Mentre si profila il dramma dei cattolici italiani
PROVOCAZIONI COMUNISTE ED EQUIVOCI CLERICALI
La seconda metà di settembre ha visto – a distanza di pochi giorni e di pochi chilometri – adunarsi ed esprimersi con rilievo due aspetti diversi e complementari della Rivoluzione comunista in atto nel nostro paese e nel mondo.
Il 18 settembre l’on. Enrico Berlinguer, leader del PCI, ha tenuto a Modena il comizio di chiusura del festival nazionale de L’Unità, e alla fine della settimana successiva si è svolto a Bologna il convegno sulla repressione in Italia.
A Bologna si sono adunati migliaia di «autonomi», di «indiani metropolitani», di «lottatori continui», di adepti del MLS, nonché di tutte le diverse e variopinte realtà gruppuscolari presenti nel nostro paese. Li ha raccolti – almeno ufficialmente – il tema della repressione esercitata dal regime DC-PC sulla società italiana. Affidandola alle loro mani, il regime ha ottenuto il risultato, tutt’altro che trascurabile, di vanificare e di coprire di ridicolo, di caratterizzare anzi con tratti perfino grotteschi, una realtà, quella della repressione esercitata sulla nostra società. Questo tema reale, infatti, non è stato sollevato dalle vittime della repressione – i cittadini italiani cattolici e anticomunisti o, ancora più genericamente ed estesamente, gli italiani «qualunque» -, ma dai prodotti più avanzati della sovversione, dalla sua jeunesse dorée. Attraverso questa deviante e paradossale levata di scudi – i padroni della dissocietà manifestano contro la dissocietà, gli uomini del KGB fanno meeting contro la disciplina che li opprime, sotto gli occhi sbalorditi degli «ospiti» del GULag! – l’uomo comune, realmente vessato, che al ristorante paga «prezzi di mercato» e non «prezzi politici», grida, per reazione, con l’ultimo fiato che gli resta in gola, che la repressione non c’è, che è una invenzione di fannulloni, pidocchiosi, ecc.
Il gioco è fatto: il grido è raccolto, registrato, amplificato dagli organi di informazione del regime, che, così, tranquillamente, può continuare a esercitare la sua repressione reale, quella che colpisce chi lavora, chi risparmia o ha risparmiato, chi vuole educati, ed educati cristianamente, i propri figli, ecc., presentandola come consensuale.
Accanto a questo risultato primario – che riduce quasi a nulla, nella consapevolezza dei più, la fondamentale distinzione tra libertà e licenza, sì che, in un futuro non lontano, chi denuncerà finalmente la repressione reale e perorerà la causa della libertà, potrà venire confuso, per dire il meno, con chi, se non è immerso nella licenza, almeno la vuole con tutte le sue forze – vi sono, al solito, effetti secondari, come la presentazione sempre più «edificante» del PC, nonché il censimento di questa realtà rivoluzionaria di avanguardia, frutto prematuro della Rivoluzione comunista in marcia verso la estinzione dello Stato – cioè della autorità -, la liberazione dal lavoro, il libero amore, la dissoluzione della famiglia, il «superamento» della proprietà, ecc.
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Mentre quello che abbiamo opportunamente indicato come il frutto prematuro della Rivoluzione comunista – nato dal sovvertimento delle strutture sociali prima della conquista dello Stato, secondo il progetto «egemonico» gramsciano e i dettami desunti dalla «esperienza» cilena – fa il verso a quanti sono realmente oppressi, e tenta di squalificare preventivamente ogni futuro possibile conato reattivo, caricandolo della gratuità e della infondatezza delle proprie querimonie attuali, a Modena il comunismo «ufficiale» ribadisce il suo impegno di conquista della società e dello Stato, dandoci una summa popolare e limpida della sua dottrina e della sua prassi.
Infatti, il punto principale sottolineato dall’on. Berlinguer nel corso del suo intervento, è relativo alla descrizione sintetica della situazione italiana e del compromesso storico.
«Nella situazione italiana d’oggi – ha detto l’esponente comunista – e dati la forza e il peso che rappresentano da una parte comunisti e socialisti, e dall’altra parte la DC, il Paese non sarebbe governabile, né si potrebbe rinnovarlo e trasformarlo se la sinistra o la DC venissero spinte all’opposizione. In un domani le cose potranno anche cambiare, ma oggi stanno così. Ecco il fondamento reale di questa nostra strategia che chiamiamo il compromesso storico: una linea politica che affonda le sue origini nell’elaborazione di Gramsci e di Togliatti, ma che – non lo si dimentichi – ha tratto nuova attualità da una meditazione attenta sulla frattura tra forze popolari di ispirazione diversa avvenuta in Cile e conclusasi così tragicamente nel settembre di quattro anni fa» (1).
I termini sono consueti e chiari, e la loro ripetizione, che sarebbe noiosa e sfacciata se ci fosse chi li intende e ne tiene conto per organizzare e promuovere l’anticomunismo, è funebre rintocco su chi non può o non vuole intendere, oppure fa, proditoriamente, finta di nulla.
Al perseguimento comunista del potere serve, con una ragione di indispensabilità, la collaborazione di tutte le forze del paese, unanimemente tese a impedire ogni reazione e a prepararne anzi – per completezza – anche il fraintendimento e la messa in ridicolo; ma a tale unanimismo non si accompagna, garantisce l’on. Berlinguer, «un’assenza di dibattiti, di polemiche e anche di contrasti tra i partiti. La dialettica c’è, eccome! La novità semmai è un’altra, e si tratta di novità positiva, salutare per il Paese: che cioè questa dialettica si svolge liberamente ma senza provocare né spaccature né scontri frontali».
Dunque, il litigio è permesso, purché le divergenze non abbiano conseguenze pratiche, purché il dissenso accetti di essere «platonico» e copra l’unanimismo sostanziale delle forze del nuovo «arco programmatico», che è in via di sostituire quello «costituzionale» e che raccoglie i partiti dell’«accordo a sei». Alla superficie, come circenses, «dialettica», «polemiche», ecc.; sotto, come panis, egemonia comunista.
Circa la sincerità di questa «dialettica», di cui è recente espressione l’ondata di dichiarazioni anticomuniste di esponenti democristiani, soprattutto della sinistra – inaugurata dall’on. Galloni -, ecco la lettura autorevole del leader comunista, che conferma le nostre precedenti considerazioni: «È stata […] la DC a costruire ad arte una polemica estiva contro di noi per sue ragioni interne, pensando di poter così acquietare un po’ quei suoi settori di destra che erano e sono preoccupati per le novità costituite dall’intesa tra i sei partiti». Si prega di notare quel ineffabile «ad arte»: e chi si era fatto delle illusioni su un rinnovato anticomunismo democristiano è definitivamente sistemato!
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Di fronte al confessato e reiterato proposito di condurre la battaglia comunista nella linea del compromesso storico, alla cui espressione europea, dice l’on. Berlinguer, «viene dato il nome di eurocomunismo»; di fronte alla riproposta della collaborazione, di «certe forme di intesa tra i partiti comunisti, i pentiti socialisti e altre forze popolari e democratiche di diversa ispirazione» alla ricerca di «strade nuove per costruire nella democrazia una società superiore a quella capitalistica», ritornano inevitabilmente alla memoria dichiarazioni come quella rilasciata da mons. Clemente Riva, vescovo ausiliare di Roma, in occasione della presentazione degli atti del convegno su Evangelizzazione e promozione umana. Richiesto di un parere sul compromesso storico, il presule ha detto testualmente: «Ho vissuto il momento della Resistenza e quindi non posso che dire che in momenti di emergenza tutti devono mettere insieme le proprie forze per far sì che il tetto non crolli sulla testa» (2).
Che si sappia, né il cardinale Poletti, né la Conferenza Episcopale Italiana, né tanto meno il suo consiglio permanente hanno ritenuto di dovere correggere una affermazione tanto equivoca, anche se puntualmente farcita con la incompatibilità dottrinale tra marxismo e cristianesimo.
Secondo l’on. Berlinguer, è una constatazione che «il movimento operaio e popolare italiano, che comprende anche correnti diverse dalla nostra (socialisti, cattolici e altre) ma nel quale è così grande e significativo il peso del PCI, abbia raggiunto oggi il punto di forza più alto di tutta la sua storia, e si trova ormai alle soglie di quel passaggio decisivo costituito dall’esercizio del potere anche ai vertici della direzione politica nazionale».
Se l’unico «tetto che ci può crollare sulla testa da un momento all’altro» è appunto costituito dall’avvento del PCI «anche ai vertici della direzione politica nazionale»; se questa è l’unica situazione che rende la nostra condizione «di emergenza», che senso ha la considerazione di mons. Riva, se non quello, suicida, di incitare alla collaborazione con i comunisti? Se le cose stanno così – e non vediamo come possano essere diversamente -, che cosa pensare del silenzio pesante dei suoi confratelli nell’episcopato? Come sottrarsi al richiamo del proverbio secondo cui «chi tace acconsente»?
Dunque, l’episcopato italiano accetta il compromesso storico? Senza retorica: quali terribili problemi di coscienza si spalancano di fronte ai cattolici italiani anticomunisti, inevitabilmente anticomunisti, se cattolici!
Note:
(1) L’Unità, 19-9-1977. Tutte le citazioni senza diversa indicazione sono tratte da questa fonte.
(2) Comunicato ANSA del 21-6-1977.