Di Andrea Morigi da Libero del 13/08/2022
Si può essere sgozzati nel sacro nome di Allah anche nella progressista New York City, dove le armi da fuoco sono bandite. Le coltellate a Salman Rushdie sono la conferma che l’odio non conosce limiti di spazio né di tempo. E quella sempiterna sentenza di morte, la celebre fatwa che l’islam sciita gli sta facendo pendere sul capo nel 1989 per aver scritto I versetti satanici, non fa eccezione. È una legge, quella coranica, che non ammette né perdono né clemenza. Si applica in quanto è considerata la volontà di Dio, non si discute. Tanto più che, oltre a un premio eterno, c’è una taglia da 3 milioni e 300mila dollari per chi assassina il romanziere indiano, giudicato colpevole di blasfemia dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. Alcune istituzioni iraniane si sono incaricate di adeguare periodicamente la somma all’inflazione. Tanto per far capire che per sterminare i nemici del Corano non si bada a spese. Un sicario si trova sempre. Per soldi o per fanatismo. Ieri alla Chautauqua Institution, nello Stato di New York, un uomo – Hadi Matar, 24 anni del New Jersey – è entrato in azione (non si conoscono ancora le motivazioni del gesto), colpendo Rushdie durante un evento culturale. La dinamica precisa dell’aggressione è ancora da ricostruire, benché alla scena fosse presente un giornalista dell’Associated Press, che ha visto un uomo salire sul palco prima dell’inizio della conferenza e lanciarsi sullo scrittore con un coltello nel tentativo di tagliargli la gola. Anche il moderatore ha riportato lievi ferite alla testa.
IL POLIZIOTTO
Un video pubblicato online mostra i partecipanti che si precipitano sul palco subito dopo l’attacco, per prestare la prima assistenza alle vittime, mentre i poliziotti faticano a bloccare il sospetto. «Neanche in cinque erano in grado di tenerlo immobile ha raccontato ai media locali una testimone, Linda Abrams – era una furia». Rushdie, subito soccorso e trasportato in ospedale a bordo di un elicottero, è stato sottoposto a un intervento chirurgico, spiega il suo agente alla Cbs. Nato a Mumbai nel 1947, e vincitore del Booker Prize, per evitare di essere ucciso si era dovuto rifugiare nel Regno Unito, pur costretto a vivere permanentemente sotto scorta. La ricostruzione della polizia, le testimonianze dei presenti e dei medici indicano diverse ferite da taglio, di cui una sul lato destro del collo, il volto e le mani di Rushdie insanguinate, ma non una situazione vitale compromessa. Quel che è seriamente in pericolo di morte è la libertà di pensare e di esprimersi, anche in Occidente. Dallo stesso Rushdie nel maggio scorso era arrivato un incoraggiamento a non disperare. Insieme ad altri letterati, aveva dato vita a una lettura pubblica di testi, Penna contro spada, durante la quale aveva sintetizzato così l’inutilità della violenza di fronte all’arte: «Non siamo indifesi. Anche quando Orfeo fu ridotto a brandelli, il suo capo reciso, galleggiante nel fiume Ebro, continuava a cantare, rammentandoci che la canzone è più forte della morte. Possiamo cantare la verità e nominare i bugiardi». Pur apprezzando la poetica dell’autore, occorre anche fermare chi lo vuole morto. È una battaglia culturale, ma anche questione di difendersi dalla minaccia del terrorismo islamico. Il primo tentativo di eliminare Rushdie è dell’agosto del 1989. Va a vuoto perché una bomba scoppia anzi tempo in un albergo londinese vicino alla stazione di Paddington, uccidendo uno degli attentatori, Mustafa Mahmoud Mazeh. Nel 2005 un giornalista del Times scopre in un cimitero di Teheran una lapide che commemora Mazeh come «il primo martire a morire in una missione per uccidere Salman Rushdie».
I PIANI SVENTATI
Due anni dopo, nel luglio del 1991, il traduttore italiano dei Versetti, Ettore Capriolo, fu picchiato e ferito a coltellate nella sua casa milanese. Capriolo riportò molteplici ferite da taglio, guaribili in alcuni giorni, e la lacerazione di un tendine. L’aggressore voleva conoscere l’indirizzo di Rushdie. Nello stesso mese fa una fine peggiore, morto assassinato, il suo traduttore giapponese, Hitoshi Igarash. Anche l’editore norvegese del libro, William Nygaard e il traduttore Kari Risvik sono stati minacciati dalla rete anti-Rushdie. Nonostante fossero sotto protezione, Nygaard fu ferito a colpi di pistola l’11 ottobre del 1993. In totale sarebbero cinquantanove le vittime collaterali della fatwa sciita, secondo Bbc News, tra traduttori assassinati e persone rimaste uccise durante le manifestazioni di protesta e le contromanifestazioni di sostegno, nonche’ quelle di condanna per la censura imposta al volume in alcuni Paesi Rushdie racconta che ogni anno nel giorno della promulgazione della sua condanna, il 14 febbraio 1989, riceveva un particolare biglietto di San Valentino dall’Iran, dove gli si ricorda che la condanna non è ancora venuta meno. Da ieri ne abbiamo la certezza.