Mons. Antonio De Castro Mayer, Cristianità n. 26-27 (1977)
Traduzione della Carta pastoral «Aggiornamento» e Tradição, comparsa in Catolicismo, Campos giugno 1971, anno XXI, n. 246.
Il rimedio per fare fronte all’ “autodemolizione”
“AGGIORNAMENTO” E TRADIZIONE
MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA
VESCOVO DI CAMPOS
Al rev.mo clero secolare e regolare, alle religiose, al venerabile Terz’ordine carmelitano, alle associazioni religiose e di apostolato e a tutti i fedeli della diocesi di Campos, salute, pace e benedizione in Nostro Signore Gesù Cristo.
Zelanti collaboratori e amati figli,
Il 21 novembre dell’anno scorso, in una circolare diretta ai nostri carissimi sacerdoti, abbiamo cercato, una volta di più, di ravvivare in loro e nei fedeli la vigilanza contro i pericoli a cui un falso «aggiornamento» espone l’integrità della fede e la purezza dei costumi cristiani (1). Già in documenti precedenti ci siamo occupati delle tentazioni a cui è esposta la vostra fede, amati figli, e vi abbiamo esortato alla vigilanza e alla preghiera. Nella circolare del 21 novembre ci riferivamo, in modo speciale, al rispetto dovuto ai santi sacramenti, con cui diamo pubblica testimonianza della nostra fede nei misteri che adoriamo. Sottolineavamo, in tale occasione, l’importanza della vigilanza, dal momento che la fede è indispensabile per la salvezza: infatti, senza di essa è impossibile piacere a Dio, «sine fide impossibile est placere Deo» (2).
L’8 dicembre dello stesso anno testè trascorso, in occasione del quinto anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, il Santo Padre, Paolo VI, in una memorabile esortazione, raccomandava ai vescovi cattolici del mondo intero l’obbligo di avere cura della ortodossia nell’insegnamento della dottrina cattolica.
Vedete dunque, amati figli, che non erano vani i nostri timori. I mali che temiamo per la nostra diocesi, infatti, minacciano i fedeli del mondo intero. Altrimenti non avrebbe senso l’esortazione pontificia, che è stata diretta a tutti i vescovi cattolici della terra.
I
DOVERE CHE SPETTA AL VESCOVO: VEGLIARE SULLA ORTODOSSIA
Data l’importanza capitale della materia – la purezza della fede – e l’obbligo che ci tocca di pascere bene le pecore di Cristo che ci sono state affidate, giudichiamo nostro dovere tornare sull’argomento, comunicando al nostro gregge le apprensioni e gli ammonimenti del Papa. A questo ci invita lo stesso Pontefice, poichè ricorda che, a tutti quelli che hanno ricevuto «con l’imposizione delle mani, la responsabilità di conservare puro e integro il deposito della fede e la missione di annunciare incessantemente il Vangelo» (3), è fatto obbligo di testimoniare la loro fedeltà al Signore nella predicazione, nell’insegnamento, nella condotta della vita.
D’altra parte, al diritto imprescrittibile del fedele a ricevere la parola di Dio, corrisponde nei vescovi il «grave e urgente dovere di annunciargliela instancabilmente, perché esso cresca nella fede e nella intelligenza del messaggio cristiano» (4).
PROFONDA CRISI DELLA FEDE NEL SENO DELLA CHIESA
Tale dovere della carica episcopale è oggi più imperioso, poiché lavora nel seno della Chiesa una crisi generalizzata e senza precedenti, come attesta la presente esortazione apostolica, crisi, come la denomina il Papa, di autodemolizione, perché, guidata da membri della Chiesa, scuote in profondità la coscienza dei fedeli, in quanto li confonde in ciò che hanno di più essenziale nella religione.
Afferma, infatti, Paolo VI, nel documento che stiamo presentando, che oggi «molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo di ambiguità, di incertezze e di dubbi che la toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità divina della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione» (5).
Come vedete, amati figli, la crisi nella Chiesa non potrebbe essere più profonda. Leggendo le parole del Papa, ci chiediamo: che cosa è rimasto intatto nel cristianesimo? Infatti, se non vi è certezza nel dogma trinitario, mistero fondamentale della rivelazione cristiana; se aleggiano ambiguità sulla Persona adorabile dell’Uomo-Dio, Gesù Cristo; se si è titubanti di fronte alla Santissima Eucaristia; se non si sa che posto occupa il sacerdote in mezzo ai fedeli e non vi è nessuna sicurezza per ciò che concerne gli obblighi morali; se la preghiera non ha valore e neanche la sacra Scrittura, che cosa resta del cristianesimo, della rivelazione cristiana? Comprendiamo che il Papa si senta spinto a eccitare lo zelo dei vescovi, custodi della fede, consacrati per essere autentici Pastori che pascono con affetto, vigilanza e fermezza, le pecore del divino Pastore delle anime.
IMPEGNO NELLA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA CHIESA PSICOLOGICA E SOCIOLOGICA
Tanto più, in quanto l’esortazione del Santo Padre lascia intravedere che è in atto una autentica cospirazione per demolire la Chiesa. È quanto si deduce dal passo seguente a quello sopraccitato, in cui il Pontefice osserva che i dubbi, le ambiguità e le incertezze nella esposizione positiva del dogma, si aggiungono al silenzio su «alcuni misteri fondamentali del cristianesimo» e alla «tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo» su cui si fondi «una vita cristiana priva di elementi religiosi» (6).
Vi è perciò, in mezzo ai fedeli, un movimento dall’azione duplice, ma convergente nella formazione della nuova Chiesa, che può essere soltanto una nuova falsa religione: da un lato, si generano incertezze sui misteri rivelati; dall’altro, si struttura una vita cristiana secondo i gusti dello spirito del secolo.
II
OCCASIONE E CAUSE DELL’ATTUALE CRISI RELIGIOSA
Come è stato possibile giungere a questo stato di cose?
Paolo VI fa, a questo proposito, due considerazioni.
La prima, sulla finalità speciale che Papa Giovanni XXIII propose al Concilio Vaticano II, come appare chiaramente dall’allocuzione con cui aprì la prima sessione del grande sinodo: «Occorre che, rispondendo al vivo desiderio di quanti sono sinceramente attaccati a tutto ciò che ècristiano, cattolico e apostolico, questa dottrina [cristiana] sia più largamente e profondamente conosciuta, che le anime ne siano più intimamente penetrate e trasformate. Occorre che questa dottrina, sicura e immutabile, la quale deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze della nostra epoca». E, meglio esplicitando il suo pensiero, Papa Roncalli prosegue: «Altro, infatti, è il deposito della fede in sé stessa, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altro è la forma con la quale queste verità sono enunziate, conservando loro, tuttavia, lo stesso significato e lo stesso valore» (7).
Il Concilio, e di conseguenza il Magistero ecclesiastico, avrebbe dovuto, con il concorso dei teologi, cercare di ottenere due risultati: trasmettere, senza equivoci o diminuzioni, la dottrina rivelata; e fare uno sforzo per presentarla in modo tale da poter essere accettata, integra e pura, dagli uomini del nostro tempo. Beninteso, dagli uomini di spirito retto, cioè da «quanti sono sinceramente attaccati a tutto ciò che è cristiano, cattolico e apostolico», come dice Giovanni XXIII. Quindi, dagli uomini realmente desiderosi di giungere alla verità; infatti, a quelli che preferiscono le massime di questo mondo e che perciò rigettano la croce di Cristo, si applicano le parole di san Paolo: è impossibile una unione fra la luce e le tenebre, fra la giustizia e l’iniquità, fra Cristo e Belial (8).
Ecco in che cosa consisteva l’«aggiornamento» di Papa Roncalli, nella sua migliore interpretazione: in un adattamento nel modo di esporre la dottrina cattolica, che la renda attraente per l’uomo moderno di spirito retto.
Tale impegno, nota Paolo VI, ed è la sua seconda osservazione, non è facile. Egli dice: «In realtà, se l’esercizio del magistero episcopale era relativamente facile quando la Chiesa viveva a stretto contatto con la società del suo tempo, ispirava la sua cultura e le partecipava le sue forme di espressione, a noi oggi è richiesto un serio sforzo perché la dottrina della fede conservi la pienezza del suo contenuto e del suo significato, esprimendosi in una forma che le permetta di raggiungere la mente e il cuore di tutti coloro ai quali essa è diretta» (9).
CARATTERISTICA DELLA NUOVA CHIESA: LA RELIGIONE DELL’UOMO
O per la difficoltà dell’impresa, oppure per una concessione allo spirito del tempo, il fatto è che, nell’esecuzione del piano tracciato dal Concilio, in molti ambienti ecclesiastici lo sforzo di adattamento è andato oltre la semplice espressione più adeguata alla mentalità contemporanea. Ha toccato la sostanza stessa della Rivelazione. Non si mira a una esposizione della verità rivelata, in termini tali che gli uomini la comprendano facilmente; si tenta, più propriamente, per mezzo di un linguaggio ambiguo e ricercato, di presentare una nuova Chiesa, consona ai gusti dell’uomo formato secondo le massime del mondo di oggi. Così si diffonde, più o meno ovunque, l’idea che la Chiesa deve passare attraverso un mutamento radicale, nella sua morale, nella sua liturgia, e anche nella sua dottrina. Negli scritti, come nella prassi, comparsi in ambienti cattolici dopo il Concilio, si inculca la tesi che la Chiesa tradizionale, come esisteva fino al Vaticano II, non è più all’altezza dei tempi moderni. Di conseguenza, deve trasformarsi totalmente.
E una osservazione rapida su quanto succede in ambienti cattolici porta alla convinzione che davvero, dopo il Concilio, esiste una nuova Chiesa, essenzialmente distinta da quella conosciuta, prima del grande sinodo, come l’unica Chiesa di Cristo. Infatti, si esalta, come principio assoluto e intangibile, la dignità umana, ai cui diritti si sottomettono la verità e il bene. Questa concezione inaugura la religione dell’uomo; e fa dimenticare l’austerità cristiana e la beatitudine celeste. Nei costumi, il medesimo principio dimentica l’ascetica cristiana, ed è assolutamente indulgente anche con il piacere sensuale, dal momento che l’uomo deve cercare la sua pienezza sulla terra. Nella vita coniugale e familiare, la religione dell’uomo esalta l’amore e antepone il piacere al dovere, giustificando, a questo titolo, i metodi anticoncezionali, diminuendo l’opposizione al divorzio, e rivelandosi favorevole alla omosessualità e alla coeducazione, senza temere la sequela di disordini morali a essa inerenti, come conseguenza del peccato originale. Nella vita pubblica, la religione dell’uomo non comprende la gerarchia e propugna l’ugualitarismo proprio dell’ideologia marxista e contrario all’insegnamento naturale e rivelato, che attesta l’esistenza di un ordine sociale esigito dalla natura stessa. Nella vita religiosa, lo stesso principio preconizza un ecumenismo che, a beneficio dell’uomo, metta d’accordo tutte le religioni; preconizza una Chiesa trasformata in istituto di assistenza sociale e rende inintelligibile il sacro, comprensibile soltanto in una società gerarchica. Da ciò la preoccupazione eccessiva per la promozione sociale, come se la Chiesa fosse soltanto un più esteso organismo di assistenza sociale. Da ciò, e allo stesso modo, la secolarizzazione del clero, il cui celibato viene considerato qualcosa di assurdo, così come si considera strano il genere di vita del sacerdote, intimamente legato al suo carattere di persona consacrata, in modo esclusivo, al servizio dell’altare. Nella liturgia, si riduce il sacerdote a semplice rappresentante del popolo, e i mutamenti sono tali e tanti che essa cessa di presentare adeguatamente, agli occhi del fedele, l’immagine della Sposa dell’Agnello, una, santa e immacolata. Evidentemente il rilassamento morale e la dissoluzione liturgica non potrebbero coesistere con l’immutabilità del dogma. D’altronde, già quelle trasformazioni indicavano mutamenti nel modo di concepire le verità rivelate. Una lettura dei nuovi teologi, considerati come portavoce del Concilio, evidenzia come, di fatto, in certi ambienti cattolici, le parole con cui si enunciano i misteri della fede, comportano concetti totalmente diversi da quelli che risultano dalla teologia tradizionale.
IMPORTANZA DELLA FILOSOFIA SCOLASTICA
L’esortazione di Paolo VI parla della difficoltà di ottenere il rinnovamento della veste, nella quale si trasmettano agli uomini di oggi i misteri di Dio. E riconosce che sono state le nuove espressioni delle verità di fede a comportare l’angustia delle incertezze, delle ambiguità e dei dubbi. Come sono stati i nuovi termini che hanno facilitato, ai fautori di una nuova Chiesa, la diffusione di una concezione nuova e inusitata della religione cristiana.
È di san Pio X l’affermazione secondo cui l’abbandono della scolastica, e specialmente del tomismo, è stata una delle cause dell’apostasia dei modernisti (10). Dopo il Concilio Vaticano II, ritorna in ambienti cattolici il medesimo errore, la medesima antipatia verso la filosofia che Leone XIII ha chiamato «singolar presidio ed onore della Cattolica Chiesa» (11).
Di fatto, uno dei sofismi dei teologi del nuovo cristianesimo consiste nell’accusare di aristotelismo la formulazione dogmatica tradizionale, mentre la Chiesa non deve essere infeudata a nessun sistema filosofico. Aggiungono che tale formulazione è stata utile e valida ai suoi tempi, cioè nell’ambiente culturale del Medioevo. Oggi, però, in un ambiente culturale totalmente diverso, essa non ha più valore. Anzi, è dannosa. Impedisce il progresso dei fedeli, ed è responsabile della scristianizzazione del mondo contemporaneo. La Chiesa, se vuole rivivere, se vuole conservare la sua perennità, deve abbandonare le formule antiche e adottarne altre, in accordo con la filosofia di oggi, con il pensiero e la mentalità contemporanei. Soltanto così realizzerà l’ideale proposto da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II. E, per non essere ritenuti negligenti nella loro parte di teologi, passano all’applicazione del principio da loro stessi stabilito e stanno dando nuove formulazioni alla verità rivelata, coerenti con le concezioni della filosofia contemporanea.
L’inganno non è nuovo. Nell’antichità gli gnostici non fecero altro che deturpare la Rivelazione per inquadrarla negli schemi della filosofia neoplatonica; nel secolo scorso, l’hegelismo ha fatto impazzire certi teologi cattolici. I partigiani della nuova Chiesa desiderano servire il marxismo, l’esistenzialismo e le altre filosofie antropocentriche, che pullulano nell’angustia intellettuale caratteristica della nostra epoca.
IL VALORE DEL TOMISMO
L’inganno, amati figli, dei mentori del nuovo cristianesimo consiste nell’abbandono a cui votano una verità di senso comune, senza la quale la conoscenza è inspiegabile, la scienza e la stessa vita umana sono impossibili. Questa verità di senso comune sta alla base di ogni filosofia, che non sia semplice costruzione arbitraria dello spirito; e consiste nella convinzione che la conoscenza è determinata dall’oggetto esterno. Essa è vera, quando coglie la cosa com’è; ed è falsa, quando discorda dalla realtà. I sistemi filosofici possono variare. Essi saranno più o meno veritieri, nella misura in cui le loro conclusioni si attengono al principio di senso comune sopra enunciato.
Nell’attaccamento a tale principio, il tomismo trova tutto il suo valore. Lo sottolinea Leone XIII, quando dice che il tomismo è una filosofia solidamente fondata «nelle intime ragioni delle cose» (12). Ossia, non è un sistema arbitrario, fruito dell’immaginazione o della creazione soggettiva del filosofo. Esattamente al contrario, la filosofia tomista si piega sulla realtà per coglierla com’è.
Quando enuncia i suoi dogmi, servendosi dei termini usuali nella scolastica, la Chiesa non lo fa perché tali espressioni siano proprie di un sistema filosofico particolare, bensì perché appartengono alla filosofia di tutti i tempi.
RELATIVISMO RELIGIOSO E MODERNISMO NEI TEOLOGI DELLA NUOVA CHIESA
Ma non si comportano allo stesso modo i teologi della nuova Chiesa. Essi non sono attenti alla realtà, la cui espressione può variare, purché, tuttavia, la rappresenti qual è. Essi desiderano soddisfare la mentalità moderna. Per loro, l’attualizzazione della Chiesa consiste nell’adattamento della sua dottrina a questa mentalità. E siccome l’uomo moderno ha formato il suo pensiero in un ambiente culturale tutto rivolto verso le apparenze, verso i fenomeni e, inoltre, avverso alla metafisica, la Chiesa, dicono i nuovi teologi, per non sprofondare ha bisogno di accordare la sua dottrina a tale modo di pensare. Non si capisce come questo atteggiamento possa sfuggire all’errore modernista, per cui il dogma si evolve dall’uno all’altro significato, secondo le esigenze culturali dell’epoca in cui viene enunciato.
IMMUTABILITÀ E SVILUPPO DELLA VERITÀ RIVELATA
Ricordiamo che la verità rivelata si comunica al mondo in un linguaggio umano. Questo linguaggio, per quanto inadeguato, non è semplice simbolismo; esso deve esprimere, oggettivamente, ciò che è il mistero di Dio, benché non lo manifesti nella sua ricchezza inesauribile. Ecco la ragione per cui le formule dogmatiche non possono evolversi mutando di significato. La fede, una volta trasmessa, dice san Giuda Taddeo, la è «una volta per tutte» (13). Essa è immutabile e invariabile. Non patisce addizioni, sottrazioni, o alterazioni. Può essere illuminata, non può trasformarsi. È come un essere vivente, che si sviluppa e si perfeziona, mantenendo tuttavia la medesima natura, che fa sì che l’individuo sia sempre lo stesso.
IMPORTANZA DELLE FORMULE DOGMATICHE TRADIZIONALI
Per questo, è di somma importanza mantenere le formule che, costituite nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo, la Tradizione e i concili hanno fissato, per esprimere con esattezza il concetto rivelato. Tale linguaggio dogmatico può subire alterazioni accidentali, ma non può essere modificato da cima a fondo.
Ora, ciò a cui, sotto il segno dell’«aggiornamento», assistiamo dopo il Concilio, in vari ambienti cattolici, è il disprezzo tanto dei costumi come delle formule tradizionali. Facciamo qualche esempio.
Il Concilio di Nicea, dopo anni di lotte contro gli ariani, ha fissato, nella parola consustanziale, il concetto della unità di essenza delle Tre Persone Divine. Oggi, in certi ambienti cattolici, quel termine viene coscientemente abbandonato. Da ciò l’incertezza, il dubbio che il Papa lamenta riguardo ai dogmi della santissima Trinità e del divino Salvatore. Il Concilio di Trento, contro il simbolismo protestante, consacrò il vocabolo transustanziazione, per indicare il mutamento totale della sostanza del pane e della sostanza del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo. Tale parola ci dà l’idea di quanto avviene, oggettivamente, sull’altare, al momento della consacrazione nella santa Messa, e ci assicura della presenza reale e sostanziale di Gesù Cristo nel santissimo Sacramento, anche dopo che è terminato il santo Sacrificio. In quanto termine aristotelico, che non concorda con le correnti filosofiche attuali, la parola transustanziazione viene rigettata dai teologi della nuova Chiesa. La sostituiscono con un’altra – «transignificazione», «transfinalizzazione» – dando ragione all’affermazione del Papa che si pone in dubbio «il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale» (14). Nella pratica, si eliminano i segni di adorazione, di rispetto al santissimo Sacramento, come la comunione in ginocchio, con il velo, la benedizione col Santissimo, la visita al Tabernacolo, ecc.
SOVVERSIONE DOTTRINALE
Se la parola muta, e non si tratta di un sinonimo, si modifica naturalmente anche il concetto. Sono compresi in questo caso i nuovi termini dei teologi «aggiornati», la cui conseguenza è il vacillare della stessa fede. Ecco che la nuova terminologia, di fatto, introduce una nuova religione. Non ci troviamo più nel cristianesimo autentico. D’altronde, le innovazioni non consistono soltanto in un cambio di parole. Vanno più lontano. In realtà, eccitano una sovversione totale nella Chiesa. Dal momento che la filosofia moderna sopravvaluta l’uomo, che rende giudice di tutte le cose, la nuova Chiesa stabilisce, come abbiamo detto, la religione dell’uomo. Elimina tutto quanto può significare una imposizione alla libertà o una repressione della spontaneità umane. Misconosce, così, la caduta originale e attenua la nozione di peccato. Non comprende «il senso della rinunzia evangelica» (15), e propugna una religione naturale fondata sui dati «psicologici e sociologici» (16).
III
RIMEDIO PER IL MALE: FEDELTÀ ALLA TRADIZIONE
a. Indicazione di Paolo VI
Come causa dello stordimento che soffrono i fedeli, angustiati perché ormai non sono più certi di quello che devono credere e di come devono agire, Paolo VI indica l’abbandono della Tradizione. Quindi, l’antidoto a una crisi tanto profonda di linguaggio, di pensiero e di azione, lo incontriamo soltanto nella fedeltà alla Tradizione.
Il documento di Paolo VI insiste sopra questo punto. Le attuali circostanze, dice il Papa, esigono da noi un grandissimo sforzo, «perché […] [la] parola [di Dio] nella sua pienezza giunga ai nostri contemporanei, e le opere compiute da Dio siano ad essi mostrate senza alcuna adulterazione, con tutta l’intensità d’amore della verità che li salva» (17). Un compito tanto nobile è assolvibile soltanto attraverso la fedeltà alla tradizione ininterrotta che […] ricollega [il nostro cristianesimo] alla fede degli Apostoli» (18). Ciascun vescovo, quindi, nella sua diocesi, deve stare attento affinché i nuovi studi «non tradiscano mai la verità e la continuità della dottrina della fede» (19). D’altronde, tutto il lavoro dei teologi deve essere nel senso della «fedeltà alla grande corrente della Tradizione cristiana» (20), dal momento che «la vera teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione» (21).
Riassumendo, Paolo VI sintetizza la norma del Magistero ecclesiastico nella parola di san Paolo: «anche se noi stessi o un angelo del Cielo venisse ad annunziarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia egli anatema» (22); e il Papa prosegue: «infatti, non siamo noi, i giudici della parola di Dio: è essa che ci giudica e che mette in luce il nostro conformismo alla moda del mondo. Le manchevolezze dei cristiani, anche di coloro che hanno la missione di predicare, non saranno mai nella Chiesa un motivo per attenuare il carattere assoluto della parola. Il filo tagliente della spada non potrà mai essere smussato (cfr. Heb. 4, 12; Apoc. 1, 16; 2, 16). Essa mai potrà parlare della santità, della verginità, della povertà e dell’obbedienza diversamente da Cristo» (23).
b. Esempio storico: Nestorio e la santa Madre di Dio
Le parole del Papa non potrebbero essere più chiare né più incisive, come pure sono tassative le parole dell’Apostolo da lui citate. D’altronde, esse non sono che un eco del modo di agire della Chiesa, sotto l’impulso vivificatore dello Spirito Santo. Un fatto ampiamente commentato in ogni corso di formazione religiosa, è quello avvenuto con Nestorio, patriarca di Costantinopoli. Lo riportiamo qui, seguendo la narrazione che ne fa dom Prosper Guéranger nella sua nota opera L’Année Liturgique, quando commenta la festa di san Cirillo di Alessandria, il 9 febbraio: «[…] nello stesso anno dell’esaltazione dell’ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell’immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall’alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: “Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità”.
«A queste parole la moltitudine fremette inorridita: interprete della generale indignazione, Eusebio di Doriles, un semplice laico, si levò in mezzo alla folla a protestare contro l’empietà. […] Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l’elogio dei Concili e dei Papi!» (24).
c. Norma generale
Dom Guéranger enuncia, allora, il principio generale: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l’altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l’ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti attendono per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro» (25).
d. Importanza della Tradizione
Vogliamo spiegare il criterio ricordato da Paolo VI, data l’importanza speciale che esso assume nei giorni che stiamo attraversando, come è ben noto a chi osserva quello che succede in certi ambienti cattolici. D’altronde, il valore della Tradizione è tale che anche le encicliche e gli altri documenti del Magistero ordinario del Sommo Pontefice, sono infallibili soltanto negli insegnamenti confermati dalla Tradizione, cioè da un continuo insegnamento della dottrina, svolto da diversi Papi e per un ampio lasso di tempo. Di conseguenza, l’atto del Magistero ordinario di un Papa che contrasti con l’insegnamento garantito dalla Tradizione magisteriale di diversi Papi e attraverso un considerevole lasso di tempo, non dovrebbe essere accettato.
Fra gli esempi di fatti del genere indicati dalla storia, risalta quello di Onorio I. Questo Papa visse nel tempo in cui l’eresia monotelita faceva stragi nella Chiesa d’oriente. Negando l’esistenza di due volontà in Gesù Cristo, i monoteliti rinnovavano l’assurdo che Eutiche introdusse nel dogma, quando pretese che in Gesù Cristo ci fosse soltanto una natura, composta dalla natura divina e da quella umana. Il patriarca di Costantinopoli, Sergio, insinuò nello spirito di Onorio I, abilmente, che la predicazione delle due volontà del Salvatore causava soltanto divisioni nel popolo fedele. Accondiscendendo ai desideri del patriarca, che erano anche quelli dell’imperatore, Papa Onorio I proibì che si parlasse delle due volontà del Figlio di Dio fatto uomo. Il Pontefice non si rese conto che il suo gesto lasciava il campo libero alla diffusione dell’eresia. Per questa stessa ragione non si doveva prestare a esso attenzione. Fra coloro che biasimarono l’atto di Onorio I, vi sono il VI Concilio Ecumenico, che fu il terzo riunito a Costantinopoli, e san Leone II, Papa, che confermò gli atti di quel concilio. Fra quanti avevano continuato a insegnare le due volontà presenti in Gesù Cristo, vi è il grande san Massimo, detto il Confessore, perché sigillò con il martirio la sua fedeltà alla dottrina cattolica tradizionale.
e. Norma per giudicare le novità
Custodiamo, quindi, con il massimo rispetto e con la massima attenzione, il criterio di verifica nei confronti delle novità che sorgono nella Chiesa:
– Si accordano con la Tradizione? – Sono frutto di una buona legge.
– Non si conformano, ma si oppongono alla Tradizione, oppure la sminuiscono? – Non devono essere accettate.
Tradizione, certo, non è immobilismo. È crescita, ma nella stessa linea, nella stessa direzione, nello stesso senso, crescita di esseri vivi, che si conservano sempre gli stessi. Per questo stesso motivo, non si possono considerare tradizionali forme e costumi che la Chiesa non ha incorporato nella esposizione della sua dottrina, o nella sua disciplina. La tendenza in questa direzione, fu definita da Pio XII «eccessivo archeologismo» (26). Detto questo, prendiamo come norma il seguente principio: quando è evidente che una novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere ammessa.
VARI MODI DI CORROMPERE LA TRADIZIONE
Si può collaborare in diversi modi alla distruzione della Tradizione. Vi è anche, fra essi, una scala che va dalla opposizione aperta alla deviazione quasi impercettibile. Abbiamo un esempio di chiara opposizione nei diversi atteggiamenti assunti da teologi, e perfino da autorità ecclesiastiche, di rifiuto della decisione dell’enciclica Humanae vitae. Infatti, l’atto di Paolo VI, che dichiara illecito l’uso degli anticoncezionali, si inserisce in una tradizione ininterrotta del Magistero ecclesiastico. Non accettarlo, insegnando l’opposto di ciò che esso prescrive, oppure consigliando pratiche da esso condannate, costituisce un tipico esempio di negazione di un insegnamento tradizionale.
Più sottile è l’inganno, quando si colpisce la Tradizione, attraverso delucidazioni dogmatiche che, senza negare i termini tradizionali, di fatto sono incompatibili con i dati rivelati; per esempio, continuare a fare professione di fede nel mistero della santissima Trinità, ma sostituire sistematicamente il termine consustanziale con un altro che non ha lo stesso significato, come la parola natura.
Vi sono ugualmente deviazioni verso l’eresia, in deduzioni che ampliino il contenuto delle premesse. Così, affermare che il Papa, in virtù della collegialità, non può decidere nulla senza avere udito il collegio episcopale, significa cadere nel conciliarismo che sovverte la Chiesa di Cristo.
Più sottili sono i nuovi usi, specialmente in campo liturgico, che sostituiscono gli antichi, e che non solo non sono dotati della stessa ricchezza, ma insinuano altri concetti religiosi. Nella nostra pastorale del 19 marzo 1966, abbiamo sottolineato l’importanza che posseggono gli usi e i costumi, tanto nel rendere più fervorosa la fede, come, in senso contrario, nel rovinare questa stessa fede, dal momento che il comportamento presuppone, e pertanto diffonde, concetti erronei sulle verità rivelate (27).
Evidentemente la responsabilità personale presente in questi diversi modi di contestare la Tradizione non è la stessa. Tuttavia, nelle circostanze attuali, tutti presentano un pericolo per la fede, e forse più quanti sembrano meno opposti alla Chiesa tradizionale. Ne consegue che da parte nostra si richiede una attenta vigilanza, affinché non giungiamo ad assimilare quasi inconsapevolmente il veleno. Se vi è gente in buona fede che, per ignoranza o ingenuità, nelle novità che va accettando, ha soltanto l’intenzione di ottenere una nuova espressione della vera Chiesa, vi è anche e soprattutto, l’astuzia del demonio che si serve di queste stesse intenzioni per allontanare i fedeli dalla ortodossia cattolica.
I FALSI PROFETI E I NUOVI CATECHISMI
Nella esortazione apostolica, che suggerisce queste considerazioni, il Papa insiste sull’azione dei falsi dottori che, vivendo in mezzo al popolo di Dio, corrompono la fede e la religione. Così afferma che è «per noi, Vescovi», l’avvertimento che si incontra in san Paolo: «verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina della salvezza. Condotti dalle proprie passioni e dal prurito di ascoltare novità, si circonderanno di maestri secondo i propri gusti. Allontaneranno gli orecchi dalla verità e si volgeranno alle favole» (28); e più avanti Paolo VI ripete lo stesso grido di allarme, ancora con le parole dell’Apostolo: «anche in mezzo a noi – come al tempo di San Paolo – sorgono uomini che insegnano delle dottrine perverse per trascinar dietro a sé dei discepoli (Atti 20, 30)» (29).
Quando i nemici sono dentro la casa, come denuncia a questo punto il Papa, è sommamente sciocco chi non raddoppia la vigilanza. Nell’attuale crisi della Chiesa, possiamo dire che la nostra salvezza è condizionata all’impiego di tutti i mezzi che preservino l’integrità della nostra fede. Pertanto, oggi è necessaria una grandissima attenzione per evitare le insidie preparate contro l’autenticità del nostro cristianesimo.
Nella nostra istruzione pastorale sulla Chiesa, del 2 marzo 1965, abbiamo posto le basi di tale attenzione, mostrando come lo spirito modernista, infiltrato negli ambienti cattolici, introduce in mezzo ai fedeli il relativismo e il naturalismo religiosi, sovvertendo il dogma e la morale rivelati (30). Della diffusione di tale spirito si incaricano, attualmente, i nuovi catechismi. Ecco che ci tocca il dovere di attirare la vostra attenzione, amati figli, su queste nuove opere di insegnamento e formazione religiosa che, sotto veste di fede per gli adulti o per l’uomo moderno, distruggono la dottrina tradizionale, ora con il silenzio, ora attraverso omissioni, ora in modo positivo, per mezzo di concetti contrari alla verità sempre insegnata dalla Chiesa. I nuovi catechismi sono il mezzo per inoculare nella mente dei fedeli la nuova religione, in consonanza con le correnti evoluzionista e razionalista del pensiero moderno.
Non formuliamo nessun giudizio sulle intenzioni degli autori dei nuovi catechismi. Non dimentichiamo, tuttavia, che «l’uomo nemico», cioè il demonio, che fa di tutto per perdere le anime, approfitta dei turbamenti causati nella Chiesa dai pruriti di novità, e insinua in esse i sofismi con cui corrompe la fede e perverte i costumi. Siccome i catechismi sono strumenti per formare nella religione le nuove generazioni, sarebbe ingenuo pensare che l’angelo delle tenebre non cercasse di servirsene, per realizzare la sua opera sinistra. Di fatto, poi, obiettivamente, i nuovi catechismi devono essere collocati tra gli agenti dell’autodemolizione della Chiesa, di cui parla il Papa.
Non si esagera mai nel sottolineare l’importanza del catechismo. E, di conseguenza, non sarà mai eccessivo mettere in guardia i fedeli contro i testi di catechismo che sovvertono la religione di Nostro Signore Gesù Cristo.
IV
LA PROFESSIONE DI FEDE NELLE PRATICHE LITURGICHE E RELIGIOSE
Nella sua esortazione apostolica, Paolo VI vincola gravemente la coscienza dei Vescovi, a vigilare perché la dottrina sia trasmessa pura non solo nell’insegnamento, ma anche nell’esempio che deve vivificare le parole.
Il Papa fa riferimento a quanti collaborano con i vescovi nella diffusione della sana dottrina. Di conseguenza, la sua affermazione comporta una interpretazione più ampia, dal momento che, negli atti di pietà, facciamo viva professione della nostra fede. In altre parole: ciò che crediamo con l’intelligenza, questo realizziamo nella nostra vita cattolica, specialmente nelle pratiche religiose. In senso inverso, è attraverso gli atti quotidiani che, o alimentiamo la nostra fede, oppure la intiepidiamo, a seconda che il nostro comportamento si conformi a quello che crediamo, oppure se ne distacchi.
A questo punto comprendete, amati figli, tutta l’importanza delle pratiche tradizionali di pietà. Di esse si è nutrita la fede delle generazioni passate, che con il loro esempio ci hanno trasmesso l’amore a Gesù Cristo, alla sua dottrina e ai suoi precetti. Esse fortificheranno, anche oggi, la nostra fede, e ci daranno le energie per seguire l’esempio dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nel santo timore di Dio. In questo medesimo ordine di idee dobbiamo prevenire i nostri amati figli contro le pratiche religiose, in cui si incarna lo spirito della nuova Chiesa, oppure si illanguidisce l’adesione ai misteri rivelati. Trattandosi di una questione capitale, che interessa la salvezza eterna, raccomandiamo vivamente ai nostri carissimi figli che si mantengano fedeli agli esercizi ascetici raccomandati dalla Chiesa: meditazione, esame di coscienza, atti di mortificazione, visite al Santissimo, confessione e comunione frequente, preghiera continua, e, in modo speciale, la recita quotidiana del rosario della Madonna.
IL CULTO VERSO LA SANTISSIMA EUCARISTIA
In modo particolare ricordiamo nuovamente ai nostri amati figli il rispetto che, tradizionalmente, si deve alla santissima Eucaristia, rispetto con cui facciamo professione di fede nella presenza reale e sostanziale del Dio fatto uomo nel Sacramento dell’Altare. In conformità al costume tradizionale che, secondo la Sacra Congregazione per il Culto Divino, dove esiste, deve essere conservato, i fedeli ricevano la santa comunione sempre in ginocchio, e le donne e le ragazze con il capo coperto, e non si accostino mai ai santi Sacramenti in abiti che contrastino con il rispetto e la riverenza dovuti alle cose sacre.
DESACRALIZZAZIONE
Si abbia sempre tutto il rispetto per il luogo sacro. Una delle caratteristiche della Chiesa nuova è la desacralizzazione. Essa condanna gli edifici riservati solo al culto, e desidera che la religione si dissolva nella vita comune dell’individuo. Sotto il pretesto che tutto è sacro, in realtà riduce tutto al profano. Gesù Cristo badava molto alla distinzione tra il sacro e il profano. Commentando il passo di san Giovanni, in cui il divino Maestro scacciò i venditori dal Tempio, sant’Agostino afferma che il male non consisteva nel fatto di vendere gli animali, in quanto si vende lecitamente ciò che lecitamente si offre al Tempio. Il male consisteva nel fatto che la vendita si faceva, per puro interesse, in un luogo sacro, di per sé destinato alla preghiera e al culto divino (31).
PROTEZIONE E MEDIAZIONE DI MARIA SANTISSIMA
Abbiamo fatto cenno, amati figli, ad alcune pratiche, attraverso le quali cerca di instaurarsi nella Chiesa un cristianesimo nuovo, discordante da quello che Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra. Nella nostra pastorale del 19 marzo 1966, sull’applicazione dei documenti conciliari, abbiamo sottolineato il grande pericolo per la fede che nasce da tali pratiche, intossicate come sono dall’eresia diffusa, che trova connivenza nella mentalità relativista del mondo moderno (32). La situazione è tanto grave e il male tanto profondo che oggi, più che nei tempi passati, è necessario fare appello ai mezzi soprannaturali della grazia. Abbandonati a noi stessi, siamo incapaci di resistere alla marea sollevata dai falsi profeti, e meno ancora di farla rifluire, in modo che le anime possano continuare serenamente sulle vie della imitazione del divino Salvatore.
Ricorriamo, quindi, alla preghiera, e specialmente alla devozione a Maria Santissima, nostra Signora. La Tradizione è unanime nel presentarla come Mediatrice di tutte le grazie, come Madre tenerissima dei cristiani, impegnata nella salvezza dei suoi figli, in quanto interessata alla integrità dell’opera del suo divino Figlio. Nelle situazioni difficili in cui si è trovata, la Chiesa ci ha abituati a supplicare il valido ed efficace ausilio della santa Madre di Dio, sia per debellare eresie, sia per impedire che il giogo degli infedeli pesasse sopra i cristiani. Possiamo dire che la Chiesa non si è mai trovata in una crisi tanto grave e tanto radicale, come quella che oggi scuote le sue fondamenta alla base. È segno che la protezione di Maria Santissima si rende più che mai necessaria. A noi tocca renderla effettiva, mediante le nostre suppliche alla santa Madre di Dio. In questo senso, rinnoviamo l’esortazione che abbiamo fatto alla recita quotidiana del santo Rosario, il cui valore aumenteremo con l’imitazione delle virtù di cui la Vergine Maria ci dà particolare esempio: la modestia, il pudore, la purezza, l’umiltà, lo spirito di mortificazione nella rinuncia a noi stessi, e la carità con cui, attraverso il buon esempio, come discepoli di Cristo impregnamo «del suo spirito la mentalità, i costumi, e la vita della città terrena» (33). Confidiamo che la protezione della santa Madre di Dio ci conserverà la fedeltà alla Tradizione nella nostra professione di fede e nelle nostre pratiche religiose, come nelle consuetudini della nostra vita cattolica.
Nella certezza che una così eccelsa protezione non ci mancherà mai, inviamo ai nostri zelanti collaboratori e amati figli la nostra cordiale benedizione pastorale, nel nome del Pa+dre, del Fi+glio e dello Spirito+Santo. Amen.
Data e pubblicata nella nostra città episcopale di Campos, col sigillo e l’impronta del nostro stemma, addì 11 aprile 1971, nella santa Pasqua del Signore.
† ANTONIO, vescovo di Campos
NOTE
(1) Cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, Il rispetto ai santi sacramenti, circolare del 21-11-1970, in Cristianità, Piacenza settembre- ottobre 1974, anno II, n. 7.
(2) Ebr. 11. 6.
(3) PAOLO VI, Esortazione Apostolica all’episcopato cattolico, dell’8-12-1970, in AAS, vol. LXIII, p. 99.
(4) Ibid., p. 100.
(5) Ibid., p. 99.
(6) Ibidem.
(7) Ibid., p. 101.
(8) Cfr. 2 Cor. 6, 14 ss.
(9) PAOLO VI, doc. cit., ibid., pp. 101-102.
(10) Cfr. SAN PIO X, Enciclica Pascendi, dell’8-9-1907.
(11) LEONE XIII, Enciclica Aeterni Patris, del 4-8-1879.
(12) Ibid.
(13) Giuda 3.
(14) PAOLO VI, doc. cit., ibid., p. 99.
(15) Ibid., p. 105.
(16) Ibid., p. 99.
(17) Ibid., p. 98. Le sottolineature sono nostre.
(18) Ibid., p. 99.
(19) Ibid., p. 101. La sottolineatura è nostra.
(20) Ibid., p. 102.
(21) Ibid., p. 103.
(22) Gal. 1, 8.
(23) PAOLO VI, doc. cit., ibid., p. 101.
(24) DOM PROSPER GUÉRANGER, L’anno liturgico, trad. it., Edizioni Paoline, Alba 1959, vol. I, pp. 795-796.
(25) Ibid., p. 796.
(26) PIO XII, Enciclica Mediator Dei, del 20-11-1947.
(27) Cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, Considerações a proposito da aplicação dos documentos promulgados pelo Concilio Ecumenico Vaticano II, in Catolicismo, Campos maggio e giugno 1966, anno XVI, nn. 185 e 186.
(28) 2 Tim. 4, 3-4.
(29) Paolo VI, doc. cit., ibid., p. 105.
(30) Cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, Istrução Pastoral sobre a Igreja, in Catolicismo, Campos giugno, luglio e agosto 1965, anno XV, nn. 174, 175 e 176.
(31) Cfr. SANT’AGOSTINO, in Jo., tr. X.
(32) Cfr. MONS. ANTONIO DE CASTRO MAYER, Considerações a propósito da aplicação dos documentos promulgados pelo Concilio Ecumenico Vaticano II, cit.
(33) PAOLO VI, doc. cit., ibid., p. 105.