Cari amici,
c’è un legame fra il Messaggio per la 51ma giornata mondiale delle comunicazioni sociali (24 gennaio) e la meditazione mattutina del 30 gennaio sui martiri del Santo Padre, oltre alle parole sempre sul martirio rivolte alla Commissione mista per il dialogo fra cattolici e ortodossi il 17 gennaio.
Nel primo documento, il Papa spiega come mai i media del nostro tempo sanno apprezzare e diffondere soltanto le notizie negative, imputando questa mancanza all’assenza di speranza nella cultura odierna. Se non esiste un possibile esito felice alla vita quotidiana, se non si crede alla buona notizia del Vangelo, allora il male sembra invincibile e le sue “gesta” sono le uniche che meritano di essere ricordate. In effetti, mi chiedo spesso perché non sia possibile comunicare informazioni senza “sparare” titoli gridati, senza necessariamente innescare “polemiche a prescindere” e la risposta sta proprio in questa mancanza.
Certo, Papa Francesco ricorda come “non si tratta di promuovere una disinformazione in cui sarebbe ignorato il dramma della sofferenza, né di scadere in un ottimismo ingenuo che non si lascia toccare dallo scandalo del male“, ma di cercare di opporsi a un sistema mediatico “dove vale la logica che una buona notizia non fa presa e dunque non è una notizia, e dove il dramma del dolore e il mistero del male vengono facilmente spettacolarizzati” e dove di conseguenza “si può essere tentati di anestetizzare la coscienza o di scivolare nella disperazione“.
Di conseguenza il martirio non fa notizia, se non avviene in un contesto spettacolare: ci vuole un grande attentato, con tanti morti, possibilmente uccisi in modo non convenzionale, per ottenere le prime pagine. Altrimenti è routine e la grande stampa non sa che cosa scrivere. Oppure lo fa, ma per lo spazio di un mattino, e tutto finisce lì.
Più grave è la situazione fra i cattolici. Nonostante i ripetuti interventi del Pontefice, il dramma dei martiri rimane sullo sfondo. Ci vuole prudenza, si dice, per non innestare una guerra di religione soprattutto con il mondo islamico, dal quale provengono le maggiori persecuzioni. Ma questa doverosa prudenza non deve distogliere l’attenzione dei fedeli dalla gravità delle ingiustizie che patiscono i nostri fratelli nella fede in tante nazioni del mondo, soprattutto a maggioranza islamica. Una prudenza che diventa rispetto umano non fa bene neppure a quei musulmani che forse sono contrari a tanta violenza esercitata dai loro connazionali che usano il terrorismo per tentare di conquistare il potere. Ma se non sentono le proteste forti e chiare di chi queste violenze le subisce, da decenni, come possiamo immaginare che insorgano infrangendo la solidarietà verso i violenti?
Ma c’è anche un altro motivo. Leggete attentamente i due discorsi citati di Papa Francesco. Egli spiega come i martiri siano la guida della Chiesa: “I martiri, ancora una volta, ci indicano la via” come accadde nei primi tre secoli, quando il loro sangue fu il seme di nuovi cristiani, che poi costruirono la prima cristianità. Se allora nacque dal sangue innocente l’epoca del monachesimo e delle cattedrali, di Dante e di San Tommaso, e di tante sante famiglie, oggi il sangue dei cristiani assassinati nel Novecento e nel secolo in cui viviamo può essere il seme che ci permetterà di ritrovare l’unità perduta, come aveva intuito il grande Giovanni Paolo II. “Quante volte” – scrive il regnante Pontefice – “il sacrificio della vita ha portato i cristiani, altrimenti divisi in molte cose, ad essere uniti. Martiri e santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già in Cristo una sola cosa; i loro nomi sono scritti nell’unico e indiviso martirologio della Chiesa di Dio“.
È l’ecumenismo del sangue.
Per sostenerlo e promuoverlo, una proposta concreta: ciascuno chieda al proprio parroco di celebrare una messa al mese per i cristiani perseguitati, perché Dio conceda loro la fortezza di resistere e di convertire i loro persecutori.
Marco Invernizzi