Da La bianca Torre di Ecthelion del /05/01/2018. Foto da articolo
Anno nuovo, vecchi merletti con l’immancabile arsenico. Su Donald J. Trump piomba la tegola più grossa. Sono le accuse (e i molti gossip) che la stampa mondiale anticipa da Fire and Fury: Inside the Trump White House, il libro che il colosso newyorkese dell’editoria Henry Holt and Company manderà in libreria il 9 gennaio, ma di cui quel che si voleva far sapere oramai si sa. C’è già persino una voce su Wikipedia.
Il libro lo firma il 64 enne Michael Wolff, giornalista, collaboratore di USA Today, The Hollywood Reporter e quel che un tempo era Gentlemen’s Quarterly (edizione britannica) ma oggi ridotto alla semplice sigla GQ. Dentro c’è il necessaire per polverizzare quanto resta dell’immagine di Trump. Il quale non si sarebbe aspettato e forse nemmeno augurato di vincere le elezioni del novembre 2016, ma che soprattutto, a capo di un’Amministrazione che è poco più di un’armata Brancaleone, non era, e non è, preparato a farlo. Poi che la sera della vittoria, sua moglie Melania, catapultata dal jet set allo scranno di First Lady, pianse, e non esattamente di contentezza: il marito alla Casa Bianca non ce lo vedeva proprio. Quindi che il consigliere Sam Nunberg avrebbe inutilmente cercato di spiegare la Costituzione federale a un Trump che la trovava soporifera. Ancora che il marito della figlia in carriera Ivanka, Jared Kushner, astutissimo nell’imbucarsi come spalla di alto livello, avrebbe prospettato subito la futura candidatura presidenziale della moglie. Dunque gli epiteti con cui il presidente usa ingiuriare il proprio staff. E pure che per acconciare il ciuffone color paglia del tycoon intronizzato alla Casa Bianca si lavorerebbe alacremente di forbici e lacca.
Ma le rivelazioni più dolorose sono quelle di Steve K. Bannon, ex consigliere, ex stratega, ex braccio destro e ora pure ex amico: in campagna elettorale il figlio del presidente, Donald Trump Jr., il genero Kushner e l’ex portavoce Paul Manafort (consegnatosi in ottobre all’FBI per accuse di frode fiscale e riciclaggio di denaro, ma fuori su cauzione) avrebbero incontrato un emissario del governo russo, l’avvocato Natalia Veselnitskaya, che prometteva dossier scottanti su Hillary Clinton. Impossibile, conclude allusivo Bannon, che Trump figlio non abbia presentato il potente ospite russo a Trump padre. Un modo di fare, chiosa l’ex, che è «traditore» e «antipatriottico».
Di per sé sono accuse poco nuove, ma provenendo da Bannon, sempre più trumpiano di Trump, indicano che qualcosa è cambiato. Kushner e Bannon si sono sempre detestati. Rappresentano infatti due mondi politico-culturali nemici: “globalista” il primo, “Dio, patria e famiglia” il secondo. Il libro di Wolff sarebbe allora l’arma con cui Bannon sferra il contrattacco, giudicando Trump oramai ostaggio irredimibile di Kushner e del suo entourage. Sempre però ammesso che si possa prendere per oro colato il libro di Wolff, un personaggio già chiacchierato per gli errori fattuali contenuti nei suoi libri, per l’abitudine che ha d’infiorettare le ricostruzioni e per l’allegria con cui riporta dichiarazioni e virgolettati non proprio fedelissimi. Al che Bannon dovrebbe però querelare. Per il momento è comunque solo Trump ad avere adito le vie legali, con l’avvocato Charles Harder che, in una lettera di undici pagine, intima all’editore il ritiro di Fire and Fury nella cui introduzione Wolff ammette pure di avere a volte scelto arbitrariamente tra versioni dei fatti confliggenti. Una lettera di analogo tenore è stata inviata anche a Bannon.
Marco Respinti