Da Il Tempo del 06/01/2019. Foto da money.it
Mettiamo da parte le questioni di forma, pure importanti, per andare alla sostanza: la sollevazione di alcuni sindaci contro il decreto Salvini riguarda l’articolo 13 del testo, secondo cui il richiedente asilo non può ottenerel’iscrizione anagrafica finché è in corso l’istruttoria da parte delle Commissioni asilo del Viminale, o l’eventuale successivo ricorso. Ciò vuol dire che quello straniero può godere della prima accoglienza, dal mantenimento all’assistenza sanitaria – sono scorrette le descrizioni di masse di sbandati abbandonati a se stessi – ma non le misure di integrazione che spettano a chi sia entrato in in Italia in modo regolare, ovvero a chi abbia già ottenuto la protezione internazionale. Il decreto accelera le pratiche di asilo, sia davanti alle Commissioni, sia nella fase del ricorso: logico quindi che non permetta il radicamento a una persona che nella gran parte dei casi ha proposto una domanda infondata ed è destinato all’espulsione.
Il nuovo sistema è in linea con le disposizioni europee, mentre l’anomalia era quella invigore prima: negli ultimi anni la richiesta di protezione internazionale era diventato lo strumento per una sanatoria di fatto e permanente. Col vecchio regime il migrante arrivato in modo non regolare puntava quanto meno alla protezione umanitaria. ma i tempi erano lunghissimi, tra esami, ricorsi e giudizi. Così, dopo 4 o 5 anni poteva accadere o che il richiedente asilo, non avendo titolo alla protezione, restava sul territorio nazionale incrementando l’area della irregolarità; oppure che in sede giudiziaria per concedere la protezione umanitaria si badasse non già alle condizioni dello Stato di origine, ma alla conoscenza da parte del migrante dell’italiano o al possesso di un lavoro. Era questa – non quella attuale, come lamentano i sindaci – la vera violazione della legge, poiché la tutela internazionale non è lo strumento per disciplinare l’ingresso regolare nell’Ue.
Le nuove disposizioni non eliminano la protezione umanitaria, ma la razionalizzano: se sei giunto in italia in modo irregolare perché a casa tua in questo momento c’è una epidemia, o sei gravemente malato, o ancora sei vittima di tratta, o hai compiuto atti di elevato valore civile, allora in tutti questi casi, ulteriori rispetto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, puoi avere permessi temporanei. Al posto di una voce unica, generica e passibile di arbitrii applicativi, oggi viene specificata la tipologia delle ragioni che legittimano la protezione. È peraltro singolare che coi precedenti governi una parte significativa di sindaci, e con essi la stessa Anci, puntassero a ridefinire una disciplina che denunciavano estesa e onerosa, mentre oggi promuovono o fiancheggiano la protesta quando sono accolte le loro richieste di due anni fa. Altrettanto singolare e che da ambiti ecclesiali si evochi l’obiezione di coscienza del sindaco; singolare perché – posto che il richiamo alla coscienza è qualcosa di diverso dalla contestazione politica l’attenta lettura delle nuove disposizioni non fa cogliere alcun contrasto col quadro essenziale di principi etici, antropologicamente fondati, che è alla base del diritto di obiezione. Singolare perché avremmo voluto ascoltare richiami analoghi quando è entrata in vigore la legge Cirinnà, che chiama il sindaco a registrare unioni civili prossimi ai matrimoni gay, o la legge sulle dat, che spinge il medico a trattamenti eutanasici (entrambe le leggi non prevedono l’obiezione di coscienza).
Alfredo Matovano