di Silvia Scaranari
La Chiesa Cattolica offre tanti santi da conoscere, ammirare, imitare: fra questi, san Massimiliano Kolbe (1894-1941) e gli oltre 800 martiri di Otranto del 1480, uniti da una concomitanza divina di date, il 14 agosto. Certamente in cielo migliaia di altri santi a noi ignoti sono festeggiati attorno a Maria e ai piedi del trono dell’Altissimo, ma accontentiamoci di questi noti, molto lontani nel tempo eppure legati nella comune testimonianza della fedeltà a Cristo fino all’ultimo respiro.
«Da Oggi la Chiesa desidera chiamare “santo” un uomo al quale è stato concesso di adempiere in maniera assolutamente letterale “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)» ha detto Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) nel 1982 nell’omelia per la canonizzazione di Kolbe. Due anni prima, visitando Otranto, il Pontefice aveva ricordato il martirio patito in quella terra dicendo: «800 discepoli di Cristo che hanno reso una tale testimonianza, accettando la morte per il nome di Cristo. Ad essi si riferiscono le parole che il Signore Gesù ha pronunciato sul martirio: “Sarete odiati da tutti per causa del mio nome” (Lc 21,17). Sì. Sono stati oggetto d’odio».
Oggetto d’odio ieri come ancora tanti martiri di oggi. Lo ha detto anche Papa Francesco nell’omelia per la canonizzazione il 12 marzo 2013: «Mentre veneriamo i martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male con il bene».
Infatti, 813 uomini comuni hanno trovato la morte a Otranto il 14 agosto 1480 per mano dei Turchi invasori; un umile francescano, Massimiliano Kolbe, lo stesso 14 agosto ‒ ma del 1941 ‒ trova la morte nel campo di concentramento di sterminio Auschwitz per mano di una delle grandi ideocrazie totalitarie del secolo XX, il nazionalsocialismo.
Forse la storia è nota, ma vale farne ancora una volta memoria.
Nel 1480 una flotta turca, forte di 150 navi e 18mila 000 soldati, giunge alle mura di Otranto. La missione, imposta dal sultano Maometto II (1432-1481), è sbarcare in Puglia e da qui raggiungere Roma per conquistarla. Otranto ha solo 6mila abitanti e non è in grado resistere. Gli abitanti la lasciano dunque nelle mani nemiche, rifugiandosi nella cittadella. Ma Gedik Ahmet Pasha (?-1482), che pretende la resa incondizionata, dopo 15 giorni di assedio riesce a sfondare anche quell’ultima resistenza. Dopo di che impone a tutti i superstiti la conversione all’islam, ricevendo però un fiero rifiuto. 800 otrantino vengono allora trascinati sul vicino Colle della Minerva per essere giustiziati, affinché la loro morte induca gli altri a capitolare. Il primo a essere decapitato è Antonio Primaldo, un umile sarto. La tradizione ricorda che, dopo essere stato ucciso, il suo corpo senza testa rimase in piedi finché cadde l’ultimo dei suoi concittadini. Ahmet Pasha peraltro non si ferma e così tutti i maschi oltre i quindici anni vengono uccisi, mentre le donne e i bambini sono ridotti in schiavitù. Sempre secondo la tradizione, un soldato turco, al vedere il coraggio e la fermezza con cui i cristiani sopportano quel martirio, si converte e viene immediatamente decapitato anche lui sul posto per mano dei suoi compagni d’arme. Solo dopo questo eroico sacrificio Alfonso II d’Aragona (1448-1495), figlio del re di Napoli Ferrante I (Ferdinando d’Aragona, 1424-1494), decide di fermare i Turchi in ottobre salvando la Puglia e forse pure Roma.
Massimiliano Kolbe, invece, è stato un sacerdote e frate francescano polacco. Nel 1910 entra nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, studia a Cracovia e poi a Roma. Nella Pontificia Università Gregoriana segue Scienze, Matematica, Fisica, Chimica, nonché Filosofia e Teologia, ottenendo due lauree di cui la seconda al Collegio Serafico Internazionale. Ordinato sacerdote nel 1918 a sant’Andrea della Valle a Roma, dopo il dottorato in Teologia, torna a Cracovia.
Nel 1917, sulla sia della tradizione francescana che da san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274) e dal beato Giovanni Duns Scoto (1265/1266-1308) in poi ha sempre sostenuto l’Immacolata Concezione di Maria, fonda, con alcuni amici, l’associazione Milizia dell’Immacolata. Lo scopo è diffondere e sostenere la devozione a Maria con le potenzialità della nuova tecnologia: la stampa e poi la radio.
Nel 1922 esce il primo numero del Cavaliere dell’Immacolata (Rycerz Niepokalaney), periodico ufficiale della Milizia, che in breve raggiunge la tiratura di un milione di copie. Segue il Piccolo quotidiano, un tabloid in 130mila copie. Nel 1927, vicino a Varsavia, fonda Niepokalanow, Città di Maria o Proprietà dell’Immacolata, un piccolo villaggio dotato di tipografie, seminario, chiesa e qualche abitazione. Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale (1939-1945) vi dimorano circa mille persone tsacerdoti, frati, novizi, seminaristi e fratelli laici. Missionario in Giappone nel 1930, vi fonda una nuova rivista e un convento, il Giardino dell’Immacolata, e poi, nel 1936, un seminario. Tornato in patria dopo un breve soggiorno in Italia, assiste alla presa della Polonia da parte dei nazionalsocialisti tedeschi nel settembre 1939. Arrestato una prima volta, viene liberato dopo tre mesi l’8 dicembre 1939. La sua città è distrutta dai bombardamenti, ma Massimiliano recupera il possibile e riesce a dare vita a un ospedale e a un rifugio per sfollati.
Il 17 febbraio 1941 è nuovamente arrestato dalla Gestapo, la polizia segreta nazionalsocialista tedesca, e imprigionato ad Auschwitz, dove muore il 14 agosto dello stesso anno dopo essersi offerto vittima volontaria nel bunker della fame al posto di Franciszek Gajowniczek (1901-1995). Cosa era successo? Dai campi di grano dove si svolgeva la mietitura, uno dei deportati era riuscito a fuggire e, per rappresaglia, i nazisti avevano selezionato a caso dieci uomini da far morire lentamente di fame. Uno di costoro scoppia in lacrime, supplicando i carnefici di risparmiarlo perché padre di famiglia. Massimiliano, uscito dalla fila dei deportati, si offre di sostituirlo. Dopo due settimane di agonia senza né acqua né cibo, la maggior parte dei condannati è morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, sono ancora vivi e continuano a pregare intonando inni a Maria. La calma dimostrata dal sacerdote impressiona i nazisti di guardia, i quali, esasperati in specie dal sacerdote polacco, decidono di finirlo con una iniezione letale di acido fenico il 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria. I corpi vengono cremati il giorno seguente e le ceneri disperse.
Cosa lega persone tanto lontane nel tempo? L’adesione incondizionata alla verità di Cristo e il patire la morte a opera di chi questa verità non vuole accettarla. Per questo sono martiri, martiri uccisi da ideologie assassine: l’islam quando diventa violento e uccide in nome di Dio, e il nazionalsocialismo che voleva costruire un “mondo nuovo”, un mondo per l’“uomo nuovo”, dimenticando, anzi negando, che la vera e unica immagine dell’uomo è Cristo.
Papa san Giovanni Paolo II ha regalato ai cristiani una bellissima espressione: «un mondo a misura d’uomo e secondo il piano di Dio». I due elementi non sono contraddittori, sono facce della medesima medaglia. Non vi può essere nulla che sia veramente umano senza che sia anche voluto da Dio e, viceversa, nulla voluto da Dio che non sia perfettamente adeguato alla verità umana. Dio è il Creatore, colui che ha fatto l’universo e l’uomo, colui che conosce perfettamente cosa serve per realizzare pienamente l’uomo nelle proprie potenzialità, felice in questa e nell’altra vita. Quando dimentica il «piano di Dio», l’uomo sogna mondi diversi che generano mostri.
Le ideologie del secolo XX: comunismo e nazionalsocialismo con i milioni di morti mietuti; l’islamismo jihadista del secolo XXI che falcia migliaia di vittime; il relativismo morale di tutti i tempi con i milioni di esseri umani abortiti, eutanasizzati, morti sucidi e vittime di overdosi sono un monito ineliminabile: solo Cristo salva.