 ottobre.
Rispetto ai sei Paesi del decreto esecutivo del 6 marzo è escluso il Sudan, al quale il 12 ottobre Trump toglierà anche le sanzioni economiche decise nel 1997 in ragione del sostegno dato da quel Paese africano al terrorismo e per le atrocità commesse dal regime islamista di Omar el-Bashar nella regione del Darfur: è l’esito di quello che Washington descrive come il nuovo corso dei rapporti con Khartum, apparentemente più collaborativa nel controterrorismo e nell’intervento umanitario nel martoriato Darfur.
Quanto all’Irak, di per sé escluso dalla lista dei Paesi banditi, i suoi cittadini in arrivo negli Stati Uniti verranno comunque sottoposti a indagini particolari.
Il Ciad è stato incluso nella lista perché da tempo non condivide più informazioni sull’antiterrorismo con Washington. Del resto è sospettato di dare rifugio ai gruppi jihadisti attivi nei Paesi del bacino del Lago Ciad (Camerun, Niger e Nigeria) e di tutti i Paesi d’area è quello cha ha patito minori attentati da parte degli jihadisti nigeriani di Boko Haram. C’è chi giura che dietro vi siano in realtà interessi petroliferi, ma questo fa semplicemente tornare di primaria importanza il fulcro di tutta la vicenda: la chiusura di queste frontiere è davvero efficace per arginare il terrorismo? Sono davvero quelli tutti i Paesi da temere sul fronte sicurezza? Nessuna di queste domande può però modificare la realtà, definendo questa iniziativa della Casa Bianca una misura anti-islamica. Corea del Nord e Venezuela non sono infatti Paesi a maggioranza musulmana, ma filoterroristi sì.
La Corea del Nord è sempre più minacciosa, è rigidamente veterocomunista, uno studente americano, Otto Warmbier (1994-2017), è morto in carcere in circostanze assurde ed essa sta al centro di una trama nucleare decisamente inquietante.
E il Venezuela è un dispotismo socialista affamatore e assassino sempre più pericoloso anche a livello internazionale. I suoi legami con il narcotraffico e le sue simpatie con il terrorismo sono note, con le FARC comuniste colombiane da un lato e dall’altro con Iran, Siria ed Hezbollah. Caracas ha emesso 10mila passaporti illegali per altrettanti cittadini provenienti dal Medioriente, buona parte dei quali rilasciati dal consolato venezuelano a Damasco in una operazione coordinata direttamente dal vicepresidente venezuelano, Tareck El Aissami, di famiglia siro-libanese, legato direttamente a Hezbollah. Forse i maggior acquirenti di questi documenti falsi sono propri i miliziani del “partito di Dio” sciita libanese.
Ora, come mai nessuno si è stracciato le vesti per questo aggiornamento della lista dei Paesi banditi? Forse perché adesso fare i titoloni con l’espressione “Muslim ban” è letteralmente impossibile?
Marco Respinti