Card. Mauro Piacenza, Cristianità n. 382 (2016)
Intervento di S. Em. il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore presso il Tribunale della Penitenzieria Apostolica e presidente internazionale della Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), in occasione della presentazione della XIII edizione del Rapporto ACS sulla libertà religiosa nel mondo, svoltasi a Roma, presso la Sala Stampa Estera, il 15-11-2016. Le note e le inserzioni fra parentesi quadre sono redazionali.
In questo breve intervento desidero soffermarmi su due aspetti, che caratterizzano l’azione di Aiuto alla Chiesa che Soffre e che, in un certo modo, per la loro natura, divengono quasi dei prototipi per ogni corretto approccio ad una così fondamentale tematica per l’uomo e per la cultura dominante.
Il primo aspetto riguarda la natura della libertà religiosa e gli strumenti adatti al suo libero esercizio e, ove necessario, alla sua preservazione; il secondo, il rapporto tra libertà religiosa e cultura contemporanea, soprattutto occidentale.
La libertà religiosa sorge, nella storia, come la legittima pretesa dell’uomo di rivendicare la propria fede in Dio, di fronte a qualunque potere terreno, affermando, con Tertulliano [160 ca.-220 ca], che «grande è l’imperatore, perché è più piccolo del Cielo», cioè che, per quanto grande sia il potere civile e per quanto esso sia capace di permeare, talvolta in modo anche invasivo, l’intera vita sociale, esso è sempre «più piccolo» di Dio ed è chiamato a riconoscerne l’esistenza e la natura.
Non è questa la sede per entrare nei dettagli storici della nascita e dello sviluppo della libertà religiosa. Mi limiterò a ricordare il famoso detto evangelico: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt. 22,21).
Come molti sanno, questo detto non è da intendere secondo la moderna interpretazione di «libera Chiesa in libero Stato», ma indica la legittima e doverosa distinzione degli ambiti civile e religioso (come sapientemente indicato dalla Carta Costituzionale italiana) e, elemento troppo spesso dimenticato, presuppone l’esistenza di Dio.
La libertà religiosa affonda le proprie radici nella stessa persona umana che, dal punto di vista antropologico, è costitutivamente aperta al Mistero e — direbbe sant’Agostino [354-430] — è capax Dei (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1). Il fatto che alcuni uomini neghino l’esistenza di Dio, o non riescano a giungere alla fede in Lui, non delegittima, in alcun caso, l’affermazione agostiniana, poiché anch’essi vivono la dimensione della domanda e della ricerca di significato, che sono, in definitiva, l’espressione dell’universale esperienza religiosa umana.
Quando si tratta di temi così delicati e costitutivi dell’uomo, è sempre necessario quell’atteggiamento di rispetto e di grande prudenza, sia umana, sia legislativa, che colloca lo Stato al servizio dei propri cittadini, rinunciando a ogni tentazione riduzionista del senso religioso dei cittadini e, a fortiori, anche alla luce delle esperienze drammatiche dei totalitarismi del secolo scorso, rinunciando all’idea stessa di uno Stato Etico.
Oltre ad appartenere, dal lato del soggetto, alla natura dell’uomo, la libertà religiosa è costitutiva, oggettivamente, dello stesso atto di fede. La fede, infatti, non può che essere libera, non può che manifestarsi come libera adesione a un incontro, a una proposta e, nel Cristianesimo, libera adesione alla Persona di Gesù.
Un atto di fede condizionato e, perciò, non libero, frutto di coercizione sociale, giuridica o addirittura violenta, perderebbe totalmente di significato, non sarebbe più nemmeno un atto di fede, ma mera adesione esterna, necessitata dal condizionamento, che nulla ha a che fare con la fede autentica.
Come esplicitamente insegnato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, la libertà religiosa è la «madre» di tutte le libertà umane.
Ciò, non tanto perché essa sia da mettere in concorrenza con altre forme di libertà, come, per esempio, quella di pensiero o di espressione, di associazione o di movimento, ma per la natura stessa dell’oggetto al quale essa si riferisce. Credo non si possa in alcun modo negare che la libertà religiosa sia anche un frutto maturo del cristianesimo. Questa «strana fede» che ha fatto il suo ingresso nella storia in un contesto culturale politeistico e verticista, che arrivava a identificare la divinità con il potere civile dominante, ha camminato per secoli nei «sentieri stretti» della persecuzione prima, e della storia poi, con quella passione per l’uomo e per la libertà, tipica di chi è consapevole delle conseguenze dell’Incarnazione; di chi comprende il valore insuperabile del fatto che Dio abbia scelto di assumere un’integra natura umana, partecipando definitivamente della storia.
La progressiva penetrazione nella cultura da parte del cristianesimo e il fecondo e strutturale dialogo tra ragione e fede, fondato nella stessa definizione giovannea: «il Logos si è fatto carne» (Gv. 1,14), hanno condotto, nel tempo, all’affermazione della libertà religiosa.
La libertà religiosa riguarda il rapporto tra l’uomo e Dio, e, dunque, quanto di più fondante e radicalmente significativo ci possa essere nell’umana esistenza. Per questa ragione essa è «madre» di tutte le altre libertà.
Un ordinamento capace di garantire adeguatamente l’esercizio della libertà religiosa sarà dunque un ordinamento nel quale tutte le altre libertà troveranno legittimi spazi di esercizio; al contrario — l’esperienza contemporanea lo testimonia — un ordinamento incapace di garantire adeguatamente l’esercizio legittimo della libertà religiosa, finirà per limitare ogni altra espressione umana.
Per questa ragione, anche la Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sempre cercato — ed oggi più che mai vi è chiamata a farlo — la promozione della libertà religiosa, non solo attraverso gli aiuti economici alle realtà «sofferenti», ma anche attraverso l’impegno formativo, che è presupposto indispensabile all’esercizio di questa fondamentale libertà.
Il sostegno alla formazione, il sostegno alle scuole cattoliche, il sostegno alla diffusione della stampa e della cultura, in Paesi nei quali la libertà religiosa è fortemente limitata, è germe fecondo per la fioritura, anche in quelle realtà, di un adeguato rispetto di questa fondamentale esigenza umana e del riconoscimento dell’apporto che, coloro che vivono la libertà religiosa, donano al progresso della società.
In tal senso, è doveroso riconoscerlo, il Cristianesimo è stato ed è, in tutti i luoghi in cui si è sviluppato, reale fattore di progresso sociale, poiché, introducendo il principio della libertà religiosa e rivendicando l’obbedienza «a Dio piuttosto che agli uomini» (At. 5,29), ne favorisce, costantemente nei secoli, lo sviluppo, a condizione di non cedere alla tentazione di delegare al potere civile la difesa di se stesso e la possibile limitazione dell’esercizio della libertà religiosa altrui.
La libertà religiosa, infine, è quanto di più distante ci possa essere dall’arbitrio religioso o, più gravemente ancora, dal relativismo religioso. I due pilastri, su cui si fonda e deve fondarsi l’esercizio della libertà religiosa, i due pilastri che, in definitiva, rendono legittimo tale esercizio, sono per ogni uomo, qualunque sia la sua educazione e la sua fede, la ragione e la verità.
Non c’è legittimo esercizio della libertà religiosa, prescindendo da un corretto uso della ragione. Una cultura, nella quale la ragione non è più capace di essere una «finestra spalancata» sulla realtà, ma vede i propri confini ridotti, quasi umiliati, ad essere «misura di tutte le cose», non potrà garantire l’adeguato esercizio della libertà religiosa.
Ragione e verità sono, dunque, i due pilastri irrinunciabili per l’autentico esercizio della libertà religiosa, e, insieme ad essa, rappresentano i presupposti delle moderne democrazie, le quali, soprattutto nel nostro tempo, non possono presupporre di fondarsi sul relativismo che apre al nulla, ma sono chiamate a riscoprire quella piattaforma di valori condivisi che le ha generate, senza la quale rischiano il dissolvimento.
E mi pare a questo punto non poter ignorare il rapporto fra due poli: libertà religiosa e cultura contemporanea.
Se i due poli della libertà religiosa sono, come detto, la reciproca autonomia, pur nella relazione, tra Dio e Cesare da un lato, e l’esistenza di Dio dall’altro, ne deriva che una cultura e una società che intendessero espellere Dio dal proprio orizzonte, sarebbero semplicemente incapaci di garantire qualunque libertà religiosa.
In realtà, è doveroso riconoscerlo, la cultura dominante non osa, perché non può, espellere Dio dall’esperienza soggettiva — che preferirei chiamare «personale» —, ma tenta continuamente di espellerlo dal vivere sociale.
Nessuno osa sindacare le personali convinzioni religiose, purché esse non rivendichino riconoscimenti pubblici e capacità di incidere sull’ordinamento della società.
Come immaginare, a fronte di tale situazione, un esercizio della libertà religiosa solo «soggettivo»?
Anche i prigionieri politici o coloro che vengono incarcerati per motivi religiosi, continuano ad essere personalmente e intimamente persuasi della bontà delle proprie convinzioni!
Nessuno, nemmeno il potere civile più efferato, può estirpare dalla coscienza la fede!
Conseguentemente, la libertà religiosa gioca il proprio ruolo, non tanto nel foro privato, intangibile, quanto nel foro pubblico, nella complessità dei rapporti sociali e nella reciproca relazione tra gli uomini.
La riscoperta del «ruolo pubblico di Dio», cioè della presenza e del ruolo di Dio nella storia e nella società, è conseguentemente il presupposto indispensabile all’esercizio della libertà religiosa.
Anche nel delicato rapporto tra cultura dominante e libertà religiosa, giocano un ruolo fondamentale i citati pilastri della ragione e della verità; pertanto, il relativismo dominante, che della ragione e della verità vorrebbe fare a meno, è il contesto culturale meno adatto alla garanzia, al rispetto e alla promozione dell’autentica libertà religiosa.