PIETRO CANTONI, Cristianità n. 180-181 (1990)
Dopo le encicliche Redemptor hominis (1), Dives in misericordia (2), Dominum et vivificantem (3) e Redemptoris Mater (4) – dedicate rispettivamente al Verbo incarnato, a Dio Padre, allo Spirito Santo e alla Beata Vergine Maria -, nell’opera magisteriale del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II non poteva mancare un documento su san Giuseppe, il cui incipit suona appunto Redemptoris Custos (5). All’interno di questa ideale “pentalogia”, l’esortazione apostolica giuseppina si affianca in modo particolare alle encicliche Redemptor hominis e Redemptoris Mater, dove l’accento è posto, insieme, sul mistero dell’Incarnazione e su quello della Redenzione, un’accentuazione che riflette perfettamente i temi dominanti del pontificato di Papa Giovanni Paolo II, cioè Cristo e l’uomo.
Nella prospettiva di una grande e radicale evangelizzazione, che deve essere innanzitutto una ri-evangelizzazione, il Santo Padre ripropone i fondamenti della fede in modo organico e sistematico a partire dalle profondità del mistero di Dio: anzitutto il mistero “necessario”, la Trinità; quindi il mistero “libero”, quello dell’economia liberamente scelta da Dio per salvare l’uomo, l’incarnazione, passione, morte e risurrezione del Redentore. Il punto di congiunzione dei due misteri, il punto “focale”, è Gesù Cristo in cui Dio rivela insieme sé stesso e la sua volontà di salvezza e che non può essere disgiunto da coloro che sono stati, per libera ma non arbitraria scelta divina, intimamente e indissolubilmente coinvolti nella sua “venuta nella carne” (6).
Il procedimento è rigorosamente teologico, di una teologia però che non disdegna di farsi anche meditazione in ossequio al principio che la pietà deve essere teologica e la teologia deve comunicare verità vive e vivificanti.
Così, dopo aver ricordato il centenario del principale documento precedente del Magistero su san Giuseppe, l’enciclica Quamquam pluries di Papa Leone XIII (7) – centenario che costituisce l’occasione prossima dell’esortazione apostolica Redemptoris custos –, e che il “disegno redentivo […] ha il suo fondamento nel mistero dell’Incarnazione“ (n. 1), Papa Giovanni Paolo II abbozza, su questo fondamento (8), i lineamenti di una “teologia di san Giuseppe”. Il punto di partenza è un passo del Vangelo secondo san Matteo: “Gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. […] Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (9). In queste parole il Sommo Pontefice vede “una stretta analogia” (n. 3) con l’annunciazione a Maria. Come per Maria, nella generosa risposta a questo annuncio sta l’autentica grandezza di san Giuseppe: come Maria è grande per aver concepito il Verbo “prima con la mente che con il corpo” (10), così la “giustizia” di Giuseppe è tutta nella sua obbedienza alla parola del Signore, espressione purissima di “obbedienza della fede”. “Per la verità, Giuseppe non rispose all'”annuncio” dell’angelo come Maria, ma “fece come gli aveva ordinato langelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Ciò che egli fece è purissima “obbedienza della fede” (cfr. Rm 1, 5;16, 26; 2 Cor 10, 5-6).
“Si può dire che quello che Giuseppe fece lo unì in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accettò come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettato nell’annunciazione. Il Concilio insegna: “A Dio che rivela è dovuta ‘l’obbedienza della fede’, per la quale l’uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio, prestandogli ‘il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà’ e assentendo volontariamente alla rivelazione da lui fatta”[Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 5]. La frase sopracitata, che tocca l’essenza stessa della fede, si applica perfettamente a Giuseppe di Nazareth“ (n. 4).
Ciò che Giuseppe fece è raccolto in tanti episodi, apparentemente insignificanti, che solo un’esegesi profondamente teologica, “sapienziale”, alla scuola dei Padri, può cogliere in tutta la loro portata (11). Anche qui, come nell’enciclica Redemptoris Mater, la lezione è anche di metodo, sul come leggere la santa Parola di Dio scritta, perché la direttiva del Concilio Ecumenico Vaticano II sull’importanza da attribuire alla Sacra Scrittura non degeneri in insano biblicismo. “Nei Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso Gesù. Difatti, la salvezza, che passa attraverso l’umanità di Gesù, si realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare, rispettando quella “condiscendenza” inerente all’economia dell’incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia svolto secondo un piano divinamente prestabilito. La formula spesso ripetuta: “Così avvenne, affinché si adempissero…” e il riferimento dell’avvenimento descritto a un testo dell’Antico Testamento tendono a sottolineare l’unità e la continuità del progetto, che raggiunge in Cristo il suo compimento.
“Con l’incarnazione le “promesse” e le “figure” dell’Antico Testamento divengono “realtà”: luoghi, persone, avvenimenti e riti si intrecciano secondo precisi ordini divini, trasmessi mediante il ministero angelico e recepiti da creature particolarmente sensibili alla voce di Dio” (n. 8).
Il “mistero” di san Giuseppe è tutto racchiuso nel paradosso dell’assoluta verità del suo matrimonio con Maria e della paternità nei confronti di Gesù da una parte, e della concezione verginale del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo dall’altra. Sono i due anelli della catena che non è lecito lasciare se non si vuole smarrire il mistero. Certamente la paternità “legale” aveva per gli ebrei una portata che oggi si stenta a capire. Non si deve dimenticare che le genealogie di Matteo e di Luca, che attestano la discendenza davidica di Gesù e quindi la legittimità della sua pretesa messianica, passano per Giuseppe, pur rilevando che la sua paternità non è fisica. Così come l’imposizione del nome (12) lo vede in un ruolo tipicamente paterno, un ruolo di altissimo valore nel mondo biblico e tradizionale in genere. Ma la paternità di Giuseppe ha un fondamento reale ancora più elevato: ha ricevuto questa missione da Dio e Dio, nel momento in cui affida una missione, crea tutte le condizioni oggettive del suo compimento. Il “dubbio” di Giuseppe costituisce uno dei temi classici della Josephologia, la riflessione teologica sul “mistero” di san Giuseppe assurta, soprattutto sotto la spinta della devozione popolare e per impulso del Magistero, a disciplina autonoma, per quanto la può essere naturalmente una branca della teologia, che è specificamente una (13): davanti alla maternità di Maria, di cui non è causa, il santo rimane turbato, tanto da decidere in cuor suo di rimandare la sposa. Il documento non entra, com’è ovvio, nella discussione teologica, tuttavia sottolinea che il turbamento prelude all’accettazione umile e generosa di una missione ricevuta da Dio. Secondo l’opinione oggi più seguita dagli specialisti di teologia giuseppina, il turbamento di Giuseppe è quello dell’uomo giusto che, alle soglie di un mistero più grande di lui, di cui risulta molto difficile pensare che non fosse già a conoscenza, non sa decidersi prima di aver colto la volontà di Dio. Ma una volta ascoltata la “vocazione”, imposta la sua vita all’insegna della fedeltà, silenziosa ma perseverante (14), modello purissimo di obbedienza della fede.
La verità del matrimonio e della paternità di Giuseppe hanno conseguenze importantissime per la teologia del matrimonio e dell’amore in genere. Evidenziano un fatto capitale: il matrimonio – e l’amore fra un uomo e una donna – non consiste nella sessualità, senza nulla togliere all’importanza e alla santità della sessualità fra i coniugi. Una considerazione minimalistica e sostanzialmente falsa – perché in contrasto con la Scrittura – del matrimonio di Giuseppe ha fatalmente accompagnato la teoria del rapporto sessuale come elemento essenziale del matrimonio, mentre è certamente anche la riflessione su questo punto del mistero cristiano a condurre la migliore tradizione teologica a vedere l’elemento formale del matrimonio nella “indivisibile unione degli spiriti” (15). Anche da questo punto di vista il mistero silenzioso di Giuseppe è particolarmente eloquente per la nostra epoca, ammalata di ipertrofia del sesso.
Come per Maria, anche per Giuseppe la missione ricevuta da Dio non si conclude con il “pellegrinaggio della fede” terreno, ma continua in cielo. Anche qui vale lo stesso principio: quanto è in relazione con il Capo è in relazione con il Corpo e con le sue membra. Si tratta di un principio che, in questo caso, si duplica con la particolare relazione che lega san Giuseppe con la Beata Vergine Maria. Ecco perché, “ispirandosi al Vangelo, i Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello.” (n. 1); e Pio IX ha sanzionato quanto l’istinto della fede del popolo cristiano aveva da tempo colto e vissuto, dichiarandolo “Patrono della Chiesa cattolica” (16).
Papa Giovanni Paolo II ricorda anzi con particolare venerazione la preghiera che Leone XIII aveva posto a conclusione della sua enciclica, preghiera ormai entrata pienamente nel patrimonio delle devozioni più care al popolo cristiano. In essa si chiede a san Giuseppe che continui la sua missione di protettore, allontanando da noi “questa peste di errori e di vizi”, assistendoci “in questa lotta col potere delle tenebre”, difendendoci “dalle ostili insidie e da ogni avversità” (17). “Ancora oggi – ci assicura il Santo Padre – abbiamo numerosi motivi per pregare nello stesso modo […]. Ancora oggi abbiamo perduranti motivi per raccomandare a san Giuseppe ogni uomo“ (n. 31).
Pietro Cantoni
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(1) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor hominis, del 4-3-1979.
(2) Cfr. Idem, Enciclica Dives in misericordia, del 30-11-1980.
(3) Cfr. Idem, Enciclica Dominum et vivificantem, del 18-5-1986.
(4) Cfr. Idem, Enciclica Redemptoris Mater, del 25-3-1987; cfr. il mio “Redemptoris Mater”, in Cristianità, anno XV, n. 144-145, aprile-maggio 1987.
(5) Cfr. Idem, Esortazione apostolica Redemptoris Custos, del 15-8-1989, in L’Osservatore Romano, 25-10-1989. La traduzione utilizzata è quella comparsa sul medesimo quotidiano, lo stesso giorno, in inserto tabloid. I riferimenti al documento contenuti nel testo rimandano alla suddivisione in paragrafi.
(6) Cfr. 1 Gv. 4, 2.
(7) Cfr. Leone XIII, Enciclica Quamquam pluries, del 15-8-1889.
(8) Il legame con il mistero dell’Incarnazione è di particolare importanza. Si può dire che la devozione a san Giuseppe, cresciuta nel popolo cristiano più per via affettiva che immediatamente teologica, si è sviluppata parallelamente alla devozione per l’umanità di Gesù. Non a caso “sono precisamente i primi scrittori e predicatori francescani a diffondere la dottrina riguardante direttamente S. Giuseppe”, essendo noto che “l’amore ardente di Francesco verso l’umanità di Cristo abbraccia tutti gli stati di vita del Salvatore, dalla nascita alla morte; resta incantato davanti alla prima rappresentazione del Presepio, si identifica con Cristo Crocifisso fino a riceverne le stimmate sul suo corpo” (José Antonio Carrasco O.C.D., San Giuseppe nel mistero di Cristo e della Chiesa. Appunti per una teologia di San Giuseppe, Piemme, Casale Monferrato [AL] 1984, p. 97).
(9) Mt. 1, 20-21 e 24.
(10) “Prius conciperet mente quam corpore” (san Leone Magno, Sermo 21, c. 1, in PL 54, 191).
(11) Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica dei Seminari e degli Istituti di Studi, Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, del 10-11-1989.
(12) Cfr. Mt. 1, 21.
(13) Cfr., per esempio, Bonifacio Llamera O.P., Teologia di San Giuseppe, trad. it., Edizioni Paoline, Alba (CN) 1958, pp. 215-217; Tarcisio Stramare O.S.J., Giuseppe, in Stefano De Fiores e Salvatore Meo (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986, pp. 635-638; J. A. Carrasco O.C.D., op. cit., pp. 24-27.
(14) Cfr. T. Stramare O.S.J., art. cit., p. 638; e J. A. Carrasco O.C.D., op. cit., pp. 26-27.
(15) San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIIa, q. 29, a. 2 c.
(16) Cfr. Sacra Congregazione dei Riti, Decreto Quemadmodum Deus, dell’8-12-1870, in Pii IX P.M. Acta, pars I, vol. V, p. 283.
(17) Leone XIII, Oratio ad Sanctum Josephum, pubblicata in appendice al testo dell’enciclica Quamquam pluries, cit.