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“Xi Jiping, Timoniere a vita e oltre. Così nasce il neopostmaoismo”

16 Marzo 2018 - Autore: Marco Respinti

Da La bianca Torre di Ecthelion del 14/03/2018. Foto da articolo

Domenica 11 marzo 2018 sarà ricordata come la data di nascita del neopostmaoismo. Con 2.958 voti favorevoli, due contrari e tre astensioni, l’Assemblea del Popolo ha dato il via libera alla riforma della Costituzione voluta dal leader unico e supremo Xi Jiping che abolisce il limite del doppio mandato presidenziale. L’uomo-partito cinese potrà quindi essere capo di tutto a vita, ma pure oltre, visto che da gennaio il suo pensiero è diventato testo costituzionale. Prima di lui lo ha fatto solo il macellaio Mao Zedong (1893-1976).

Xi Jiping è nato nel 1953 in una famiglia di eroi del comunismo, i veterani della rivolta armata nota come Lunga Marcia con cui Mao conquistò il potere nel 1949 trasformando la Cina in un mare di sangue. Li chiamano “principi rossi”. Suo padre, Xi Zhongxun (1913-2002), un pezzo grosso, è caduto in disgrazia più volte, ma la fede granitica di Jiping nel comunismo non è mai venuta meno. Nemmeno quando si è visto respingere per nove volte la richiesta d’iscrizione al partito comunista. Poi sono venuti la militanza, gli studi d’Ingegneria chimica a Pechino, l’ascesa politica, i primi incarichi in provincia, l’avvicinamento al centro e finalmente la nomina al vertice: Segretario generale del Partito Comunista Cinese e capo della Commissione militare centrale del PCC il 15 novembre 2012. Sopra di lui, nessuno. In più, dal 14 marzo 2013, è anche presidente della repubblica. Da gennaio, poi, Xi ha persino inglobato se stesso nella Costituzione. Oggi “Il Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” fa parte della legge fondamentale del Paese accanto ai pensieri di Karl Marx (1818-1883), di Mao e di Deng Xiaoping (1904-1997), il quale ha però ottenuto questa gloria solo dopo la morte. Xi è invece è il dio-partito in Terra e lo “Xi sixiang” (lo Xi-pensiero), esposto in 14 punti numerati e iperbolici, è il lancio di una “nuova era” in cui la Cina dominerà il mondo. Come? Dando maggiori poteri decisionali al PCC e irrobustendone la presenza capillare sul territorio nel quadro di una ristrutturazione efficientista dell’esercito e di una economia dove lo sfruttamento del mercato (degli altri) si sposa alla pianificazione collettivista. Jiang Zemin e Hu Jintao, i suoi predecessori alla guida della Cina rossa, non hanno né osato né sperato tanto. Mancavano d’immaginazione, di ego, di voglia. Xi Jiping ne ha spazzato persino il ricordo.

Sì, il mondo ha un problema, e bello grosso. Si chiama Cina, è un problema non da oggi, ma da oggi ha rotto tutti gli ormeggi. Altro che culto della personalità, Xi Jiping è addirittura la fonte stessa del diritto di quello che – spiacerà a molti ricordarlo – è un immane oceano comunista di un miliardo e quasi 400 milioni di persone, con capacità bellica di stazza nucleare, economicamente aggressivo, calpestatore di ogni libertà e ancora per nulla trasparente su alcune delle politiche omicide più raccapriccianti delle ideocrazie moderne, dall’aborto forzato neomalthusiano alle condanne a morte a ritmi industriali, dall’espianto forzato di organi umani per il mercato nero dei trapianti all’arcipelago dei campi di lavoro schiavistico.

In questo quadro inquietante, una delle cose più pietose di tutte è però il cicaleccio di chi si ostina a ripetere che la Cina non è più comunista. Che sarebbe diventata “capitalista”. La Cina è invece più comunista che mai, e non solo: è comunista di un comunismo sopravvissuto al fallimento storico dell’ideologia marxista-leninista. Per molti aspetti è l’Unione Sovietica di una perestrojka(“ristrutturazione”) riuscita. Mikhail Gorbacev lanciò per l’URSS un programma che non aveva affatto lo scopo di smantellare il castello di carte del socialismo reale bensì di rifinanziarlo. Non tanto diversamente da quanto aveva fatto Lenin con la Nuova politica economica tra 1921 e 1929. Ebbene, la Cina è riuscita là dove l’URSS ha fallito perché la propria perestrojka Pechino l’ha messa sul conto dell’Occidente: dalla clausola di nazione favorita nel commercio decisa nel 1994 dall’allora presidente statunitense Bill Clinton senza un minimo di contropartita sui diritti umani alle commesse stipulate in occasione delle Olimpiadi del 2008.

Quando Deng Xiaoping lanciò, nel 1979, il “Socialismo con caratteristiche cinesi” al grido di «Arricchirsi è glorioso» non fu affatto libertà economica. La riduzione dell’uomo a una sola dimensione, quella economicista, cioè al mero denaro, è infatti strutturale al materialismo marxista. È del resto il pensiero socialista ottocentesco che conia il termine-caricatura “capitalismo” concentrando l’attenzione solo sul capitale economico e cancellando l’uomo. Ma la libertà economica non è anzitutto una questione di denaro. Con Deng il comunismo cinese è entrato nel mercato con il peso di uno Stato padre-padrone, ma è cosa ben diversa dall’aver trasformato la Cina in un Paese a economia libera. Basterebbe ricordare che in molti luoghi della Cina la libertà disponibile è quella degli ergastolani e che in altri è condizionata come quella di certi galeotti; che i diritti di proprietà non sono garantiti e che la certezza del diritto è un miraggio. Ma c’è di più, molto di più. C’è il partito unico al potere, un oceanico partito comunista che regola tutto e ogni cosa, dosando ritmicamente la libertà come si fa con le valvole quando occorre sfiatare per evitare esplosioni. Del resto, fu il Deng patrigno dei nuovi ricchi cinesi il responsabile ultimo del massacro di Piazza Tienanmen nel 1989. Ora dunque che la riuscita, riuscitissima perestrojka cinese ha ridato fondamenta solide al comunismo cinese, tutto è maturo per la nuova era del Timoniere Xi Jipeng. Cambiare tutto per non cambiare nulla. Ma non sembra che il mondo se ne preoccupi granché.

Marco Respinti

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